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Carlo OlmoWritten by: Professione e Formazione

Francesco Garofalo (1956-2016)

Con un’istantanea, il fondatore del Giornale dell’Architettura ricorda l’impegno civile dell’amico e gli anni di battaglie comuni per un’università più democratica

 

Ricordare un amico scomparso troppo prematuramente si porta quasi sempre dietro la retorica da orazione funebre. Francesco Garofalo non lo merita. Nè merita un tentativo prematuro e confuso di mettere insieme aspetti di una personalità davvero sfaccettata. Merita però almeno un’istantanea certo da sviluppare.

A differenza di tanti, non solo architetti, della sua generazione e della generazione successiva, Francesco aveva un senso dell’impegno civile che gli ha consentito di gestire dal Padiglione italiano alla Biennale, l’unica volta che quella scelta fu esito di un concorso e non di una nomina (2008), il più complesso GEV (Gruppo di Esperti della Valutazione in seno all’ANVUR – Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca – l’unico che condivideva quasi al 50% valutazioni bibliometriche e a peer review), concorsi di architettura difficili, convegni internazionali delicati perché chiamati a restituire anche parte della sua biografia come quello su George Baird (2012). La sua  autentica passione civile Francesco la esercitava con convinzione, sapendo ascoltare, con un senso della mediazione che a volte sfiorava persino compromessi ben più famosi. Ma sapeva anche entrare dentro questioni politiche delicate, come nella scrittura di programmi elettorali per Roma.

In questa sua a volte persino nevrotica militanza, Francesco era soprattutto generoso e, a differenza di troppi architetti, non era autoreferenziale nella scrittura e ancor meno nella formazione di gruppi con cui lavorava. Ci mancherà la sua generosità e la sua ricerca di colloqui sempre diversi. Mi mancherà l’amico che mi ha accompagnato in quasi quindici anni di battaglie per un’università più democratica, più aperta al mondo, senza l’ossessione dell’internazionalizzazione, da cui peraltro proveniva, capace di esprimersi scrivendo, progettando, facendo mostre, orgogliosa dei suoi prodotti al punto di ritenere che persino un progetto di architettura potesse essere un prodotto scientifico e insieme dovesse essere valutato. Per intanto, se oggi l’università italiana ha intrapreso questa difficile strada dopo dieci e più anni di seminari, convegni, numeri di riviste e liti feroci, lo deve a lui.

Ciao amico caro

Autore

  • Carlo Olmo

    Nato a Canale (Cuneo) nel 1944, è storico dell'architettura e della città contemporanee. E' stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino dal 2000 al 2007, dove ha svolto attività didattica dal 1972. Ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in altre università straniere. Autore di numerosi saggi e testi, ha curato la pubblicazione del "Dizionario dell'architettura del XX secolo" (Allemandi/Treccani, 1993-2003) e nel 2002 ha fondato «Il Giornale dell'Architettura», che ha diretto fino al 2014. Tra i suoi principali testi: "Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau»" (Einaudi, 1975; con R. Gabetti), "La città industriale: protagonisti e scenari" (Einaudi, 1980), "Alle radici dell'architettura contemporanea" (Einaudi, 1989; con R. Gabetti), "Le esposizioni universali" (Allemandi, 1990; con L. Aimone), "La città e le sue storie" (Einaudi, 1995; con B. Lepetit), "Architettura e Novecento" (Donzelli, 2010), "Architettura e storia" (Donzelli, 2013), "La Villa Savoye. Icona, rovina, restauro" (Donzelli, 2016; con S. Caccia), "Città e democrazia" (Donzelli, 2018), "Progetto e racconto" (Donzelli, 2020)

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Last modified: 18 Agosto 2016