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Michele RodaWritten by: Biennale di Venezia

Biennale 2016: il padiglione del Portogallo sarà un cantiere alla Giudecca

Biennale 2016: il padiglione del Portogallo sarà un cantiere alla Giudecca

Intervista a Roberto Cremascoli, co-curatore della partecipazione portoghese con Nuno Grande di «NEIGHBOURHOOD – Where Álvaro meets Aldo». Tre sezioni dedicate all’housing sociale nel cantiere Ater di Álvaro Siza (nella foto di Alberto Lagomaggiore)

 

Vicinanza. Pare essere questa la parola d’ordine che la rappresentanza del Portogallo mette in gioco per il suo sbarco in laguna in occasione della 15ma Biennale di Architettura (28 maggio – 27 novembre 2016). Vicinanza è il risvolto sociale dei progetti residenziali protagonisti di un’esposizione che sollecita temi in qualche maniera eroici per l’architettura portoghese, in una fase storica recentemente riportata alla luce con la mostra “The SAAL Process. Architecture and Participation 1974-1976” chiusasi a ottobre al Canadian Centre for Architecture di MontréalDi forte vicinanza, fisica e culturale, è anche il rapporto che lega Álvaro Siza (uno degli artefici primari di quei progetti) all’architettura italiana (in qualche modo personificata da Aldo Rossi, nel cinquantesimo compleanno del suo saggio più noto L’Architettura della città) e alla città di Venezia. Ma vicinanza è anche nella sovrapposizione tra luogo dell’esposizione e luogo della costruzione: la mostra infatti sarà in un cantiere, con tanto di caschetto obbligatorio per i visitatori. E di vicinanza con l’Italia, per ragioni di nazionalità, si può parlare per uno dei curatori, Roberto Cremascoli. Con lui, architetto trapiantato a Porto, abbiamo dialogato su contenuti e obiettivi della presenza portoghese a Venezia.

 

Iniziamo dal titolo della mostra di cui lei è curatore con Nuno Grande: «NEIGHBOURHOOD – Where Alvaro meets Aldo». Ci sono due mostri sacri dell’architettura novecentesca che virtualmente si incontrano e un tema che per decenni è stato campo di battaglia per i progettisti europei. Perché soffermarsi oggi su questi argomenti?

Abbiamo deciso di concentrarci e di dare rilievo al grande lavoro di Álvaro Siza nell’edilizia sociale, percorrendo i suoi interventi nei quattro diversi quartieri di Porto, Berlino, L’Aia e la stessa Venezia. In un’Europa che si vuole sempre più cittadina e multiculturale, la creazione di veri e propri luoghi di vicinato è una questione attualissima. Siza nella sua carriera ha lavorato su queste nozioni, in contatto, tra le altre, con la cultura architettonica italiana, in particolare con l’eredità concettuale e ideologica di Aldo Rossi. Dai numerosi punti di contatto nasce lo stimolo per un’esposizione che non si limita a raccontare un pezzo di storia dell’architettura. Grazie alla collaborazione con la televisione portoghese SIC e con una loro inviata, Cândida Pinto, visiteremo, a decenni dalla loro costruzione, quei quartieri, dando voce alle persone che li abitano e in qualche modo alle storie che li attraversano.

 

Sarà, crediamo, anche mediaticamente, la Biennale di Aravena. Come pensate di declinare le sensibilità del fresco vincitore del Pritzker?

Aravena conosce il nostro progetto e lo apprezza, nelle prossime settimane dovremmo anche incontrarci. Oggi più che mai l’architettura si deve occupare degli impatti sociali che genera. L’anno che si è concluso è stato segnato da una parola: «migrazioni». Temo purtroppo che lo stesso termine caratterizzerà il prossimo anno e quelli successivi ancora. In questo quadro dobbiamo imparare a declinare l’architettura come forma di tolleranza. Su questo poggia la nostra idea di esposizione: meno effetti speciali, meno megalomania, meno retorica. Quando parliamo di architettura proviamo a parlare di tolleranza e di partecipazione. Abbiamo bisogno di ripensare al progetto contemporaneo come ad uno strumento capace di affrontare le emergenze sociali. Ripercorrendo alcune storie esemplari, anche locali, vogliamo proprio fare questo: mostrare la faccia di un’architettura aperta, disponibile, tollerante e dialogante.

 

Cercate di fare questo uscendo dai recinti della Biennale: la mostra portoghese è infatti alla Giudecca, a Campo di Marte. Scelta o condizione obbligata?

Facciamo di necessità virtù. Il Portogallo non ha un proprio padiglione ai Giardini, quindi deve sempre trovarsi una location esterna. Questa volta è davvero speciale perché sarà al piano terra dell’edificio progettato da Álvaro Siza alla Giudecca, nell’ala non ancora terminata, quindi in una specie di rustico. Andare lì significa raccontare un’esperienza eccezionale, come il concorso del 1983 indetto dall’allora IACP per sostituire alcune residenze ormai irrecuperabili per il degrado. Ma significa anche – ed è una cosa di cui siamo felicissimi – dare un impulso alla sua conclusione. L’ATER (Azienda territoriale della casa per la Provincia di Venezia), con cui collaboriamo attivamente, ha infatti deciso – dopo mille vicissitudini e il fermo cantiere che durava dal 2010 – di riappaltare i lavori che dovrebbero ripartire mentre la mostra è in corso. L’esposizione parte proprio dalle visioni di quel concorso con i materiali sui quattro gruppi vincitori: oltre a Siza, Rossi con Gianfranco Caniggia, Carlo Aymonino e Rafael Moneo. La seconda sezione si concentra invece su Siza con disegni, modelli, foto e filmati dei quattro interventi di residenza sociale, costruiti dagli anni settanta a oggi: il Bairro da Bouca a Porto, la Schlesisches Tor di Berlino (il “Bonjour Tristesse”), il Schilderswijk West di L’Aia oltre a Campo di Marte. «Where Alvaro meets Aldo (1966-2016)» sarà invece la terza sezione della mostra, dove si troveranno fotografie, lettere, testi e altri punti e momenti di incontro tra Siza e Rossi. La ricostruzione di questo legame speciale è possibile grazie alla collaborazione con il Canadian Centre for Architecture di Montréal (che conserva parte degli archivi di entrambi) e con l’Università IUAV. Ci tengo a sottolineare come la cura di questa mostra sia sempre giocata sull’equilibrio tra i diversi livelli: parla dei grandi dell’architettura novecentesca e dei loro progetti ma prevede il coinvolgimento degli abitanti di questi quartieri, dei vicini insomma. Lo fa dando loro voce e immagine con fotografie e interviste, facendoli diventare i veri protagonisti. Anche di una serie di eventi collaterali come la cena, il giorno dell’inaugurazione, con 80 metri di tavolata nella calle davanti all’edificio di Siza, a cui parteciperanno tutte le associazioni del quartiere.

 

 

 

Per_approfondire

I curatori

Roberto Cremascoli ©Rita BurmesterRoberto Cremascoli (Milano, 1968). Italiano di nascita e di formazione, vive a Porto dal 1991. Ha lavorato con Alvaro Siza e João Luís Carrilho da Graça prima di fondare, nel 2001, lo studio Cremascoli Okumura Rodrigues Architetti. Affianca all’attività progettuale (lavori eseguiti in Portogallo, Italia, Svizzera e Francia) un’intensa attività curatoriale di mostre e libri, soprattutto sull’asse Portogallo-Italia.

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Nuno GrandeNuno Grande (Luanda, Angola, 1966). Architetto portoghese angolano di nascita, è critico e curatore. Ha un’intensa attività accademica presso le Università di Porto e Coimbra. È membro dell’Advisory Board della Direzione generale dei Beni culturali e ha lavorato in occasione di numerosi eventi culturali nel campo dell’architettura.

 

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 3 Febbraio 2016