Dalle esperienze artistiche all’insegnamento universitario, ai progetti edilizi e urbani, agli allestimenti museali
Nella solenne cappella di San Luca, cinquecentesca sede dell’Accademia del Disegno, nella SS. Annunziata di Firenze, sabato 25 gennaio si è celebrato il congedo di Adolfo Natalini dalla città d’adozione, Firenze, e dai tantissimi allievi, amici e sodali. Per coloro che, come chi scrive, hanno goduto del privilegio dell’insegnamento di Natalini alla Facoltà di architettura di Firenze, il rimpianto è particolarmente pungente. Natalini era un artista poliedrico, un disegnatore compulsivo e un letterato onnivoro ed eccentrico. È stato un docente amatissimo e anticonvenzionale, tagliente e lieve come nessun altro: capace di trasmettere passione e conoscenza, con scanzonata e sorridente ironia.
Gli esordi
Giovanissimo, Natalini asseconda la vocazione artistica esordendo a Pistoia, sua città d’origine, all’interno di un gruppo di pittori suoi coetanei. Conosciuti come la “scuola di Pistoia”, i giovani sono sedotti dall’esplosione rutilante della Pop Art americana, che ibridano con le segrete potenzialità della cultura materiale che nelle campagne toscane si è frequentemente intrecciata con l’arte aristocratica. Nel 1966, alla Facoltà di Architettura di Firenze, Natalini discute la tesi di laurea, di cui è relatore Leonardo Savioli, il maestro di cui sarà a lungo stimatissimo quanto estroso assistente. L’anno è funesto per la città del giglio: in novembre un’alluvione biblica la inghiotte, sfregiandone i monumenti. La catastrofe suscita una reazione vigorosa e subitanea, che spinge all’azione per ripristinare normalità e bellezza. In questa frenesia postraumatica di riscatto estetico e sociale si aggrega il Superstudio. Natalini, abituato dagli esordi pittorici alla discussione e al confronto, si associa a quattro giovani e fonda una compagnia, cui viene imposto l’ironico nome da fumetto: Superstudio appunto.
Superstudio
È un “superluogo”: non è uno studio professionale
, organizzato in funzione della massima e rapida remunerazione dei progetti, spesso frettolosi e talvolta corrivi. Proprio il contrario. È uno spazio mentale, oltre che un ambiente fisico: un laboratorio, un pensatoio, un’officina, una tipografia, un atelier. Il superluogo dove passione e mestiere, teoria e sperimentazione, arti e tecniche si coniugano e si scontrano, infrangendo i limiti delle discipline e sprigionando manufatti materiali e concettuali, vivide scintille di bellezza.
Non diversamente da altri sodalizi architettonici fiorentini coevi (Archizoom, 9999, Ufo, Zziggurat) il gruppo di Natalini nel 1972 accenderà le sale del MoMA partecipando alla mostra “Italy: The new Domestic Landscape”, organizzata a New York dal ventinovenne argentino Emilio Ambasz. Su quel palcoscenico, cui sono rivolti gli occhi del mondo, Superstudio mostrò il gioioso talento d’ibridare le arti classiche e le tecniche più moderne, in una formidabile sperimentazione d’immaginazione estetica e utopia sociale, di materia e di sogno, sotto l’egida della libertà figurativa e della sapienza percettiva. La mostra valse al Superstudio fama mondiale.
La pratica progettuale
Le febbri dell’avanguardia, con il trascorrere del tempo, hanno preparato il terreno a una pratica progettuale soda e severa, che si guarda dalle gratuità ipertecnologiche e dai vertiginosi formalismi dei Narcisi architetti.
Dopo lo scioglimento (1978) del Superstudio, Natalini ha coltivato un percorso personale di ricerca, rivolto alle radici profonde e primigenie del fare architettura, laddove si situa la prima casa dell’Uomo, come sottolineò Vittorio Savi in saggi ancora oggi d’ineludibile attualità. Disegnando ossessivamente ciò che esisteva, ciò che avrebbe potuto esistere, ciò che non poteva esistere ma si poteva evocare, Natalini ha cercato di carpire la natura segreta del debito che salda l’edificio alla terra.
Nei decenni ha disegnato e costruito un’architettura soda e austera, che sa declinare la severa gravità degli esordi del Modernismo (Berlage, Dudok, Muzio, e perfino Pouillon) con i tradizionali materiali dell’arte edificatoria: il laterizio, la pietra e il legno. Lo attestano la banca di Alzate Brianza, il centro elettrocontabile di Zola Predosa (Bologna), il Teatro della Compagnia di Firenze. Tali edifici, che si sgranano tra la fine degli anni ’70 e gli ’80, sono affiancati da significativi successi internazionali, tra cui spicca la monumentale ricostruzione del centro storico di Groningen (1991-96). Negli ultimi trent’anni l’ambito geografico dell’azione progettuale travalica ripetutamente i confini: Germania e Olanda accolgono numerosi progetti, vincitori di concorsi, e alcune importanti opere, tutti firmati Natalini Architetti, con Fabrizio Natalini, il collaboratore assiduo e omonimo ma non parente. La singolare screziatura anagrafica si accorda con il talento ironico di Adolfo.
Di seguito mi limito a ricordare alcuni edifici, senza pretese di completezza: al Cimitero monumentale dell’Antella (Firenze), completato nel 2009, segue la solenne Facoltà di Giurisprudenza e Scienze politiche a Siena (1995-2000), a Porta Tufi vicino alle mura; i nuovi poli universitari a Firenze-Novoli (1993-2003) e a Vicenza (2002-2011). Con il sofisticato riallestimento del museo dell’Opificio delle pietre dure a Firenze (1992-95) Natalini inaugura una felicissima stagione progettuale, rivolta prevalentemente alla museografia, che si dispiega fino agli ultimi giorni della sua attività. L’elenco è fortunatamente lungo e annovera progetti di sorprendente e asciutta grazia espositiva: i Musei di palazzo Pretorio (1997-2014) e del Tessuto (1997-2003), entrambi a Prato, firmati con Guicciardini & Magni, già allievi poi collaboratori, oggi progettisti di elegantissimi allestimenti e musei disseminati in tutto il mondo. Il medesimo gruppo firma lo stupefacente ampliamento del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze (2001-15; nella foto accanto, l’autrice dell’articolo con Natalini e, a destra, il direttore di «Casabella» Francesco Dal Co), e la raffinatissima messa in scena degli strabilianti reperti migrati nei secoli dal complesso religioso di piazza dei Miracoli alla Casa capitolare del Duomo di Pisa, sede del Museo, inaugurato nel novembre 2019.
L’azione tenace e inventiva di Adolfo ha qualificato e accompagnato anche la lunga e paziente riconfigurazione dei Nuovi Uffizi a Firenze che, avviata agli inizi del terzo millennio e tuttora in corso, doteranno il famoso museo di strutture, adeguate alla torrenziale affluenza di pubblico. Tra queste nuove opere è stata inaugurata (2018) la luminosa scalinata che, innestata in una corte sussidiaria dell’ala di ponente, adduce alla nuova uscita, posta all’inizio del piazzale degli Uffizi e attigua alla Loggia dei Lanzi. Per onorare la passione e il talento di Adolfo ci si augura che venga costruita anche la scala di levante, progettata a suo tempo da Natalini a ridosso dei resti dell’antica chiesa di San Piero Scheraggio, e bloccata da ubbie burocratiche che, insieme all’uscita progettata da Arata Isozaki, completeranno la funzionalità pratica ed estetica del complesso vasariano.
«Chi sposa lo Zeitgeist resta presto vedovo»: intervista ad Adolfo Natalini (settembre 2019)
«L’architettura era la donna di cui eravamo innamorati»: il ricordo di Gianni Pettena
About Author
Tag
firenze
Last modified: 29 Gennaio 2020
[…] culturale come lente d’ingrandimento per analizzare l’architettura, analogamente a quanto Adolfo Natalini aveva fatto con la pittura e Cristiano Toraldo di Francia con la fotografia. Il testo è diviso in […]