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Arianna PanarellaWritten by: Reviews

Sol LeWitt, infinito dialogo tra arte e architettura

Sol LeWitt, infinito dialogo tra arte e architettura

La Fondazione Carriero a Milano ospita fino al 24 giugno la mostra “Sol LeWitt. Between the Lines” curata da Francesco Stocchi e Rem Koolhaas

MILANO. Nella centralissima Fondazione Carriero, all’interno di un edificio quattrocentesco, è in corso una mostra che testimonia dell’intenso rapporto tra arte contemporanea e architettura.

Gli ambienti semplici e minimali dei primi due piani (trasformati da Gae Aulenti nel 1991) con il soffitto a cassettoni del Quattrocento e la contrastante sala al terzo piano con pareti e soffitti decorati da affreschi, rappresentano una sfida per Francesco Stocchi e Rem Koolhaas, curatori della mostra Sol LeWitt. Between the Lines”.

Organizzata grazie all’importante partecipazione dell’Estate of Sol LeWitt (ente che cura il patrimonio dell’artista), la mostra esplora l’attività dell’artista a dieci anni dalla scomparsa, partendo dalle regole e dai principi alla base del suo lavoro. Sette tra i più interessanti Wall Drawings e quindici “sculture” (Modular Structures) ripercorrono la sua carriera all’interno di un progetto espositivo che indaga il legame di LeWitt con l’architettura. Nel suo lavoro è chiaramente leggibile non solo una dimensione architettonica, ma anche una costante relazione con lo spazio che lo ospita: la sua arte si compone di misurati intervalli e controllati rapporti geometrici che dimostrano i contrasti e le similitudini tra le due discipline.

Solomon “Sol” LeWitt (1928-2007) è uno dei più importanti artisti americani del dopoguerra. Esponente della Minimal Art, è soprattutto protagonista intorno agli anni Sessanta del movimento dell’arte concettuale. Nel 1955 lavora come graphic designer nello studio dell’architetto Ieoh Ming Pei, una collaborazione che influenza la sua visione dell’architettura, come pure il periodo vissuto in Italia in cui è condizionato dal Rinascimento. Tra i numerosi scritti di LeWitt, quello pubblicato sulla rivista Artforum” nel 1967 è ancora oggi considerato fondamentale per capire l’arte concettuale: in Paragraphs on Conceptual Art LeWitt attribuisce una maggiore importanza al processo e al pensiero rispetto all’oggetto. L’idea è così il mezzo per fare arte: la ripensa, riducendo all’essenza l’opera, e questo modo di lavorare sarà di riferimento per le successive generazioni di artisti.

Guardando le sue opere, non possiamo parlare di sculture o dipinti o strutture architettoniche, perché tutte rappresentano queste modalità, definite da LeWitt semplicemente StructuresSono forme inserite nello spazio e la loro regolarità geometrica le rende il punto di partenza per sperimentare forme a due e a tre dimensioni attraverso disegni realizzati direttamente a parete, oppure con la costruzione di oggetti complessi. Utilizza quindi un vocabolario di elementi che può essere moltiplicato e trasformato infinitamente, composto da forme solide o da linee, colorate, bianche o nere, in tutte le combinazioni possibili: «Ogni linea è importante come le altre. Tutte le linee diventano una cosa sola» scriveva LeWitt.

Disegni e oggetti sono incuranti delle peculiarità dell’ambiente in cui sono inseriti, passano attraverso porte e pareti senza essere condizionati dal luogo, ma sempre in perfetto equilibrio con l’architettura che li ospita. LeWitt genera così un nuovo spazio determinato dall’insieme di tutte quelle linee o forme, come fosse una partitura musicale. In ogni spazio in cui si trovava a lavorare la sua reazione era sempre diversa ed il muro non era una semplice superficie su cui disegnare, ma un mondo da esplorare con un approccio rigoroso, e al tempo stesso in maniera libera.

Osservando i Wall Drawings diventa chiaro il suo pensiero e il modo di intendere la figura dell’artista: come un progettista che concepisce una costruzione e poi incarica la sua esecuzione, o come un compositore, la cui melodia può essere suonata da diversi musicisti. L’artista definisce l’opera descritta nei minimi dettagli, mentre la sua realizzazione può essere delegata a “mani esperte”, contemplando un misurato grado di casualità dovuto all’individualità dell’interprete, purché si rispettino le istruzioni. La coerenza finale dell’opera è definita attraverso l’applicazione delle “regole” e non dal risultato in sé.

Ora che lui non c’è più, sono i curatori a scegliere dal suo repertorio i progetti che meglio rispondono alle suggestioni degli spazi che accolgono le opere, mentre gli “assistenti” di LeWitt tramandano il suo lavoro e lo realizzano.

In questo caso il ruolo di Koolhass non è stato secondario, non solo per le affinità legate alla progettualità e all’attenzione per le “regole”, ma anche per la capacità, come per LeWitt, di plasmare lo spazio. Koolhaas afferma che la conoscenza attenta degli spazi della Fondazione ha permesso di allestire le opere in modo che queste includessero gli ambienti, ricercando le affinità tra il lavoro di LeWitt e l’edificio.

Gli esecutori principali delle opere site-specific sono stati inviati dall’Estate of Sol LeWitt e sono stati aiutati anche da altri collaboratori dell’Accademia di Brera e della NABA di Milano. La realizzazione al piano terra del Wall Drawing #1267: Scribbles (2010) è stata eseguita da 10 persone in circa 20 giorni, utilizzando solo graffite nera su una parete in parte curva, che ha l’effetto di alterare il segno grafico e di trasformare la geometria dell’ambiente.

Per il Wall Drawing #123A, presentato la prima volta nel marzo del 1991 presso la Addison Gallery of American Art, i curatori hanno scelto di ricostruire una porzione dell’ambiente, pareti e pavimento della Addison Gallery, negli spazi della Fondazione. Anziché adattare l’opera agli spazi esistenti, il wall drawing è stato ricostruito insieme al suo ambiente originario.

Anche nelle Structures di cubi disposte nelle sale emerge la continua volontà di dialogare con l’architettura, come in Inverted Spiraling Tower (1987), dove la scelta curatoriale ha privilegiato un rapporto leggibile dall’esterno attraverso le finestre.

In una delle sale iniziali Koolhaas dà vita ad una pubblicazione di LeWitt, Autobiography, divenuta uno dei più celebri libri d’artista: progetta uno spazio immersivo composto da una selezione di riproduzioni fotografiche del libro, disposte a formare una rigida e precisa griglia con lo stesso metodo organizzativo/compositivo di LeWitt. Un racconto molto personale fatto di sole immagini che descrive il suo spazio di lavoro, gli utensili, i mobili, i libri, i dischi, le opere d’arte e le fotografie, ecc., che rivela il mondo dell’artista.

Partendo forse da una frase di LeWitt «è possibile pensare ai lati di semplici oggetti tridimensionali come a pareti, e disegnarci sopra», Koolhaas per il Wall Drawing #150 (1972) progetta un grande volume bianco sfaccettato, i cui lati sono trattati alla stesso modo di una parete e quindi ricoperti dai segni grafici che erano stati disegnati sul wall drawing originale.

L’ultima importante scelta architettonica è la sala affrescata dell’ultimo piano: lo spazio raddoppia, ma allo stesso tempo si riduce grazie all’utilizzo di uno specchio che divide la sala per due terzi. Partendo dal Wall Drawing #1104 eseguito su una finestra dell’Edams Museum a Edam in Olanda (2003), i curatori hanno deciso di cambiare il supporto: non più il vetro di una finestra, ma una grande superficie specchiante, dove le linee nere che la ricoprono si sovrappongono ai fregi della sala.

Un mondo magico quello di LeWitt, dove ci si sente liberi, pur immersi nelle regole. 

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Between the Lines

A cura di Francesco Stocchi e Rem Koolhaas

17 novembre 2017 – 24 giugno 2018

Fondazione Carriero

via Cino del Duca 4 – 20122 Milano

Catalogo edito da Fondazione Carriero: contributi Francesco Stocchi e Rem Koolhaas

Chi sono i curatori?

Rem Koolhaas è un architetto olandese, teorico dell’architettura, urbanista e docente di Practice of Architecture and Urban Design alla Graduate School of Design della Hardvard University. Prima di diventare architetto, Koolhaas ha lavorato come giornalista. Dopo aver cominciato a interessarsi all’architettura, dal 1968 al 1972 studia alla Architectural Association School of Architecture di Londra, e successivamente, dal 1972 al 1975, alla Cornell University di Ithaca, New York. Nel 1975 fonda OMA, Office for Metropolitan Architecture, con Elia e Zoe Zenghelis e Madelon Vriesendorp, sua moglie, con sedi a Rotterdam e Londra. Nel 2000 Rem Koolhaas vince il Pritzker Prize, comunemente riconosciuto come il Premio Oscar per l’Architettura. Nel 2003 gli è conferito dalla Japan Art Association il Praemium Imperiale per l’architettura e nel 2004 è premiato con la Royal Gold Medal del Royal Institute of British Architects. Nel 2008 la rivista Time lo inserisce nella classifica delle 100 persone più influenti del mondo (top 100 The World’s Most Influential People).

Francesco Stocchi è curatore di Arte Moderna e Contemporanea presso il Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam dal 2012. Ha curato mostre in diverse parti d’Europa e negli Stati Uniti. Cura il programma artistico della Fondazione Carriero (Milano) e della Fondazione Memmo (Roma). Tra le mostre recenti, Richard Serra Drawings 2015-17, Pascali Sciamano e Giuseppe Gabellone. Pubblica e tiene regolarmente lecture sull’arte e sulla cultura visuale.

Autore

  • Arianna Panarella

    Nata a Garbagnate Milanese (1980), presso il Politecnico di Milano si laurea in Architettura nel 2005 e nel 2012 consegue un master. Dal 2006 collabora alla didattica presso il Politecnico di Milano (Facoltà di Architettura) e presso la Facoltà di Ingegneria di Trento (Dipartimento di Edile e Architettura). Dal 2005 al 2012 svolge attività professionale presso alcuni studi di architettura di Milano. Dal 2013 lavora come libero professionista (aap+studio) e si occupa di progettazione di interni, allestimenti di mostre e grafica. Dal 2005 collabora con la Fondazione Pistoletto e dal 2013 con il direttivo di In/Arch Lombardia. Ha partecipato a convegni, concorsi, mostre e scrive articoli per riviste e testi

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Last modified: 28 Marzo 2018