Tra musei inaugurati poi subito chiusi a Lipari ed interventi di messa in sicurezza con le ruspe nello storico borgo terremotato di Poggioreale, due casi di ordinaria follia. La testimonianza di Michele Benfari, funzionario della Soprintendenza del mare
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A Lipari tutto gelosamente sprangato
LIPARI (MESSINA). Proprio un anno fa, il 12 luglio, con l’inaugurazione della mostra «Eolie 1950-2013. Mare Motus. L’isola nell’arte contemporanea dalla Sicilia al Cile», a cura di Lea Mattarella e Lorenzo Zichichi, si completava il progetto per la realizzazione del Centro per l’arte contemporanea presso le ex Carceri del Castello (2,43 milioni del Po-Fesr 2007-2013), promosso dall’Assessorato regionale ai Beni culturali e dell’identità siciliana e dal Museo archeologico Luigi Bernabò Brea con un progetto di Michele Benfari, dal 2009 al 2010 direttore del Museo. Le ex carceri erano state appositamente allestite in un site specific di grande impatto e con nomi di fama internazionale: Mitoraj, Plessi, Pizzi Cannella, Paladino, de Conciliis, Botta, Grudda, Borondo, Monachesi, Ben Jelloun, Savini, Giovannoni, Caminiti, Hassan, Basilè, Yrarrazaval, etc. Opere rimaste, però, subito dopo l’inaugurazione, a marcire nelle celle, come a suo tempo i confinati politici, tra cui Ferruccio Parri, Carlo e Nello Rosselli, Emilio Lussu e con diversa destinazione Curzio Malaparte e Edda Ciano. Sorte condivisa anche dalla vicina ex chiesa di Santa Caterina, recuperata con destinazione espositiva. Si tratta di opere che, con questo progetto, sono diventate di proprietà del Museo e quindi del demanio della Regione Sicilia. Tutto in abbandono, insieme all’impianto di videosorveglianza e agli apparati didascalici progettati ad hoc.
Permanendo la situazione, sembrerebbe configurarsi un cospicuo danno erariale e un’offesa alle migliaia di turisti che ogni giorno chiedono del perché non sia possibile vedere le opere, né la chiesa restaurata, né ancora di fruire degli spazi del piano terra dell’ex ostello, appositamente recuperato con un allestimento dedicato ai 50 anni di scavi da parte di Bernabò Brea e Madeleine Cavalier nell’arcipelago delle Eolie. Contiguamente sono stati realizzati un Museo della memoria, sempre dedicato agli scavi, un teatrino al chiuso per 50 persone, attrezzato con tutte le mirabilie della tecnologia contemporanea, nonché una piccola biblioteca con i primi 200 volumi dedicati all’arte. Neanche a dirlo, «tutto gelosamente sprangato», commenta Benfari, oggi trasferito alla Soprintendenza del mare. Nell’incomprensibile silenzio dell’Assessorato.
Ma c’è dell’altro. Un secondo progetto condannato anch’esso alla segregazione: quello per la valorizzazione dei percorsi delle aree archeologiche e il potenziamento delle aree espositive del museo Bernabò Brea. Un milione di euro dello stesso canale di finanziamento. Lavori ultimati e collaudati nel maggio 2015. È ancora Benfari a dirci come stiano le cose: «Fiore all’occhiello dell’intervento, oltre ad una serie di sistematici scavi archeologici nell’area di Filobraccio a Filicudi, il nuovo allestimento del padiglione delle “Isole minori” non è mai stato aperto al pubblico. Il progetto oltre alla reinterpretazione in chiave contemporanea degli spazi e degli allestimenti con nuove vetrine e modernissimi apparati didascalici, è munito d’impianti di videosorveglianza e di condizionamento dell’aria. Per non parlare della collezione appena restaurata e di una tazza, unica al mondo, risalente all’Età del bronzo, esposta per la prima volta in una teca appositamente realizzata. Recentemente arrivata a Lipari, Cavalier ha apprezzato il metodo e la scientificità dell’intervento di valorizzazione dei reperti. Piccola vetrina di qualche ora, poi silenzio e tutto sprangato a doppia mandata!».
A Poggioreale cingolati in azione nel paese antico
POGGIOREALE (TRAPANI). A cosa sono servite le Linee guida per il recupero della bellezza del paese antico presentate nel 2012 per il 45° del sisma che nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 colpì la vecchia Poggioreale insieme agli altri comuni del Belìce? E dire che c’era pure un progetto pilota condotto nell’ambito della Carta del rischio dal Centro regionale progettazione e restauro di Palermo (omologo dell’ISCR di Roma), allora diretto da Guido Meli. Questo Giornale aveva messo a confronto le due strategie di rivitalizzazione del borgo «archeologizzato», abbandonato in condizione ruderale dopo il terremoto: l’una promossa da un ente pubblico di ricerca, l’altra dallo studio di architettura Orianoassociati (di Lelio Oriano Di Zio, l’architetto delle fantomatiche «case a 1 euro» di Vittorio Sgarbi a Salemi), incaricato dal Comune.
Scartoffie da tenere chiuse in qualche cassetto, se è stato possibile che appena pochi giorni fa veniamo a sapere sempre per bocca di Benfari, allibito testimone del fatto con tanto di fotografie da lui scattate, che i cingoli dei mezzi dei Vigili del fuoco, senza «alcun rispetto per la storia dell’impianto urbano sopravvissuto alla violenza del terremoto, rimuovevano “macerie”, nell’intento di mettere in sicurezza strade, case e palazzi». «Hanno rimosso, per sempre e senza remissione», continua Benfari, «tipologie di scalinate di pietra locale e ciottoli di fiume, basolati e muri perimetrali di giardini, le cui tecniche costruttive, per alcuni dipartimenti delle facoltà di architettura e ingegneria, rappresentano ancor oggi materia di studio sui metodi costruttivi del tempo. Una quantità indefinita di sfabbricidi, ceppaie e materiale di risulta veniva accatastata, addirittura, nelle propaggini dell’antico e ancora “leggibile” teatro comunale! Insieme a molti altri visitatori di quella disgraziata mattina, ci siamo chiesti come sia stato possibile che organi dello Stato, anche se muniti di “autorizzazioni”, abbiano potuto, senza alcuna riverenza per le preziosissime architetture sopravvissute (Poggioreale antica è in lizza per entrare nella World Heritage List UNESCO), brutalizzare con la stessa violenza del sisma (se non di più), un’ancora suggestiva pagina di storia che continua a vivere nella memoria, non solo delle famiglie terremotate, oggi “confinate” nel tristissimo nuovo centro. Di questo scempio che porta la firma di chi invece, per legge (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), è preposto alla tutela e alla valorizzazione, si vuol comprendere l’accanimento su un paese che, se salvaguardato con semplici interventi di messa in sicurezza, può rappresentare il volano e il riscatto delle nuove generazioni che in quelle pietre mute credono. La natura dei luoghi ha una peculiarità essenziale: sono ancora visibili non solo l’assetto urbanistico del paese ma, soprattutto, i volumi e le facciate di chiese e case nobiliari del vecchio impianto seicentesco, gli assi viari, gli affreschi e dipinti, in alcuni casi ancora in ottimo stato di conservazione, malgrado l’abbandono e le infestanti verzure che, frattanto, si sono impadronite di questo luogo magico e senza tempo». Poggioreale antica, infatti, è diventata luogo d’incontro di fotografi di fama internazionale. Qui il regista Giuseppe Tornatore ha girato «Nuovo cinema paradiso», «L’uomo delle stelle» e «Malena».
Com’è stato possibile che l’operato dei Vigili del Fuoco, nella pur necessaria messa in sicurezza, non fosse posto sotto l’alta sorveglianza di un tecnico della Soprintendenza o del Comune? L’epilogo della vicenda scivola nella pantomima. Dal Comune s’intima all’associazione Poggioreale Antica, che dal 2011 si occupa del sito, di rimuovere il post con cui su Facebook denunciava l’accaduto. A riconciliare gli animi, dopo un vivace dibattito sul social network, segue un incontro tra il presidente dell’associazione Giacinto Musso e il sindaco, che nomina il primo «alto sorvegliante» per i prossimi interventi. Quindi, sempre su Fb, Musso minimizza: «Si tratta di pochissimi muri già compromessi (…) certo di danno ce n’è stato, forse era inevitabile (…) ma si impegnano di rimettere a posto alcuni gradini ai piani terra, (…) e tantissime strade ciotolate le hanno ricoperte prima di terra e poi sono passati su coi cingoli. Hanno liberato decine di strade invase da detriti, rovi, alberi di fico selvatici, cosa che noi dell’associazione con pochissime risorse non potevamo certo fare». Benfari non ha dubbi: «Hanno aperto varchi lungo strade inaccessibili, portandosi appresso intere cordonate in pietra e ciottoli». Insomma, non roba da nostalgici ruskiniani. Chissà con quale indice di pericolosità era stato valutato il «rischio antropico» (VVFF, Comune) nel dimenticato progetto della Carta del rischio.
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musei , restauro , sicilia
Last modified: 6 Luglio 2016
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