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Giuseppe VestrucciWritten by: Biennale di Venezia

Biennale 2016: l’Australia a bordo vasca

Biennale 2016: l’Australia a bordo vasca

Con “The Pool”, Isabelle Aileen Toland e Amelia Sage Holliday (Aileen Sage Architects) con Michelle Tabet hanno vinto il concorso bandito dall’Australian Institute of Architects per la partecipazione nazionale. Il tema? Non così disimpegnato come sembra…

 

Dal 2006 l’Australian Institute of Architecs (AIA) organizza la presenza nazionale alla Biennale e, in vista della 15° edizione, nel gennaio 2015 ha bandito un concorso d’idee in due fasi. Alla seconda fase hanno avuto accesso cinque partecipanti, i quali hanno dovuto sviluppare il concept in dettaglio e tradurlo in una mostra che verrà allestita nel nuovo padiglione australiano, inaugurato l’anno scorso per la 56° Biennale d’Arte su progetto dei connazionali Denton Corker Marshall, in sostituzione della struttura realizzata da Philip Cox nel 1988. Coadiuvate da Michelle Tabet, hanno avuto la meglio le australiane Amelia Holliday e Isabelle Toland, le quali appena diciotto mesi prima avevano aperto il loro studio Aileen Sage Architects. Le abbiamo intervistate.

 

L’opportunità  di presentare la vostra idea a Venezia è qualcosa di cui andare fiere. Potete descrivere il vostro concept?

L’opportunità  di presentare “The Pool” alla Biennale di quest’anno è per noi un grande onore. Siamo molto felici di poter far parte di questo palcoscenico internazionale e dialogare sullo stato attuale dell’architettura nel mondo. Fummo spinte a sottoporre la nostra candidatura al concorso dell’AIA poiché interessate a unire il lavoro degli architetti in un contesto narrativo più ampio, che riguardasse la definizione di città e società. Per questo abbiamo avvicinato Michelle Tabet, nota urban strategist che aveva a sua volta di recente aperto uno studio. L’idea stessa della piscina ci ha sempre affascinato fin dall’inizio. Ci stimolava l’idea di concentrarsi su un’unica tipologia architettonica e svilupparne i molteplici significati. Ritenevamo fosse un approccio innovativo che ci avrebbe permesso di visitare luoghi in cui gli architetti solitamente non vanno. Abbiamo rapidamente compreso che, per ognuna delle persone cui parlavamo della nostra idea, la piscina era un luogo ricco di memorie, associazioni, sentimenti ed esperienze. Intercettammo un’idea di uno spazio pubblico molto radicata nella psiche australiana.

 

Il titolo della Biennale 2016 “Reporting from the front” definisce senza equivoci il tono della rassegna. L’architettura deve tornare a guardare verso le comunità  e confrontarsi con le complesse problematiche geopolitiche del ventesimo secolo. Milioni di persone divise da paesi di origine, crescenti livelli di conflitto, un’Europa che sembra aver perso unità: l’architettura deve reagire a questi eventi. Come s’inserisce il vostro tema in questo scenario?

Aravena ha sicuramente definito un senso di urgenza e lanciato una “chiamata alle armi” per un ruolo attivo da parte dell’architettura nel migliorare questo pianeta. Da lontano e da vicino, l’Australia può sembrare una nazione fortunata, con una buona qualità di vita. La realtà è che molte battaglie sociali si combattono nei nostri spazi pubblici, come la piscina. La piscina va interpretata come spazio pubblico vitale della società e mostra i diversi modi in cui il suo carattere pubblico è interpretato. Attraverso la sua lente e parlando con otto illustri australiani attivi socialmente (i campioni olimpici Ian Thorpe e Shane Gould, gli autori Christos Tsiolkas e Anna Funder, l’ambientalista Tim Flannery, il fashion designer Romance Was Born, il curatore di arti indigene Hetti Perkins e il musicista Paul Kelly), abbiamo toccato varie battaglie che si stanno combattendo nel nostro paese, abbiamo rivelato storie personali e collettive di sacrifici, ineguaglianza, lotta per la democrazia e contro la segregazione. Come la nostra ricerca dimostrerà, la piscina fa da sfondo alla vita australiana, nei suoi momenti migliori come in quelli peggiori. Tutto questo affiora fortemente attraverso il nostro approccio alla mostra. La piscina come strumento architettonico delimita un bordo sociale e uno personale. E’ questa metaforica e letterale condizione di bordo che vogliamo esplorare e condividere con il pubblico veneziano.

 

Un osservatore non familiare con l’Australia potrebbe non comprendere immediatamente il nesso tra il vostro tema e la ricerca di Aravena. “The Pool” richiama un elemento vitale per il vostro paese: l’acqua. Se pensiamo che più di metà del continente è desertico, diventa fondamentale per le comunità assicurare un accesso a scorte d’acqua. Inoltre, essendo l’Australia un’enorme isola, tutti devono prima o poi confrontarsi con l’oceano. Può allora la piscina diventare un terreno comune, uno strumento sociale per implementare la democrazia e imparare a rispettare l’acqua?

La domanda coglie perfettamente il più ampio significato della parola “pool”. Le piscine che abbiamo osservato vanno da quelle molto grandi a quelle molto piccole, le pubbliche e le private, quelle eccessive e quelle necessarie. La piscina rappresenta una condizione di surplus e di scarsità nella stessa forma. In particolare, va preso in considerazione il problema della scarsità e dell’utilizzo dell’acqua. Flannery è un grande sostenitore dell’uso responsabile delle nostre risorse come paese. Siamo il continente più desertico sulla terra ma ospitiamo anche una delle più vaste e antiche falde acquifere artesiane nel mondo [il Grande bacino artesiano; n.d.a.], che copre circa un quarto del nostro continente. Ironicamente, questo surplus di acqua, invisibile a occhio nudo, è stato la sorgente di vita del continente fin da quando i primi australiani iniziarono a vivere qui. In seguito all’arrivo degli europei, nel 1788, secondo Flannery il bacino è diventato la terra più ricercata e maltrattata. A livello sociale, le piscine ci parlano anche di relazioni in qualità  di esseri umani con i confini, con l’oceano, con la vastità che ci circonda. Secondo quanto afferma Funder, come persone siamo ancorati ai margini di questo continente; al contempo affascinati e spaventati dalla forza dell’oceano che ne consuma le sponde. Questo tema è molto presente nella cultura australiana e inculcato sin dalla giovanissima età nella forma di scuole di salvataggio, scuole di nuoto e della proliferazione di piscine sulla costa: tutti modi di addomesticare l’ambiente selvaggio in cui viviamo. La piscina ci parla di uno spazio pubblico e dunque di democrazie e dei nostri valori come nazione. In Australia molte piscine sono virtualmente libere nell’accesso; sono preziosi spazi pubblici alla pari di librerie e scuole. Ogni città ha una piscina attorno alla quale la comunità si stringe. Abbiamo scoperto situazioni in cui la sostenibilità economica di questo luogo è stata messa in dubbio e gli australiani sono accorsi in massa per sostenere i loro valori di uguaglianza.

 

Quali sono le vostre attese per questa Biennale?

Si tratta di una grande opportunità per gli architetti da tutto il mondo di confrontarsi con i grandi problemi, quelli che riguardano molti di noi, piuttosto che pochi. Pensiamo che la Biennale dimostrerà che l’architettura ha valore non solo nel suo prodotto finale ma ancor più nei modi in cui approccia e concettualizza le problematiche sociali. Questo è ciò che speriamo di scoprire e imparare a Venezia.

 

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Le curatrici

foto © Alexander Mayes

Aileen Sage Architects è l’alter ego di Isabelle Aileen Toland (Sydney, 1978; a destra) e Amelia Sage Holliday (Sydney, 1980; a sinistra). Fondato a Sydney nel 2013, è uno dei principali studi di architettura emergenti dell’Australia. Progetti recenti includono la nuova sede di Sydney per l’iniziativa governativa Artbank, servizi pubblici per la Municipalità e residenze private vincitrici di molteplici riconoscimenti. Toland si è laureata presso l’Università di Sydney, mentre Holliday presso l’Architectural Association di Londra e l’Università del New South Wales. Insieme hanno insegnato presso le tre scuole di architettura a Sydney e presso l’Istituto nazionale d’arte drammatica (NIDA). Michelle Tabet (Binghamton, New York, 1984; al centro) è urbanista e direttrice della propria compagnia di consulenza a Sydney. Cresciuta a Parigi e laureata rispettivamente in Scienze politiche e Pianificazione urbanistica presso l’University College di Londra e la Columbia University di New York City, si è specializzata nei campi del visioning e del briefing per i progetti urbani significativi. Collabora attivo con i media sui temi dell’architettura e della città.

Autore

  • Giuseppe Vestrucci

    Nato a Forlì nel 1977, completa i suoi studi presso l'Università di Firenze nel 2004 con una laurea magistrale in Architettura. La sua educazione professionale si fonda sulla progettazione su media e grande scala, con specializzazione in commercial high-rise e grandi infrastrutture per aviazione e trasporto. Dopo la laurea si trasferisce a Londra, dove collabora con Claudio Silvestrin Architects. Rientrato in Italia nel 2005, lavora presso Antonio Citterio & Partners a Milano. In seguito collabora a Roma con Fuksas Associates, come project architect. Dal 2010 vive a Perth, dove ha lavorato per Hassell e Woods Bagot in qualità di senior project architect.

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Last modified: 22 Marzo 2016