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Carmen AndrianiWritten by: Professione e Formazione

Manuel Gausa (1959-2025)

Manuel Gausa (1959-2025)
Progettista, studioso, educatore. Da Barcellona a Genova, dove insegnava dal 2008, ha spinto a intendere l’urbanistica in una logica relazionale

 

Mancato improvvisamente, Manuel Gausa è figura che ha saputo innovare la disciplina urbanistica e il modo di guardare e di intendere le città e i territori. Anche nel rapporto con la cultura progettuale italiana.

 

Approcci rifondati e partecipazione militante

Sin dalla metà degli anni ’90, i nostri percorsi – professionali e intellettuali – si sono spesso intrecciati, condividendo un comune sentire critico e “militante” verso la disciplina. Eravamo una generazione di giovani ricercatori e architetti impegnati nell’osservazione dei territori che cambiavano: la città che si espandeva oltre le mura, i paesaggi post-industriali, le pratiche dell’abitare inedite e ancora fuori dai canoni disciplinari, il nuovo senso degli spazi pubblici nella dimensione dispersa della città metropolitana.

In quel clima di rifondazione radicale che accomunava gran parte della nostra generazione, si formò in Italia, un gruppo informale ma coeso, che guardava con interesse e affinità ai coetanei spagnoli, tra cui Manuel Gausa, con cui si instaurò uno scambio intenso e fertile, fatto di confronti diretti, progetti comuni, ma anche di posizioni condivise, come la critica alle derive formalistiche del postmoderno che ci aveva preceduto.

Gausa portava con sé una carica intellettuale fortissima, una lucidità visionaria, un’attitudine progettuale attiva e anticipatrice. Il suo lavoro – culminato nella fondazione dello IAAC (Institute for Advanced Architecture of Catalonia) – si muoveva con consapevolezza all’interno della rivoluzione digitale, cercando di governarne gli effetti sull’architettura, sulla città, sull’ambiente. Insieme ad altri autori, fu promotore del “Metapolis Dictionary of Advanced Architecture”, una sorta di manifesto collettivo che rispecchiava lo spirito del tempo e la volontà di ripensare radicalmente la disciplina nell’era dell’informazione.

La corrispondenza di ricerche e iniziative fu fertile e di lunga durata. Uno dei tanti esiti di questo intreccio fu l’esperienza della ricerca nazionale Re-Cycle Italy, che partendo dalla osservazione dei brani di città e del territorio considerati di scarto o abbandonati, ne prevedeva il recupero a un nuovo ciclo di vita ribaltando il punto di vista: da scarto a opportunità di rigenerazione.

 

Il progetto che si fa relazione

Nel nostro lavoro comune, soprattutto a Genova, abbiamo spesso incrociato le competenze (architettura e urbanistica, progetto e paesaggio) costruendo laboratori condivisi e occasioni di ricerca che mettevano al centro una visione urbana dinamica, relazionale, orientata all’azione. Il progetto veniva inteso come idea, come gesto e come rappresentazione pubblica, capace di generare nuove condizioni, più che nuovi oggetti.

Questo approccio ebbe uno dei suoi esiti più efficaci nell’edizione di WAVE 2009 (Workshop internazionali estivi) dello IUAV. Avevamo due atelier distinti e ricordo come Manuel in quella occasione spinse al massimo la sua attitudine relazionale e creativa concentrandosi sullo spazio pubblico in questo caso sul campo veneziano: mettendo al centro il corpo (anche in questo caso anticipatore) e la sua relazione sia con lo spazio fisico che con quello virtuale.

Questo nella convinzione comune che lo spazio pubblico urbano non corrispondesse più ai rituali per cui era stato creato, né avesse più lo stesso significato simbolico, ma dovesse essere reso dinamico e relazionale attraverso una partecipazione attiva. Per Gausa il progetto era pensiero (idea, raffigurazione della mente), azione (scendere in campo) e rappresentazione (teatralmente rappresentata).

La forma doveva scaturire da una sorta di attivismo costruttivo, e non avrebbe mai prodotto un oggetto isolato ma azioni di attenzione urbana, interventi plastici in luoghi strategici, scenografie, installazioni, playground temporanei in forma di gioco, una sorta di guerriglia urbana in versione ottimistica e creativa. Non più formati unici ma architettura e città, dinamiche relazionali, interattive, evolutive.

 

La sua Barcellona

Barcellona è stata per Manuel Gausa non solo il luogo della formazione e dell’attività professionale, ma anche l’oggetto privilegiato di una riflessione critica profonda. In testi come “Hyper-Catalunya. Strategie per una nuova geo-urbanità”, Gausa ha decostruito le narrazioni ufficiali della città post-olimpica, opponendosi a una visione calligrafica e formalista dello spazio urbano.

La sua lettura della città era orientata a coglierne la struttura policentrica, interrelata, diffusa, più come rete di relazioni che come corpo monolitico. Per lui, Barcellona doveva diventare “infrastruttura relazionale” più che “struttura agglutinante”, andando oltre la retorica della città di città per entrare in una dimensione metropolitana realmente plurale.

Gausa ha saputo allargare lo sguardo alla scala geografica, reinterpretando i paesaggi muti del territorio come materia viva da reinventare, proponendo una vera e propria riconfigurazione delle ontologie urbane. In questo senso, la sua Barcellona non è solo una città fisica ma anche un progetto teorico e politico sulla città contemporanea.

 

Educatore a Genova

A Genova, Gausa ha diretto per quasi un decennio il dottorato, portando la sua visione trasversale e inclusiva all’interno del contesto accademico. Ha saputo tenere insieme le differenze, creare ponti tra saperi, mettere in relazione ricercatori e approcci, sempre con generosità, apertura e rigore. Abbiamo condiviso molti momenti formativi e progettuali, dai laboratori integrati dell’ultimo anno della magistrale (in cui fondemmo le nostre rispettive competenze in una didattica di frontiera), fino alle esperienze di ricerca e ai workshop internazionali.

Ricordo in particolare il lavoro congiunto sulla Val Polcevera dopo il crollo del ponte Morandi, i workshop internazionali a Reus, in Catalogna, il convegno internazionale “Resili[G]ens” – altro neologismo suo, pieno di senso – ovvero “Intelligens Cities e Resilient Landscapes” su metodi, strumenti e rimedi per far fronte alle fragilità globali del pianeta, e ancora i molti inviti internazionali e il memorabile convegno su “Giancarlo De Carlo e Barcellona”, la cui pubblicazione è ancora in corso.

Erano momenti in cui la didattica si trasformava in comunità di ricerca, e la ricerca diventava occasione per costruire relazioni vere, fondate sul confronto e sul rispetto. Anche i momenti informali – le cene, le gite, le chiacchiere a tavola con studenti e colleghi – erano parte integrante di questo modo libero, ma profondamente consapevole, di intendere il nostro mestiere.

 

Una generazione senza cronisti

Come qualcuno ha detto, siamo una generazione senza cronisti. Eppure, nel ricordare Manuel Gausa, sento il dovere di restituire almeno una traccia di quel modo comune di intendere l’architettura, la città e l’ambiente: con passione, con attenzione critica, con senso civico, con creatività e razionalità insieme. Manuel era un visionario concreto, un intellettuale appassionato, un professore fuori dagli schemi e un amico insostituibile.

La sua eredità è viva nelle idee, nei progetti, nei segni lasciati, ma anche nelle persone che ha saputo coinvolgere, ascoltare, formare. E in quel modo irripetibile di stare nel mondo con leggerezza e profondità insieme.

 

Immagine di copertina: Manuel Gausa in una foto scattata nel 2021 a Reus durante la prima edizione del workshop internazionale The city foreseen (@Arturo Frediani)

Autore

  • Carmen Andriani

    Carmen Andriani, architetta, già docente di Progettazione Architettonica presso il DAD dell’Università di Genova, ha ricoperto numerosi incarichi istituzionali ed è stata visiting professor in scuole internazionali. I suoi progetti sono stati esposti alla Biennale di Venezia (1996, 2000, 2006, 2008) e alla Triennale di Milano. Finalista nel 2008 per la curatela del Padiglione Italia alla Biennale, ha promosso e curato la conferenza Ricordo al futuro, su una nuova nozione di Patrimonio. Ha fondato e diretto le collane Le Forme del Cemento e Immagine e Forma, ed è autrice di numerose pubblicazioni. Nel 2014 ha fondato il Coastal Design Lab sul patrimonio industriale dismesso, i cui esiti sono pubblicati nel volume Patrimonio di Confine (con Moretti e Servente, Sagep, 2024). È stata consulente per il nuovo ponte sul Polcevera (2018) e nel 2020 ha vinto, con un team di progetto, il concorso per il restauro del Ponte Musmeci a Potenza. Ha realizzato interventi urbani a Roma, tra cui il Percorso Storico Monumentale Trevi-Pantheon. Vive fra Genova, Roma e Milano.

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Last modified: 17 Settembre 2025