Un maestro d’altri tempi: architetto, designer e pittore, autore di progetti sensibili, poetici, mai gridati ma attuali
Umberto Riva, architetto, designer e pittore, è morto all’età di 93 anni a Palermo, città dove insegnò agli inizi degli anni ottanta. Progettista di grande e raffinata maestria, se n’è andato via in punta di piedi, come del resto è sempre stato il suo modo di vivere. Ha saputo distinguersi nel design industriale, così come nell’arredo d’interni, nell’edilizia residenziale e nelle sistemazioni urbane per la sua stimolante complessità, una ricerca mai banale in cui non ha mai perso la sua identità e lasciando ad altri il ruolo di “archistar”.
Nato a Milano, Riva si laurea in Architettura nel 1959 a Venezia, dove l’incontro con Carlo Scarpa gli sarà fatale: “Mi ha insegnato l’intensità dell’architettura“. L’anno seguente inizia la sua attività professionale a Milano. Distante dal mondo accademico, pur avendo avuto incarichi a contratto per l’insegnamento di Arredamento e Architettura degli interni presso le Università di Palermo, Venezia e Roma,
Riva sviluppa una sua personale ricerca che lo porta ad affrontare in modo sofisticato vari ambiti disciplinari. Nel design, per esempio, con le lampade Franceschina o GiGi (Fontana Arte, 1989) e tante altre che sono state ispirate dal lavoro di Fausto Melotti e Constantin Brâncuși. Ha disegnato arredi e lampade per Artemide, Barovier & Toso, Bellato, Bieffeplast, FontanaArte, Driade, Giustini/Stagetti, IB Office, Montina, Morelato, Poltronova e per Tacchini.
Si è occupato anche di arredo e sistemazioni urbane, come in piazza San Nazaro in Brolo a Milano (1992), allo Sperone del Guasco ad Ancona (1988), alla Marina di Petrolo a Castellammare del Golfo (Trapani, 1980), nella Circonvallazione esterna a Vita (Trapani, 1980) e nel piazzale della Farnesina a Roma (2002). E poi, molte abitazioni come la sua prima casa per vacanze a Stintino (Sassari, 1958), la casa per vacanze a Oliveto Lario (Como, 1962), la Cooperativa d’abitazione in via Paravia a Milano (1966), e tante altre come la raffinata casa Frea a Milano (1983). Non si è mai tirato indietro, spaziando in vari ambiti progettuali come, in anni recenti, nella chiesa di San Corbiniano a Roma (2011).
Nei suoi lavori, che si tratti di spazi domestici, appartamenti urbani o locali pubblici, emerge il suo carattere inquieto e radicale, in cui la ricerca della forma porta con sé una più intima riflessione sull’abitare. Un lavoro che è stato in gran parte definito dalla creazione d’interni caratterizzati dalla luce e dalla leggerezza, un minimalismo elegante ed accogliente. È sempre stato considerato un architetto “fuori dal coro” e per molti aspetti “anacronistico”, lontano dal mondo digitale: i suoi disegni fatti a mano raccontano i progetti nei minimi dettagli e sono delle vere opere d’arte. Nulla sfuggiva ai suoi occhi: ogni minimo angolo, taglio, colore o vista era studiato e nulla accadeva per caso.
Un vero maestro d’altri tempi che, con il suo lavoro, ha sottolineato il piacere della manualità trasmettendo, con gli schizzi e i dettagli, la passione verso il mestiere e la sua profonda conoscenza di strumenti, materiali e tecnologie. In questa dimensione “artigianale” del fare architettura, Riva rimane un architetto lontano dai tempi moderni per molti aspetti. Nonostante questo, la sua architettura, progettata e costruita, è sensibile, poetica, mai gridata ma comunque attuale.
Ha allestito anche diverse mostre, in cui è riuscito a mettere in scena il rapporto complesso tra le opere esposte, la narrazione curatoriale e lo spazio del museo, dimostrandosi uno dei migliori eredi della rivoluzione museografica italiana del secondo Novecento.
Nel 2003 ha ricevuto dalla Triennale di Milano la Medaglia d’oro all’architettura italiana e, nel 2018, quella d’oro alla carriera. A maggio 2018, David Chipperfield Architects Studio gli ha dedicato, all’interno del proprio atelier milanese, una mostra dal titolo “Chipperfield approda a Riva: incontro sulla stessa sponda del Naviglio”.
Le sue parole erano sempre ponderate, acute, intelligenti, intense… Così come carichi di significato erano anche le sue pause e i suoi silenzi, quando si conversava con lui. Così, del resto, come ogni suo progetto, di un’eleganza rara.