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Written by: Design Reviews

XXII Triennale: no architettura, è tutto design

XXII Triennale: no architettura, è tutto design

Top & flop, canti e controcanti: report semi-serio dalla mostra “Broken Nature”, a cura di Paola Antonelli, al Palazzo dell’Arte di Milano

 

MILANO. Eccola, la XXII Triennale: 6 mesi di mostra (anzi mostre, al plurale, a restituire una complessità che è sia di programma sia di contenuti) nel Palazzo dell’Arte di Parco Sempione (fino all’1 settembre). La cura è di Paola Antonelli: «Il rapporto tra esseri umani e natura è formato da una miriade di legami diversi – così spiega il senso dell’evento, sintetizzato nel titolo “Broken Nature”. Negli ultimi due secoli, a ritmo vertiginoso, alcuni di questi nessi sono stati recisi irreversibilmente. Noi – un “noi” che non coinvolge tutti gli esseri umani allo stesso modo – abbiamo deforestato, trivellato, estratto e spianato le cime delle montagne. Abbiamo depositato particelle radioattive che altereranno gli habitat per secoli, inquinato con i pesticidi e portato diverse specie all’estinzione. Abbiamo fatto scomparire lingue antichissime e soppresso tradizioni, abbiamo indottrinato, omologato e decimato culture ancestrali. Alcuni di questi legami potrebbero essere recuperati o ricostituiti, ma solo con interventi ben ponderati. Un nuovo atteggiamento è necessario». Nella scelta di affidarsi a lei, il presidente, Stefano Boeri, ribadisce alcuni caratteri del suo lavoro: trasversalità scalare (dal grandissimo al piccolissimo), ricerca spasmodica di temi contemporanei (in questo caso l’ampio campo della sostenibilità), spiccata ibridazione disciplinare (all’interno della quale il ruolo del progetto e dell’architettura sfuma in un’ambiguità tanto affascinante quanto spiazzante).

La mostra tematica principale si snoda nelle sale del primo piano del Palazzo dell’Arte. Si compone di circa 100 lavori selezionati (c’è tanta ricerca e stimolanti studi scientifici, pochissima architettura), oltre a quattro lavori speciali commissionati a Formafantasma, Neri Oxman, Sigil Collective e Accurat. Sempre al primo piano si possono visitare due sezioni che accompagnano la mostra tematica: l’installazione luminosa e sonora The Great Animal Orchestra, realizzata da Bernie Krause e United Visual Artists su iniziativa della Fondation Cartier pour l’art contemporain e il percorso speciale dedicato al mondo vegetale La Nazione delle Piante, curata da Stefano Mancuso. Distribuite su entrambi i piani del Palazzo dell’Arte le 22 partecipazioni nazionali, sotto l’egida del Bureau International des Expositions attraverso canali governativi ufficiali.

Nel primo weekend di apertura al pubblico la nostra redazione ha visitato “Broken Nature”, restituendo le impressioni suscitate da un evento culturale sicuramente significativo, attraverso un semi-serio elenco di top&flop.

 

Top

1. L’ambizione. È una mostra non banale né scontata, che guarda al futuro e vuole collocarsi nel solco delle Triennali che hanno segnato un’epoca. «”Broken Nature” celebra il potere rivoluzionario dell’immaginazione e dell’inventiva», scrive Antonelli.

Gli anni nei quali si reclamava l’immaginazione al potere non hanno poi avuto un luminoso futuro: questi lo avranno? O si tratta sempre di ritorno al futuro? The Limits to Growth è del 1972, mentre nel 1968 Aurelio Peccei fonda il Club di Roma per avviare il dibattito internazionale sul futuro del pianeta Terra: noi siamo i loro “future studies”. Tutti avvisati.

2. The Great Animal Orchestra, l’affascinante orchestra di suoni della natura riprodotti, è un luogo magico e stimolante, capace di costruire un’atmosfera coinvolgente. Una piccola perla nel percorso espositivo.

Già visto a Parigi nel 2016. Sempre bello, ma non nuovo.

3. L’approccio di Stefano Mancuso e la sua visione del mondo vegetale. Spazia tra notizie sorprendenti e strane provocazioni, come quella di creare una nuova Nazione delle Piante, con tanto di carta costituzionale. Trasversale nell’approccio e negli esiti.

Nel 1961 Brian Aldiss pubblicava The Long Afternoon of Earth (trad. it., Il lungo meriggio della terra, 1962): il regno vegetale, mutato, è proliferato a dismisura, sostituendosi alla vita animale, e l’umanità si è trasformata, alta 30 centimetri, adattata alla vita arborea sotto un Sole rossastro che dardeggia su una Terra che vive un lungo meriggio.

4. Una serie di fotografie, di grande formato ed esposte in luoghi nodali del percorso espositivo, tracciano una sequenza di forte impatto. La natura rappresentata in maniera paradigmatica (anche nei suoi contrasti e nei suoi rischi) convince molto più di certi approfondimenti.

Che l’immagine sia più forte delle parole? O che le parole non siano poi così forti ed i concetti poi non così chiari?

 

5. All’ingresso del Palazzo dell’Arte c’è un piccolo spazio – su due piani – che si propone come un Urban Center in trasferta. Al di là dei suoi contenuti, ovviamente tendenti ad enfatizzare l’orgoglio milanese di una città in forte trasformazione, sembra positiva la connessione di questa Triennale, assolutamente internazionale (per certi versi anche troppo), alla città che la ospita.

Ma la nuova casa dell’Urban Center è qui stabile e apre raccontandoci la città del 2030: ambizione anche in questo caso?

 

6. La mostra si gioca su una spiccata integrazione di modalità e linguaggi. Con il rischio, sempre presente, dell’effetto fiera di paese. Spicca per qualità e profondità l’apparato interattivo di molti dei progetti presentati. Video, schermi, installazioni che richiedono un’intensa partecipazione da parte del visitatore. In questo senso “Broken Nature” è una mostra da capire e studiare, più che da vedere, saltellando velocemente da un lavoro all’altro.

In loco abbiamo sentito dire che è meglio farsi raccontare questa Triennale che vederla… 

 

7. L’ingresso alla mostra principale nell’impluvio al primo piano, ad enfatizzare la centralità del luogo, e così del tema. Installazioni simboliche ed emblematiche contro le finestre che si aprono su Parco Sempione. Un percorso che, in alcuni settori, non rinuncia a cambi di livelli che permettono viste inaspettate sugli spazi interni del Palazzo dell’Arte. Il progetto allestitivo, almeno nella mostra tematica, ricerca punti di contatto e di sovrapposizione con il luogo speciale che la ospita.

Si fa fatica a riconoscere il Palazzo dell’Arte come il luogo di memorabili allestimenti negli ultimi 80 anni.

8. Non i soliti nomi, non i soliti cliché. Pur con alcune digressioni gratuite, il catalogo offre punti di vista di sicuro interesse, garantendo due pagine a tutti i progetti in mostra, accorpati intorno ad alcuni temi. Semplice e non pretenzioso, lascia una testimonianza del momento storico che questa Triennale vuole interpretare.

Non si capisce perché, ma il momento storico ci porta sempre più a guardare il passato e non il futuro…

9. Tra le non memorabili partecipazioni nazionali, il Padiglione Olanda spicca per la presentazione di un “panorama” interattivo e per il collegamento alla mai aperta Triennale del 1968, curata da Giancarlo De Carlo, attraverso il lavoro presentato da Aldo van Eyck.

Da notare anche la scala di Ramous finalmente riportata alla luce dietro al bookshop, monumento brutalista in cemento armato che a quegli anni ci rimanda e oggi ospita il padiglione Germanico con le belle foto di Armin Linke. Fra gli ardimentosi che parlano di architettura anche i simpatici cubani, che raccontano la straordinaria storia delle Scuole d’arte di Garavatti, Gottardi e Porro, e il glorioso Politecnico di Milano che ben rappresenta l’Italia.


Flop

1. La prima domanda, sicuramente banale e scontata, potrebbe essere: ma l’architettura dove sta? La risposta è in un’idea di progetto che si pone come strumento capace di riparare i danni che l’umanità ha inferto alla natura. Che convinca o no questo approccio, la definizione di “design ricostituente” pare davvero poco efficace.

Aggiornarsi. No Architettura, tutto Design.

 

2. Malignamente si potrebbe dire che la grafica riflette la complessità (o confusione o caoticità) di questa Triennale: è difficile da comprendere, perfino nelle super-essenziali mappe distribuite. Spaesano più che orientare i visitatori.

Mai pensato che la grafica servisse a leggere meglio e ad orientarsi con precisione.

3. Non brillano le partecipazioni nazionali. Quelle ospitate al piano terra scontano poi una collocazione infelice e una compartimentazione, attraverso pannelli bianchi a tutta altezza, vagamente claustrofobica.

Se un luogo è piccolo bisogna renderlo ancora più angusto. Stressare il concetto (ed il visitatore), estremizzare l’esperienza.

4. “Broken Nature” è stato anche un intenso e lungo tragitto di avvicinamento all’apertura, svolto attraverso ricerche, convegni, simposi, incontri. A testimoniare questo lavoro di studio, alla conclusione del percorso della mostra tematica addirittura una piccola biblioteca di riferimento. Piacerà sicuramente agli studiosi del tema, ma tutta questa entropia di documenti limita fortemente la chiarezza di quella che è – e dovrebbe restare – una mostra.

Piccoli, cari, vecchi libri: ci danno sempre un conforto ed una consolazione. Ne avremmo voluti molti di più.

5. La Triennale precedente era diffusa in tutta la Lombardia, con numerose sedi espositive. Questa non riempie nemmeno il Palazzo dell’Arte (contenitore forse non del tutto adatto al contenuto). Nella grande curva al piano terra è stato infatti spostato il Museo del Design, verso cui tanti visitatori si dirigono. E nemmeno all’esterno, ad eccezione delle bandiere nazionali che coronano la facciata principale, non c’è nulla che dichiari l’importanza di questo momento.

È una Triennale completamente dimentica della città e del territorio (anche del senso del bello che contraddistingue la cultura italiana), immemore della lunga tradizione di esposizioni ed architetture nel parco, suo dehors naturale. Forse in questo è esattamente lo specchio di un momento di crisi, evidente anche nelle difficoltà finanziarie che hanno influenzato molte scelte.

6. Teli e tessuti, di varia foggia e colore, caratterizzano un allestimento, rendendolo in alcuni scorci troppo simile ad un mercato mediorientale.

L’allestimento è provvisorio e una tenda risolve sempre mantenendo ancora viva la speranza che dietro il velo ci sia qualcosa.

7. La domanda finale, dopo il percorso, è: ma cosa è questa Natura? Tutto e niente. Questa Triennale aiuta a riflettere. Ma forse non a darsi risposte.

Gli obiettivi dichiarati sono che coloro che visitano la mostra possano uscirne portando con sé idee per la vita di tutti i giorni, che sia trasmessa la complessità dei sistemi in cui viviamo e che ci sia sensibilizzazione sulla prospettiva di lungo termine. Forse non risposte, ma compiti per casa sicuramente.

XXII Triennale di Milano: Broken Nature: Design Takes on Human Survival

Aperta fino all’1 settembre 2019. Biglietti: 18 euro (intero) / 14 euro (ridotto)

www.brokennature.org

Catalogo: La Triennale di Milano in partnership con Electa. Di Paola Antonelli e Ala Tannir, 368 pagine, 28 €

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Last modified: 5 Marzo 2019