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Ri_visitati. L’ex fabbrica Bugatti, meteora blu

Ri_visitati. L’ex fabbrica Bugatti, meteora blu

Alle porte di Modena, una pregevole testimonianza di architettura industriale di fine Novecento abbandonata a tre anni dall’entrata in funzione, riemerge nelle immagini e nel ricordo degli ex dipendenti grazie a un film-documentario che s’interroga sul suo destino

 

Il passato

Ettore Bugatti (Milano, 1881 – Neuilly-sur-Seine, 1947) fonda la sua casa automobilistica in Alsazia nel 1909 e produce fino al 1963 le auto che diverranno note per la loro esclusiva eleganza e la sofisticata tecnologia

. A fine anni ottanta, uno dei più importanti commercianti italiani di auto, Romano Artioli, è deciso a riportare alla luce dopo molti anni di silenzio il prestigioso marchio e lo acquisisce dallo stato francese che ne detiene la proprietà.

L’ambizioso progetto ha inizio con la costruzione della fabbrica di Campogalliano, su un’area di circa 32.000 mq a due passi da Modena. Artioli forma una qualificata squadra di tecnici e ingegneri che recluta nella “terra dei motori” e vuole che la nuova avventura imprenditoriale avvenga in un luogo di lavoro d’eccellenza.

La fabbrica è progettata dallo studio di architettura Benedini & Partners di Mantova e concepita come un avveniristico quartier generale ai bordi dell’autostrada del Brennero. I volumi che contengono gli uffici e gli spazi di rappresentanza sono prismi puri a pianta circolare e quadrata, blu come il colore della livrea Bugatti, e sono affiancati dai due volumi a pianta rettangolare dei laboratori di prova, colorati di bianco e blu. I reparti di “produzione, assemblaggio ed esperienza” sono invece ospitati nei grandi volumi a shed caratterizzati dalla sequenza ritmata dei setti verticali in cemento armato aperti verso il paesaggio. L’architettura di Benedini è scenografica e pensata in rapporto alle auto che scorrono sulla A22; istituisce un dialogo tra fabbrica e autostrada sancendo un principio che si ritroverà in altre celebri architetture realizzate lungo le arterie autostradali. Ma la fabbrica voluta da Artioli è, prima ancora, un luogo di lavoro che ha la finalità “sociale” di creare un forte legame di comunità fra coloro che vi lavorano, a prescindere dal ruolo e grado aziendale. Le soluzioni studiate per gli interni sono ricercate e d’avanguardia. Emblematiche le strutture in cemento armato che sorreggono i solai del cilindro degli uffici – la cui soluzione a raggiera richiama il disegno dei cerchi delle ruote e integra al suo interno la distribuzione degli impianti – e l’incredibile luminosità dello stabilimento di produzione ottenuta grazie agli shed verticali e orizzontali.

Tuttavia, nonostante tali presupposti, l’avventura della Bugatti italiana è una breve parentesi che si chiuderà con il fallimento della società: l’avveniristica fabbrica, completata nel 1993, rimarrà attiva solamente tre anni e verrà abbandonata nel 1995.

 

Il presente

Locandina del docufilm La fabbrica Blu

Il 25 settembre, in occasione della fiera Motor Gallery di Modena, è stato presentato il film documentario “La fabbrica blu”, nato da un’idea del giovane regista modenese Davide Maffei e prodotto da Gilson/Imago Orbis. Secondo una personale cifra documentaristica già apprezzata nel suo primo lavoro – dedicato al Villaggio ENI di Borca di Cadore – il lungometraggio ricostruisce le tappe fondamentali della fulminea parabola Bugatti e della fabbrica alle porte di Modena. Dalla viva voce di chi quell’esperienza l’ha vissuta in prima persona, riemerge a chiare lettere il sogno idealista di Artioli e il suo intento di dar forma a un esperimento che univa il lato umano alla qualità architettonica e all’eccellenza di un prodotto automobilistico che, pur nei pochi modelli prodotti (EB110, EB110ss, EB112), ha dimostrato di avere pochi eguali. Nelle interviste agli ex dipendenti la fabbrica rivive come una casa in cui un gruppo di circa 200 persone divennero una “famiglia” di lavoratori e strinsero un legame ancora presente e sopravvissuto all’amaro epilogo.

Oggi il marchio Bugatti appartiene al Gruppo Volkswagen, che l’ha acquisito nel 1998, e la produzione dei nuovi modelli è stata riportata in Francia, a Molsheim, dove in origine erano gli stabilimenti di Ettore Bugatti. La fabbrica modenese è stata acquistata all’asta fallimentare da una società immobiliare romana ma è inutilizzata da vent’anni. Per arginare l’abbandono e impedire in qualche modo che l’incuria la divori definitivamente, l’ex custode Ezio Pavesi se ne prende cura generosamente aprendone anche le porte a chi la volesse visitare.

 

Il futuro

Il futuro dell’ex fabbrica Bugatti non è ancora scritto

. In varie occasioni è tornata momentaneamente d’attualità, in occasione della presentazione di proposte che prospettavano una conversione dell’intera area con finalità commerciali o produttive. L’episodio forse più significativo risale al 2010, allorché la società proprietaria ha presentato un progetto di riutilizzo come insediamento commerciale di tipologia alternativa, integrato ad attività alberghiere e servizi pubblici. In funzione di questa proposta e in accordo con il Comune di Campogalliano è stato sviluppato un piano particolareggiato, in variante allo strumento di pianificazione generale comunale, nel quale si prevedeva il recupero dei volumi esistenti e l’integrazione con altri da edificare sulle aree libere. Ma il piano non ha mai avuto attuazione e, a distanza di sei anni, per il comparto non sembra vi siano prospettive concrete di riqualificazione.

Fabbrica Bugatti: rendering dell'ipotesi di progetto del 2013

 

In questa situazione di stallo il film-documentario di Maffei ha una duplice valenza: da un lato, colma l’oblio nel quale è precipitata un’esperienza che, al di là del fallimento imprenditoriale, vale la pena di essere conosciuta e ricordata; dall’altro, cerca di sensibilizzare gli addetti ai lavori e l’opinione pubblica nei confronti di un esempio di architettura industriale (ormai reperto “archeologico” del Novecento) che non va dimenticato. In un momento storico in cui sono attuali i temi della “rigenerazione” e del recupero delle aree dismesse e degli edifici “moderni”, un simile caso meriterebbe maggiore attenzione, anche per preservarlo dall’eventualità di progetti di rifunzionalizzazione che potrebbero cancellare la testimonianza della sua architettura.

 

È possibile visitare l’interno della ex fabbrica Bugatti contattando il sig. Ezio Pavesi (338.9313173)

 

Per_approfondire

Il progettista

benedini_associati

Benedini & Partners è uno studio multidisciplinare, con sedi a Milano e Mantova, che si occupa di architettura civile e industriale, ristrutturazioni, restauro e design. Partner dello studio sono gli architetti Giampaolo e Camilla Benedini, entrambi laureati al Politecnico di Milano. Giampaolo Benedini ha iniziato la sua attività professionale negli anni settanta e durante l’incarico per la costruzione della fabbrica Bugatti si è occupato del progetto architettonico, ha curato l’architettura degli interni, il disegno degli arredi e anche il design di alcuni dei modelli prodotti a Campogalliano.

La cronologia del progetto

Edifici prove motori e produzione: 1988-1989

Edificio uffici: 1989-1990

Edificio servizi e mensa: 1990-1991

Edificio trasmissioni ed emissioni: 1992-1993

Autore

  • Marco Adriano Perletti

    Architetto e PhD, svolge attività professionale occupandosi di progettazione architettonica e paesaggistica, pianificazione urbanistica e valutazione ambientale strategica. Ha svolto attività didattica al Politecnico di Milano partecipando a programmi di ricerca. Collabora con «il Corriere della Sera» e ha pubblicato: «Nel riquadro dei finestrini. L'architettura urbana nello spazio cinetico» (Milano 2005); «Novara. Sebastiano Vassalli tra città e paesaggio globale» (Milano 2008); con A. Femia e M. Paternostro, «1 e 3 Torri. Palazzo MSC a Genova» (Parigi 2017); «Architettura come Amicizia. Conversazioni con Mario Botta, Aurelio Galfetti, Luigi Snozzi, Livio Vacchini» (Brescia 2018); "Costruire sostenibile con la canapa. Guida all’uso in edilizia di un materiale naturale e innovativo" (Santarcangelo di Romagna, 2020)

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Last modified: 4 Ottobre 2016