Perdersi nella città dei nuovi faraoni. Riceviamo e pubblichiamo una fotocronaca di viaggio
Dubai appare all’improvviso dal mare e dall’alto dell’aereo sembra Los Angeles. Si atterra perpendicolari alla costa, al di sotto scorre il fiume di macchine bianco e rosso della Sheikh Zayed Road, una strada a 16 corsie che fa da diga con i suoi grattacieli schierati tra il mare e i quartieri residenziali a bassa densità. Nel tessuto urbano esteso a perdita d’occhio, si scorge il Burj Khalifa; nonostante i suoi 828 metri sembra una piccola torre di mattoncini Lego, in mezzo all’oceano luminoso dei distretti finanziari che lo circondano. Il Dubai Intenational Airport è immenso e lungo, il controllo dei passaporti ed il ritiro dei bagagli avvengono in una specie di centro commerciale luminoso e pulitissimo, un biglietto da visita molto esaustivo per capire in quale “nuovo mondo” si è arrivati.
Lo sviluppo della città è avvenuto principalmente in direzione opposta all’aeroporto, verso sud, fattore che ha generato un progressivo abbandono dell’area del centro storico di Bur Dubai, spostando l’attenzione verso nuove centralità a ridosso del lungomare. Di queste, la più recente e vitale è Dubai Marina, raggiungibile da Bur Dubai con la Red Line della metropolitana che scorre parallelamente alla Sheikh Zayed Road. Di fronte a Dubai Marina è in costruzione la ruota panoramica più grande del mondo, la Dubai Eye, mentre nella promenade The Walk passeggiano famiglie dubaine e di tutto il mondo; molte hanno preso casa nei grattacieli della nuova marina e vivono qui.
Il centro storico si affaccia sul Creek (Khor Dubai), le sue strade sanno di Pakistan o India: i negozi, le scritte, i vestiti, le macellerie, i profumi dei cibi, i gruppi di uomini che si tengono per mano. Dubai ha abdicato: il centro “brutto e sporco” l’hanno lasciato agli indiani, la storia della città non è più qui, ad eccezione di una pallida ricostruzione di cartapesta nel quartiere di Bastakiya, dove s’insediarono i persiani arrivati in questo lembo di deserto affacciato sul mare per pescare le perle. I battelli con neon colorati, i tipici dhow, portano qualche turista su e giù lungo il Creek, sparano musica grosso modo araba interrotta da Celine Dion o dai Queen.
Un’altra importante centralità sta sorgendo in posizione intermedia tra Dubai Marina e il Creek, nella zona di The Dubai Mall; al momento è il più grande degli Emirati Arabi Uniti. Dentro c’è un enorme acquario con diversi squali e un souq più vero del souq vero; in alternativa si può usare una pista di pattinaggio incastrata tra i ristoranti e i negozi di moda italiana o francese. Dentro tutto è iper condizionato, fuori ci sono 44° e la città è un deserto infuocato, abitato solo dalle squadre di operai degli enormi cantieri sempre aperti. Il grattacielo di Burj Khalifa domina splendente ed inaccessibile; di fronte, nel cantiere delle torri Sky Views, si legge che ci lavorano 3.547 operai: quando arrivo in visita, una squadra di 100 sta “scasserando” il solaio di un piano interrato di parcheggi.
A breve ci sarà la gara per i lavori del nuovo Dubai World Central Al Maktoum International Airport, il più grande del mondo e candidato ad essere il “centro del mondo”. Entro il 2025 ci passeranno 220 milioni di passeggeri all’anno; nel lato nord sorgerà il sito di Expo 2020 ma, più importante per la città, è il lato a sud dell’aeroporto, dove è in costruzione Dubai Parks and Resorts, con il parco tematico di Bollywood, quello della Dreamworks e Legoland. Inoltre, è previsto un French Village e hotel tematici con 7.000 camere: il manager che ci spiega il progetto ha detto che il French Village è copiato da San Gimignano: non fa una piega, San Gimignano è lì da qualche parte, in Francia.
In un elegante atrio dell’hotel Park Hyatt, prima di andare via, un importante manager anglo-indiano di una società governativa mi confessa di essere stanco di questa città senz’anima. Gli rispondo che un posto dove su 8 milioni di abitanti, 7 milioni sono immigrati e dove nel multisala sotto casa trasmettono in contemporanea film in urdu, tamil, filippino, inglese ed arabo, per me un’anima c’è l’ha eccome. È l’anima di chi vive in fretta il futuro, giusto o sbagliato che sia, di chi rispetta le poche regole ferree che valgono per tutti, vive l’ottimismo di una grande e speriamo non amara illusione: essere cittadini di questo nuovo mondo, dove però, a poca distanza, scorre comunque l’immonda guerra della Siria e quella contro ISIS.
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Last modified: 6 Luglio 2016