Punto di partenza: una situazione come quella dellItalia di oggi non ha bisogno dellennesima mostra, ma di osservazioni e laboratori. Occorre rinunciare ad allestire unantologia e utilizzare lo spazio della Biennale per azioni più oggettive e collettive, pur se incerte negli esiti, e costruire un cantiere di discussione e di lavoro. Per farlo, il progetto propone 4 possibili laboratori. a) Osservare oggetti selezionati del territorio, per tre mesi, e descrivere lattualità dellarchitettura: produrre un quotidiano, da pubblicare in rete e sulle pareti del Padiglione. b) Discutere dei 4 temi che il Mibac ha segnalato nel suo bando attraverso altrettanti workshop con studenti e neoarchitetti; on e off-site, inviando in Biennale i risultati. c) Installare nel padiglione un laboratorio del digitale, in cui i disegni e i modelli di ieri guardano gli oggetti e le macchine con cui si generano disegni, modelli e prototipi di oggi. Lanciare una call per modelli e prototipi da realizzare ed esporre durante la Biennale. d) Se poi si crede che alcuni valori che larchitettura incorpora attraversino il tempo, prendersi la responsabilità – come Mibac, come Stato, con un gesto politico e pubblico – di scegliere 7 architetture, costruite nel paesaggio e nella città italiana, in ogni tempo e fuori dal tempo, rappresentative di materiali e società urbane o rurali in cui potersi riconoscere, che siano parti indispensabili di un luogo e una comunità. E rendere questa produzione di memoria partecipata e non demagogica, multipla e non indefinita.
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