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I misteri del Padiglione Italia

Dal 27 dicembre Chipperfield è ufficialmente il direttore della prossima Mostra internazionale di architettura. Per tradizione, il curatore del Padiglione Italia (o Padiglione italiano? Nemmeno uno che lo è stato riesce a ricordare il nome giusto al primo colpo), viene nominato poco dopo. Molti paesi si mettono in moto prima, ma è una questione di cortesia istituzionale e di comunicazione, parlare dei padiglioni nazionali solo dopo che il direttore ha presentato un primo abbozzo del suo programma.
Nel caso dell’Italia le cose sono un po’ più complicate. Il nostro paese ha un padiglione nazionale dal 2006. Cioè svolge un duplice ruolo: è titolare di una grande istituzione culturale internazionale, e allo stesso tempo presenta, come gli altri paesi, la propria produzione in uno spazio proprio e stabile. La mancanza di una regola chiara per scegliere il curatore e il progetto del padiglione è da tempo oggetto di dibattito. Se ne parla più spesso a proposito dell’arte, e questo potrebbe far pensare che per l’architettura una «regola» ci sia. Provo a dedurla dall’esperienza.
Chi scrive ha ricoperto questo incarico nel 2008, quindi ritiene di avere della questione una certa conoscenza, di non essere sospetto d’interessi personali poiché non è ricandidabile e ancora non conosce il nuovo curatore (almeno, non gli è noto al momento di scrivere).
Lo schema della Biennale prevede per i padiglioni nazionali le figure del commissario e del curatore. Il commissario è spesso un rappresentante dell’istituzione a cui il padiglione è in vario modo «affidato». Alcuni paesi hanno un’istituzione che se ne occupa stabilmente, altri la scelgono di volta in volta. Il commissario può essere colui/lei che sceglie il curatore. Ma dovremmo dire piuttosto, per uscire dalla nostra logica, sceglie il progetto della mostra.
Se si guardano i cataloghi delle sei edizioni del Padiglione italiano, si scopre che l’istituzione responsabile è chiaramente individuata (il Mibac), mentre è molto meno chiaro il rapporto tra commissario e curatore. Nel catalogo della prima edizione, curata da Franco Purini, il commissario non compare, e anzi l’Italia appare tra le partecipazioni nazionali con un’altra mostra. Nelle due edizioni successive si sono succeduti Margherita Guccione, dirigente della Darc, ora direttrice del Maxxi-architettura, e il direttore generale del Ministero Mario Lolli Ghetti. Nel caso delle arti visive, l’ambiguità è ancora maggiore: la mostra di Francesco Vezzoli ha un curatore (Ida Giannelli) e due commissari (Pio Baldi e Anna Mattirolo), sempre del Ministero. Nelle due edizioni successive, con Sandro Bondi ministro, la nomina dei curatori è stata attribuita personalmente al titolare del dicastero.
Solo nel 2008 c’è stata una selezione. Il Ministero ha formato una piccola commissione di cui faceva parte il presidente della Biennale (cosa non del tutto strana, visto che il padiglione è fisicamente e amministrativamente realizzato attraverso una convenzione che trasferisce il budget alla Biennale). Gli altri commissari erano Carlo Olmo e Margherita Guccione. Oltre a chi scrive, furono invitati quattro curatori a presentare progetti, tra cui la commissione operò la propria scelta. Non è l’unica soluzione possibile, e non è l’unica soluzione praticata dalle decine di paesi che hanno i padiglioni a Venezia. Ma forse non è troppo chiedere che si stabilisca una procedura pubblica, che allontani il sospetto che la nomina avvenga nei conciliaboli tra vertice del ministero ed entourage del ministro di turno.

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Last modified: 10 Luglio 2015