Che cosa succede quando un progetto è una porzione aggiunta di un edificio esistente, magari con una destinazione discordante rispetto al fabbricato in cui sinserisce
e/o su cui si appoggia, e/o a cui si appende? La risposta giusta, probabilmente, è che si tratta di unarchitettura parassita. Se sul tema esiste un dibattito ormai consolidato, mancava unanalisi sistematica, ora offerta da «Quodlibet Studio », collana in collaborazione con la facoltà di Architettura di Ascoli Piceno giunta alla quarta uscita in poco più di un anno. Il testo di Sara Marini, intitolato proprio Architettura parassita. Strategie di riciclaggio per la città (2009, pp. 328, euro 25), nasce dalla tesi di dottorato dellautrice presso la facoltà marchigiana, con relatore Pippo Ciorra che firma lapprofondita introduzione. Mettendo in secondo piano le suggestioni formaliste, il criterio dindividuazione e classificazione dei parassiti architettonici è basato, nellanalisi di Marini, sul tipo di rapporto che il parassita instaura con la preesistenza, sia alla scala edilizia sia a quella urbana. Un testo imperdibile pensando allaumento di cubature del vaticinato Piano Casa. (Nella foto, lo zaino-casa: la «Rucksack House» di Stefan Eberstadt a Lipsia, del 2004).
Nella stessa collana, era stato precedentemente pubblicato il testo Paesaggi postindustriali, di Luigi Coccia e Marco DAnnuntiis (2008, pp. 200, euro 18). Un tentativo di tracciare una mappa della dismissione industriale tra Marche e Abruzzo, con riflessioni critiche (non imperdibili) sugli spazi del lavoro e sulle loro possibili risignificazioni, con censimenti
e proposte di riuso presentate ad Ascoli Piceno in occasione del festival «SaggiPaesaggi» attraverso mostre e installazioni presso la Cartiera papale e la ex Sgl-Carbon,
fabbrica eletta a caso studio emblematico. Un compendio dalle sequenze un po spaesanti, che nella restituzione grafica privilegia lapproccio «creativo» alla chiarezza
didascalica.
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