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Laura Villa BaroncelliWritten by: Città e Territorio

Città del Messico, nel parco più grande vincono controllo e recinzioni

Città del Messico, nel parco più grande vincono controllo e recinzioni
I progetti per il rilancio di Chapultepec, in ritardo, lasciano perplessità e dubbi sull’idea di spazio pubblico che propongono

 

CITTÀ DEL MESSICO. Giovedì 10 marzo 2022: al Palacio Nacional, l’allora sindaca Claudia Sheinbaum presenta il progetto “Chapultepec: Naturaleza y Cultura”. Diretto dall’artista Gabriel Orozco, il piano ambisce a trasformare il Bosque de Chapultepec nel più grande parco pubblico al mondo, unificando 800 ettari in un sistema ecologico e culturale unico. Il progetto è tuttora in corso, ma a tre anni dal lancio e con le scadenze iniziali ormai disattese, si accumulano critiche e interrogativi. In un contesto in cui il verde diventa strumento di legittimazione politica, la promessa di uno spazio democratizzato si incrina tra retoriche ecologiche e contraddizioni visibili. Cosa resta, davvero, di un’idea di pubblico?

 

La retorica della democrazia verde

Da riserva sacra a residenza imperiale, fino alla sua configurazione ottocentesca modellata sul Bois de Boulogne, Chapultepec è un palinsesto storico-culturale, segnato da continue riqualificazioni e narrazioni politiche. Il piano attuale, con 41 interventi distribuiti nelle 4 sezioni del parco, prosegue questa tradizione di risemantizzazione. La novità principale è l’inclusione della Quarta Sezione, circa 88 ettari di ex area militare gestita fino al 2019 dalla Segreteria della Difesa. 

In un paese segnato da decenni di presenza militare nello spazio urbano, la sua trasformazione in parco pubblico è stata presentata come un atto di riconquista civica e di rottura con le logiche esclusive del passato. In questo quadro non sorprende la nomina di Gabriel Orozco a capo del progetto. La sua estetica — “un’arte politica deve essere ecologica” — immagina un parco sensoriale, fatto di silenzi, ombra e gesti minimi. Un’idea che mira a elevare il progetto oltre l’infrastruttura, ancorandolo a ideali superiori di bene comune e rigenerazione ecologica. Chapultepec diventa così emblema di una rinnovata alleanza tra natura, stato e cittadinanza. O almeno così viene raccontato. Pur essendo stato presentato come risposta ai progetti privatistici dell’amministrazione precedente, che voleva trasformare l’area in una nuova Santa Fe, enclave residenziale elitaria, molti interpretano l’operazione come una copertura verde a strategie di valorizzazione immobiliare mai abbandonate. 

Il coinvolgimento di attori privati e le modalità di gestione, in continuità con modelli concessori del passato, suggeriscono la persistenza delle stesse logiche estrattive. Da questa prospettiva, la scelta di Orozco assume un significato diverso. Il suo stile rarefatto, distante dalla vitalità dei parchi popolari latinoamericani, come il Parque Centenario a Buenos Aires o Quinta Normal a Santiago, sembra rivolgersi più a una borghesia estetizzata che ai residenti di Tacubaya, il quartiere popolare adiacente al parco. E così anche il tracciato della nuova teleferica che collega Chapultepec direttamente a Santa Fe, senza offrire un accesso diretto a Tacubaya.

Le regole costruiscono il paesaggio

Gli spazi dismessi dal potere militare raramente perdono la loro funzione di controllo, come osserva Stephen Graham, docente di Cities and Society alla Newcastle University. Chapultepec IV si inserisce in questa tendenza globale del post-military urbanism, dove la dismissione non coincide con la liberazione, ma con una riconfigurazione selettiva dello spazio urbano. Percorsi obbligati, aree recintate e presidi visivi trasformano il parco in un dispositivo di ordinamento, in cui il movimento è guidato, l’accesso filtrato e la presenza monitorata. La sociologa messicana Rossana Reguillo definisce questi luoghi zone d’ambiguità: spazi in cui il controllo è meno visibile ma più pervasivo, e la cittadinanza resta sospesa tra accesso formale ed esclusione reale. Come altre ex aree militari — Tempelhof a Berlino o Governors Island a New York — soggette a regolamentazioni che limitano pratiche informali e collettive, anche Chapultepec conserva forme di controllo sottili. Al posto del controllo militare esplicito, agiscono oggi modalità di regolazione estetica, selezione sociale e sorveglianza ambientale. Lo spazio pubblico che emerge non cancella il passato militare, ma lo rielabora in chiave gestionale.

Il cambiamento riguarda però non solo lo spazio materiale, ma anche l’immaginario del pubblico. Eliminando ogni traccia di conflitto e spontaneità, si costruisce un paesaggio normalizzato per una cittadinanza selezionata, conforme, estetizzata. Il dissenso dei corpi — quel popolo del dissenso che attraversa, disturba, altera — viene espulso non con la forza, ma attraverso il paesaggio: la disciplina si fa forma. Chapultepec si offre come spazio aperto, ma diventa inabitabile. 

La democratizzazione proposta è in realtà una depoliticizzazione: un’apertura senza conflitto, vuota di pratiche collettive spontanee. Come nota l’urbanista Diane E. Davis, molte operazioni urbane in Messico adottano la strategia dell’urban smoothing: non eliminano il conflitto, ma ne cancellano le tracce, costruendo spazi aperti che funzionano come filtri. Chapultepec IV aderisce pienamente a questa logica: non è solo un parco, ma un dispositivo selettivo. Come negli spazi altri di Michel Foucault, il pubblico diventa una categoria normativa, non un’esperienza vissuta.

Spazio pubblico ma selettivo ed escludente

Arrivo davanti all’ingresso alle quattro del pomeriggio. “Ya cerró”, mi dice un militare. Guardo l’ingresso che sarà: i tornelli ancora impacchettati. Con le sbarre dove non ci sono i tornelli. Con le uscite separate dalle entrate. Sembra più l’ingresso di una metropolitana che un parco. Non ha nulla di pubblico. La disciplina è stata incorporata. Quando uno spazio è pubblico? Quando viene aperto, o quando è liberamente abitato? E fino a che punto l’estetizzazione del controllo può perpetuare, anziché dissolvere, le disuguaglianze urbane?

 

Immagine copertina: l’ex Campo Militare 1‑F, oggi Quarta Sezione del Bosque de Chapultepec, si trova nella zona ovest della città, confinante con Tacubaya, il quartiere popolare limitrofo, e con il Pueblo de Santa Fe. Strategicamente collegato alla moderna Santa Fe, distretto finanziario e residenziale di lusso noto per i suoi grattacieli, centri commerciali e sedi internazionali, l’area era stata in passato destinata a diventare una seconda enclave . Solo in seguito è stata riconvertita in parco pubblico (@Laura Villa Baroncelli)

Autore

  • Laura Villa Baroncelli

    Dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Torino si trasferisce a Parigi dove si laurea in Sociologia e inizia la sua carriera come fotografo. Nel 2015 intervista Yona Friedman e inizia ad appassionarsi di studi urbani. Lo stesso anno si trasferisce ad Arcosanti dove collabora con gli archivi Soleri e la Fondazione Cosanti fino al 2019. Il suo lavoro appare in numerose riviste tra cui il T del New York Times Magazine, M di Le Monde, D di Repubblica, IL Sole 24 ore, AD Italia, Forbes, Vogue. Attualmente vive e lavora a New York City.

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Last modified: 21 Agosto 2025