Nel 2027 Napoli ospita la più prestigiosa competizione velica. È la spinta per rigenerare l’ex Ilva-Italsider. Ma rischia di diventare un progetto contro i cittadini, verso un modello Dubai
NAPOLI. Ancora una volta un grande evento, in questo caso l’America’s Cup 2027, diventa l’occasione per trasformare il territorio contro i cittadini che lo abitano.
Un mare per pochi
In questo caso i napoletani tutti e in particolare gli abitanti di Bagnoli, che a questo punto vedono tradite definitivamente le decisioni politiche che avevano pianificato un grande parco pubblico di 120 ettari sulle aree dell’ex complesso siderurgico Ilva-Italsider e una spiaggia libera e pubblica di due chilometri e mezzo su uno dei litorali più scenografici del mondo.
Il golfo di Pozzuoli dovrà attrezzarsi per accogliere l’evento sportivo e il turismo di élite, il più ambito di tutti in una città che già è soffocata dal turismo di massa: economisti, armatori, imprenditori, consulenti di ogni genere – e naturalmente architetti – fanno a gara a suggerire la necessità di alberghi di lusso, cantieri navali blindati per garantire la segretezza delle soluzioni tecniche delle barche, hangar, parcheggi, strade, ma soprattutto porticcioli turistici, aree commerciali e altre infrastrutture private, privatissime, di lusso.
Sulla colmata – che non sarà rimossa, se non in piccola parte – saranno costruiti i campi base e i pit stop.
Trent’anni fa i primi piani
Impossibile riassumere in poche righe tutte le vicende urbanistiche che hanno portato a questa triste conclusione, ma per una ricostruzione di grande chiarezza ed efficacia rimando al capitolo su Bagnoli del libro del 2023 di Alessandra Caputi e Anna Fava, Privati di Napoli.
È però doveroso ricordare che la Variante per la zona occidentale del 1998 prevedeva, in controtendenza rispetto all’idea di rigenerazione urbana che stava prendendo piede nel resto d’Italia, la bonifica e la destinazione a parco e spiaggia pubblici per una parte assolutamente dominante dell’area, con indici di cubatura bassissimi al posto degli edifici industriali.
Era una visione, contrariamente a quanto fu detto dai suoi detrattori, all’avanguardia rispetto agli standard italiani, di ispirazione profondamente europea: la riconversione dei siti industriali non veniva asservita alla logica della rendita e della privatizzazione, non veniva data in pasto agli appetiti immobiliari, ma restituiva spazio pubblico di qualità agli abitanti come poi si è fatto per esempio a Berlino con l’aeroporto di Tempelhof (anche lui minacciato dalla speculazione).
Naturalmente non poteva piacere agli attori locali e nazionali, che hanno ostacolato con ogni mezzo a loro disposizione la realizzazione di quel progetto, creando ad arte la narrazione dell’immobilismo trentennale su Bagnoli.
Risorse pubbliche dilapidate
Come sostiene Riccardo Rosa, attivista e redattore di Napoli Monitor, che da sempre segue le vicende legate allo sviluppo dell’area, “è troppo comodo descriverla così. Il bilancio, al contrario, è quello di un costante ed efficace lavorìo di dilapidamento di risorse pubbliche (novecento milioni di euro circa) in bonifiche non fatte o fatte male, costruzione di pochissime opere diventate cattedrali nel deserto o andate in rovina, carotaggi, studi, consulenze per centinaia di professionisti che hanno fatto percorrere al processo di riqualificazione strade contorte per tornare sempre al punto di partenza”.
La destrutturazione non solo del piano, ma anche della possibilità stessa di modificarlo secondo le ragionevoli richieste di chi abita Bagnoli, è avvenuta prima con il cosiddetto decreto Sblocca Italia del Governo Renzi (2014), che ha sottratto la gestione dell’area al Comune affidandola a un commissario straordinario, che scelse Invitalia per l’attuazione delle bonifiche. E poi nel 2021 con un provvedimento del Governo Draghi che ha nominato Commissario straordinario il sindaco di Napoli, che a questo punto può governarla ma senza essere vincolato alle normali procedure sottoposte alla verifica democratica: un manovratore finalmente indisturbato.
Vince il modello Dubai
A conferma di questo itinerario autocratico è arrivato l’annuncio dell’assegnazione dell’America’s Cup da parte di Team New Zealand, frutto di una trattativa rigorosamente segreta, di una collaborazione bipartisan tra il sindaco Gaetano Manfredi e la premier Giorgia Meloni. Niente più fotofinish con il corno rosso in mano, come accadde con Rosa Russo Iervolino nel 2003, quando Napoli perse l’assegnazione della competizione.
Nel 2025 è possibile cancellare anni di battaglie popolari e cambiare il destino di un territorio senza consultare nessuno, come in una qualsiasi dittatura, e riscuotere anche l’approvazione di chi considera l’elaborazione politica, mediata e trasparente, di un piano di rigenerazione come una forma di populismo.
E così gli abitanti di Bagnoli, già provati dal bradisismo e dai conseguenti terremoti – considerati irrilevanti ai fini del turismo e degli eventi – hanno perso. Non ci saranno politiche per rendere più sicure le loro abitazioni, ma anzi prima decideranno di trasferirsi altrove e meglio sarà per i raffinati turisti velici e per il business.
Il verde sarà ridotto all’osso, e l’acqua resterà sporca, resa ancora meno balneabile dai fumi e i petroli degli yacht ormeggiati.
La legacy dell’evento è la resa alla blue economy: in una città dove le pochissime spiagge sono oggetto di contesa accanita (ma spesso vittoriosa) da parte dei cittadini, e il mare è solcato da un numero spaventoso di barche e motoscafi inquinantissimi, ha vinto il partito della blue economy, quello che vuole appropriarsi dell’intera costa per riempirla di sempre più posti barca, per fare le Marine, per costruire sulla terra e sul mare, ma solo per chi può permetterselo.
Dubai è il modello, politico e urbanistico.
Immagine di copertina: vista aerea dell’area ex industriale di Bagnoli, Napoli
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america’s cup , bagnoli , blue economy , bonifiche , napoli , rigenerazione
Last modified: 21 Maggio 2025