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Laura Villa BaroncelliWritten by: Città e Territorio Progetti

Ri_visitati. High Line di New York, un successo impari

Ri_visitati. High Line di New York, un successo impari

A 15 anni dall’inaugurazione del parco urbano sopraelevato, bilancio di un progetto che ha fatto epoca ma che ha acuito le disuguaglianze e stimolato la gentrificazione

Il passato

George Hayde completò la sua ultima corsa su un cavallo chiamato Cyclone, una bandiera rossa in mano e un convoglio di quattordici vagoni merci carichi di arance al seguito. Era il 29 marzo 1941 e Hayde era l’ultimo dei West Side Cowboys. Siamo sulla 10th Avenue nella zona ovest di Manhattan, un’area portuale tra le più industrializzate e caotiche del paese. Qui, fin dal 1846, anno in cui fu inaugurata la ferrovia della Hudson River Railroad, nel mezzo di un traffico già intenso e disordinato, i treni merci transitavano a livello stradale senza nessuna barriera o protezione, causando decine di vittime. La zona divenne presto nota come Death Avenue, la Strada della morte. In risposta, la città di New York creò l’insolita figura del West Side Cowboy. Era il 1850, e questa fu una delle poche concessioni per la sicurezza pubblica fatte all’epoca. Sebbene romanticizzati nelle storie popolari, questi personaggi pittoreschi, che evocavano l’immaginario del selvaggio West in un contesto urbano, quasi fuori luogo come in un film di Kaurismäki, erano in realtà impopolari tra gli abitanti che dovevano proteggere, una popolazione povera composta principalmente da lavoratori immigrati, stipati in sovraffollati tenements. Tra la natura caotica delle strade, l’inadeguatezza delle infrastrutture e le accuse d’indifferenza e negligenza, precedere i convogli sventolando una bandiera rossa durante il giorno o una lanterna di notte per avvertire i pedoni dell’arrivo dei treni non sembrava una misura particolarmente efficace. 

Dopo 436 vittime, la situazione culminò nel 1908, quando la morte di un bambino di sette anni scatenò proteste di massa e un’ondata di indignazione coinvolse l’intera città. Il malcontento andava oltre la semplice frustrazione per l’alta pericolosità della zona o il conflitto tra l’industria e gli abitanti del West Side. In discussione non era neppure se il treno fosse essenziale o meno per l’economia cittadina. La questione riguardava il suo passaggio attraverso quartieri densamente popolati, una scelta che privilegiava l’efficienza rispetto alla protezione delle vite dei poveri: nelle gerarchie urbane, l’economia era dunque considerata intrinsecamente superiore al benessere sociale. Sotto pressione, le autorità risposero nel 1929 con una delle più ambiziose opere infrastrutturali urbane del tempo: il West Side Improvement Project. 

Dal costo di circa 2,5 miliardi di dollari odierni, il progetto fu sostenuto da alcuni dei più influenti politici e imprenditori dell’epoca. Con l’obiettivo di ristrutturare completamente la parte ovest di Manhattan, in particolare separando il traffico commerciale da quello residenziale, il piano prevedeva, tra i vari interventi, la costruzione della West Side Elevated Line, una ferrovia sopraelevata per trasportare merci direttamente nei piani superiori dei magazzini. La nuova linea, che si estendeva per 2,3 km, dalla 34° Strada fino a Spring Street, fu inaugurata nel 1934, sebbene bisognerà aspettare il 1941 per togliere completamente i treni merci dalle strade.

La West Side Elevated Line divenne rapidamente una parte essenziale del sistema industriale della città. E altrettanto rapidamente divenne obsoleta. Già negli anni ’50, l’infrastruttura iniziò a perdere competitività rispetto ai nuovi modelli, molto più flessibili, di trasporto su gomma, portando a una progressiva riduzione del traffico ferroviario. Negli anni ’60, iniziarono le prime demolizioni e alcune sezioni meridionali della linea furono smantellate per far spazio a nuovi sviluppi immobiliari. Nei due decenni successivi, la diffusione dei supermercati e la crescente popolarità dei frigoriferi domestici contribuirono ulteriormente al declino della linea, riducendo la domanda di mercati all’ingrosso locali. Con il quartiere sempre meno attraente per le operazioni industriali, iniziarono le prime vacanze immobiliari. Contemporaneamente, i persistenti odori di carne macellata, sangue e frattaglie nelle strade, mantenevano gli affitti particolarmente bassi, iniziando ad attrarre i primi artisti e gruppi alternativi. Nel 1980, quando l’ultimo treno percorse la sopraelevata, il quartiere stava già diventando un’area popolare per la comunità LGBTQ+, con l’apertura di numerosi locali notturni, bar e club, innescando un primo processo di gentrificazione che sarebbe culminato negli anni 2000.

 

Il presente

Nel frattempo, abbandonata, la West Side Elevated Line divenne pericolante e simbolo di decadenza urbana. Nel 1999, mentre si moltiplicavano le richieste di demolizione, Joshua David e Robert Hammon, due residenti del quartiere, fondarono Friends of the High Line, un movimento di conservazione che proponeva di trasformarla in uno spazio verde pubblico. Nel 2002, il neoeletto sindaco Michael Bloomberg approvò l’iniziativa, dando il via libera ai finanziamenti. Per convertire la sopraelevata in parco urbano, l’anno successivo fu lanciato un concorso internazionale vinto da Diller & Scofidio + Renfro con i paesaggisti James Corner Field OperationsPiet Oudolf. I lavori iniziarono nel 2006 e il primo tratto del parco, da Gansevoort Street alla 20° Strada, fu aperto nel 2009.

Il successo dell’High Line fu immediato e portò ad un altrettanto immediato boom immobiliare. In brevissimo tempo l’incremento degli affitti nella zona espulse residenti a basso reddito e piccole imprese, sostituiti da appartamenti di lusso, boutique, ristoranti e gallerie d’arte. Ancora prima della fine dei lavori, gli affitti erano già quasi decuplicati. Il ristorante Florent, punto di riferimento per la comunità LGBTQ+, fu costretto a chiudere nel 2008 dopo un aumento dell’affitto da 6.000 a 50.000 dollari al mese, sostituito da J.Crew, un noto brand di abbigliamento. Ma non furono solo gli affitti alle stelle, gli sfratti e le demolizioni a trasformare il quartiere. Molti degli artisti e dei primi abitanti trasferitisi nella zona negli anni ’70 e ’80 furono ben presto sostituiti da un profilo demografico completamente diverso, e le comunità alternative che avevano reso la zona desiderabile non erano più considerate tali. 

 

Il futuro

Rise and shine, campers, and don’t forget your booties ’cause it’s cold out there today!”, annuncia lo speaker radiofonico nel loop temporale del film Groundhog Day. All’epoca della Death Avenue, nonostante tutti concordassero sul pericolo del treno, ci vollero anni prima che venisse attuato un piano che tenesse conto della sicurezza dei residenti. Quando infine il progetto fu approvato, nonostante i benefici, fu chiaro che aveva privilegiato gli interessi industriali a scapito dei residenti, molti dei quali furono sfollati o costretti a convivere con un ambiente ulteriormente industrializzato.

Oggi lo scenario si ripete, e la questione su chi beneficia veramente di certi spazicontinua a rimanere in parte irrisolta. Black e Richards parlano di eco-gentrificazione, evidenziando come la High Line abbia acuito le disuguaglianze socio-economiche anche in termini di accesso agli spazi verdi, rendendoli fruibili principalmente da chi può permettersi i costi crescenti della vita nell’area.

Che cosa significa vivere in un “brutto quartiere”?, si chiedeva Joseph Varga nel suo saggio Hell’s Kitchen and the Battle for Urban Space. Con oltre 8 milioni di residenti in poco più di 300 miglia quadrate, e un Gini Index nel 2022 di 0.52, New York è una delle città più densamente popolate e diseguali al mondo. E la disparità non è solo economica. Alcuni studiosi hanno calcolato un indice Gini “verde” per le città di Amsterdam, Pechino e New York. Qui l’indice è di 0,96, dove 1 significa che tutti gli spazi verdi sono concentrati in un’unica area o sono accessibili solo a una piccola parte della popolazione. Basta guardare una mappa di New York per vedere come le risorse verdi siano concentrate principalmente nelle parti sud-occidentali e settentrionali, di cui l’area dell’High Line fa parte, mentre la domanda, se guardiamo la densità della popolazione, degli anziani e dei bambini, è alta nelle aree centrali.

Eppure nel 2023 è stata inaugurata un’altra estensione della High Line: il Moynihan Connector, progetto del valore di 60 milioni di dollari realizzato dallo studio Skidmore, Owings & Merrill, che ha collegato la High Line alla Moynihan Train Hall. L’obiettivo? Migliorare l’accessibilità tra Penn Station e le aree adiacenti al parco, creando un ulteriore corridoio verde con la costruzione del Woodland e del Timber Bridge, in una zona già ampiamente riqualificata. Nel 2025, l’ultimo tratto della High Line al Western Rail Yards, la parte più a nord e meno over designed del parco, verrà aggiornato con installazioni permanenti, anche se il tratto manterrà comunque “un carattere selvaggio e auto-generato come omaggio al passato che ha ispirato la trasformazione dell’area”, promettono le autorità. 

Quanto si può migliorare un’area? Per l’amministrazione municipale, probabilmente ancora molto. Tra i progetti più ambiziosi vi è l’estensione dell’High Line verso nord fino al Pier 76, un ex deposito per i veicoli della polizia, destinato a diventare parco pubblico. Sebbene l’intero progetto sia ancora in fase di pianificazione, i lavori preliminari sono già iniziati, finanziati da fondi statali e con potenziali contributi federali.

Forse ha più senso chiedersi non quanto si possa migliorare un’area, ma piuttosto fino a quando sia giusto farlo. Allo stato attuale, sebbene la High Line sia un successo immobiliare e turistico, sembrerebbe aver mancato nel promuovere l’equità. Continuare a investire in una zona già privilegiata non significa inevitabilmente sottrarre risorse ad altre aree della città che avrebbero ugualmente bisogno d’interventi e attenzione?

 

Immagine di copertina: passeggiata lungo la High Line all’altezza di Chelsea, tra la 20° e la 23° Strada

 

Black K.J. e Richards M., (2020), Eco-gentrification and who benefits from urban green amenities: NYC’s High Line, Landscape and Urban Planning  

Moss J., (2017), Vanishing New York: How a Great City Lost Its Soul, Dey Street Books

Tian Y., van Leeuwen E., Tsendbazar N., Jing C. e Herold M., (2024), Urban green inequality and its mismatches with human demand across neighborhoods in New York, Amsterdam, and Beijing, Landscape Ecology

Autore

  • Laura Villa Baroncelli

    Dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Torino si trasferisce a Parigi dove si laurea in Sociologia e inizia la sua carriera come fotografo. Nel 2015 intervista Yona Friedman e inizia ad appassionarsi di studi urbani. Lo stesso anno si trasferisce ad Arcosanti dove collabora con gli archivi Soleri e la Fondazione Cosanti fino al 2019. Il suo lavoro appare in numerose riviste tra cui il T del New York Times Magazine, M di Le Monde, D di Repubblica, IL Sole 24 ore, AD Italia, Forbes, Vogue. Attualmente vive e lavora a New York City.

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Last modified: 4 Settembre 2024