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Written by: Professione e Formazione

L’abitare collettivo, una scelta premiante

L’abitare collettivo, una scelta premiante

La prima edizione dell’European Collective Housing Award: 171 candidati da 19 paesi (un solo italiano, però finalista). Intervista alla presidente di giuria Anne Lacaton

 

SAN SEBASTIÁN (SPAGNA). L’Istituto di architettura di Euskadi, in collaborazione con il Centro Arc en Rêve di Bordeaux, ha dato vita all’European Collective Housing Award. I baschi, che hanno potuto contare sul massiccio supporto economico del Dipartimento di Pianificazione territoriale, casa e trasporti del Governo autonomo, affiancano dunque alla Biennale di architettura basca un nuovo evento di respiro internazionale e si aprono all’Europa, uscendo dai confini territoriali per mostrarsi in tutto il vigore di un’istituzione giovane e ambiziosa. 

«In un momento in cui l’accesso alla casa è diventato la somma di diverse problematiche economiche, sociali e ambientali, oltre che un indicatore della maggiore o minore efficienza degli stati e dei poteri pubblici, è necessario rivendicare l’edilizia residenziale collettiva e in particolare quella pubblica, come un segno distintivo europeo che unisce coscienza sociale ed equilibrio urbano, socioeconomico e ambientale», ha affermato il direttore dell’Istituto di architettura dei Paesi Baschi, José Ángel Medina. Da parte sua, il direttore del Centro di architettura Arc en Rêve, Fabrizio Gallanti, ha dichiarato che «L’Europa proviene da una lunga tradizione di edilizia residenziale collettiva che deve essere valorizzata, poiché è la formula che garantisce la pluralità e la coesione sociale, nonché uno sviluppo urbano contenuto che evita il consumo smodato del suolo».

 

Focus sull’architettura pubblica di qualità

Il riconoscimento mira ad elevare il dibattito sulle politiche abitative, aspira a diventare un osservatorio, premiando le realizzazioni, sia pubbliche che private, che rappresentano «i valori di una nuova socialità responsabile dal punto di vista ambientale, che crea città». Attenzione all’eccellenza architettonica e all’innovazione ma anche (se non soprattutto) all’integrazione sociale e urbana. Progetti che sottolineano l’importanza dell’abitare come bisogno umano fondamentale, con un impatto positivo sulla comunità, e che si candidano a diventare fonte d’ispirazione per iniziative future. 

Ambizioso il premio e altrettanto ambiziosa la giuria di questa prima edizione, presieduta dal premio Pritzker Anne Lacaton, insieme a Fernanda Canales, Kristiaan Borret, Emanuele Coccia e Christian Hadaller, selezionati dai quattro membri del board Bernard Blanc, Aurora Fernandez Per, Carmen Inbernón e Vittorio Magnago Lampugnani.

In totale, sono state 171 le  candidature, pervenute da 19 paesi europei: Germania, Austria, Belgio, Croazia, Slovenia, Finlandia, Grecia, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Serbia, Svezia e Svizzera, con un’ampia rappresentazione di Spagna e Francia, senz’altro dovuta a una migliore diffusione attraverso i canali interni dei due Paesi organizzatori. Dall’Italia solo un progetto, la riqualificazione delle Torri di Madonna Bianca a Trento (2023) di Campomarzio+Studio Bombasaro, peraltro tra i 18 finalisti. Tra i grandi assenti l’Irlanda. Per le future edizioni l’obiettivo è senz’altro quello di arrivare a un maggior numero di Paesi, primi fra tutti quelli dell’Est.

Il direttore del Dipartimento di Pianificazione territoriale del Governo Basco Pablo García Astrain, che ha fortemente voluto e promosso l’iniziativa, ha sottolineato «Il complesso compito della giuria, vista la grande qualità tecnica delle proposte e la diversità e pluralità di soluzioni per rispondere al problema della casa».

 

Vincitore categoria “Nuove costruzioni”

Questa prima edizione ha consacrato La Borda del collettivo Lacol a Barcellona. Una riconferma dell’eccezionalità di questo progetto coperativo, secondo la giuria «Frutto di una serie di fortunate circostanze, che non solo risponde pienamente ai criteri di selezione fissati dal Premio, ma che dopo sei anni rimane un modello sia per l’intero processo realizzativo, sia per come riesce a essere generatore di comunità e tessere relazioni con il quartiere, oltre a essere il primo in Spagna di questo tipo».

 

Vincitore categoria “Recupero”

Il progetto di Esch Sintzel della trasformazione del deposito di vini Coop in edificio residenziale a Basilea, per aver dimostrato che «Trasformare l’esistente dà vita a una qualità abitativa nuova e inaspettata che sfida le tipologie standard». 

Non è ancora chiaro se il Premio sarà a cadenza biennale o triennale. La cerminonia di premiazione si svolgerà a Bordeaux il 20 giugno e vincitori e finalisti saranno esposti entro l’anno presso l’Istituto di Architettura dei Paesi Baschi, per poi spostarsi nella sede di Arc en rêve a Bordeaux, in una mostra che gli organizzatori vorrebbero proporre in una formula esperienziale, ancora da definire.

 

Anne Lacaton: inaccettabile che una fetta così grande di cittadini non possa permettersi un alloggio di qualità

 

Quali sono stati i criteri di selezione dei progetti finalisti e quali le conclusioni che trae? 

Le scelte sono il risultato di una riflessione profonda rispetto a ciò che significa oggi l’abitare collettivo. Abbiamo evitato di prendere decisioni sotto la pressione delle singole tematiche quali la sostenibilità, la qualità architettonica, la presenza di spazi verdi, la sostenibilità, tutti elementi cruciali, ma insufficienti se considerati singolarmente. Abbiamo valutato come tali questioni sono state risolte nel loro complesso, considerando la relazione con la città e il processo realizzativo. In generale la qualità è molto elevata, sia dal punto di vista costruttivo che in termini di qualità degli spazi abitativi.

 

Come valuta la situazione dell’abitare collettivo in Europa?

È inaccettabile che una fetta così grande di cittadini non possa permettersi un alloggio, e un alloggio di qualità. La residenza collettiva è un tema critico oggi più di 50 anni fa a causa della mancanza di abitazioni accessibili che soddisfino requisiti fondamentali in termini di bisogni, aspettative e risposte. Soddisfare solo i bisogni di base non è più sufficiente, la qualità della vita deve essere una priorità. Naturalmente il problema è legato alla scarsità di terreni disponibili, ai vincoli normativi e ai regolamenti sempre più rigidi che rendono sempre più complesso e impegnativo anche in termini di tempo rispondere ai criteri imposti restando economicamente accessibili. In molti paesi, negli ultimi due o tre anni il numero di alloggi costruiti è drasticamente diminuito: in Francia, fino a qualche decennio fa, l’edilizia sociale era molto forte, ma oggi gli sviluppatori privati stanno prendendo il sopravvento, riducendo drasticamente la qualità del costruito. E per me la qualità della vita dev’essere una priorità, indipendentemente dal denaro.

 

A che cosa si riferisce quando parla di qualità dell’abitare?

È sotto gli occhi di tutti quali siano le necessità e le aspettative rispetto alla casa, soprattutto dopo il Covid: spazi più ampi, anche esterni, verde, ciononostante, gli standard imposti restano minimi. La risposta ai bisogni dei diversi collettivi non passa per la realizzazione di case ad hoc, ma di spazi generosi e flessibili che ognuno possa liberamente adattare al proprio modo di vivere e che favoriscano la socializzazione. Non è un concetto così facile da far passare soprattutto agli sviluppatori privati, ed è per questo che credo fermamente che l’abitare collettivo debba essere essenzialmente pubblico e che i governi e le municipalità debbano farsene maggior carico, perché è qui dove ci possono essere davvero grandi margini d’intervento.

 

La proporzione di progetti candidati al Premio è piuttosto impari: 80% di nuove realizzazioni e 20% di recupero dell’esistente…

La trasformazione viene considerata sempre di più come un’opzione, ma solo nelle intenzioni e non ancora nei fatti. È evidente che costruire certi edifici negli anni passati è stato un errore ma, ora che ci sono, possono essere migliorati. La situazione è grave al punto tale che in Francia negli ultimi vent’anni sono stati demoliti 200.000 alloggi e ne sono stati realizzati meno di 150.000. Il costo di tutto questo è evidentemente enorme. Trasformare è paradossalmente più economico oltre che più logico: penso ai nostri progetti di Bordeaux e di Parigi, dove con la stessa cifra spesa per demolire e ricostruire un alloggio ne abbiamo ricavati tre. È difficile sapere quali sono i motivi reali di queste scelte, che probabilmente hanno a che vedere con l’agenda a breve termine dei politici. 

 

Non sembra ottimista per il futuro…

È da 25 anni che ci dedichiamo a questa tematica, abbiamo vinto dei premi ma sembra che non sia ancora possibile fermare questa tendenza. Dopo il Pritzker abbiamo iniziato a ricevere un numero incredibile di richieste di aiuto da cittadini francesi che ci chiedevano consiglio su come fermare le demolizioni e l’anno scorso è nato il collettivo “Stop demolizioni”, un’iniziativa che sta crescendo in tutto il Paese, con grandi competenze, ma non è ancora sufficiente. Dalla nostra abbiamo una legge recente che proibisce le demolizioni se non sono debitamente giustificate e questa, insieme alla crescente attenzione verso la sostenibilità, fa sperare in un cambiamento di rotta. Ciò che è chiaro è che fermare le demolizioni costituisce in parte la soluzione al problema della casa. Ed essere in grado di fornire alloggi ai cittadini che ne hanno bisogno è un segno di civiltà. 

 

Quali sono secondo lei i fattori necessari per incoraggiare questo cambiamento?

Bisognerebbe concedere ai cittadini maggiore libertà di azione e avere fiducia nella loro responsabilità di utilizzare bene il denaro, come dimostra il progetto de La Borda. Tuttavia, un premio non è una garanzia che l’esempio sarà riprodotto: in 5 anni avremmo dovuto vedere sorgere iniziative simili. La Borda è comunque una testimonianza che il cambiamento è possibile. È necessaria una grande volontà da parte di diversi attori perché le cose cambino, e forse ciò che manca oggi è proprio la volontà di pensare a delle soluzioni, a cominciare dagli architetti: «che cosa stiamo facendo e per chi?». L’housing non è un progetto come gli altri, non si possono cercare delle scuse, bisogna agire. 

Immagine di copertina: © Álvaro Valdecantos

Autore

  • Francesca Comotti

    Laureata in architettura al Politecnico di Milano nel 1998, dopo alcuni anni come libero professionista rivolge la sua attenzione al mondo editoriale, formandosi presso la redazione della rivista «Area» e il settore libri di Federico Motta Editore. La tesi in urbanistica, con i professori Giancarlo Consonni e Giuseppe Turchini le apre (inconsapevolmente) la strada verso quella che è diventata la sua città di adozione, Barcellona, dove risiede dal 2004. Da qui consolida il suo percorso professionale come giornalista freelance specializzata in architettura contemporanea, collaborando stabilmente con alcune testate di settore italiane e come corrispondente per «Il Giornale dell’Architettura». Per la casa editrice spagnola Loft Ediciones ha pubblicato come co-autrice «Atlas for living», «Atlas de arquitectura del paisaje» e «Sketch landscape»

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Last modified: 7 Giugno 2024