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Arianna PanarellaWritten by: Reviews

Milano: per l’Art week un’ar(t)chitettura di nidi

Per la Galleria Building, le installazioni site specific dell’artista giapponese Tadashi Kawamata nel rapporto tra spazialità e costruzione

 

MILANO. Nella settimana dedicatale, l’arte ha invaso non solo le gallerie ma anche le strade, con “opere/architetture” in dialogo inatteso con la città. Dallo spazio cubico di Alfredo Jaar (artista e architetto cileno, 1956), il Padiglione rosso (con lo studio di architettura AOUMM) che offre una visione alternativa del parco e delle torri di CityLife, al progetto per i rifugiati ideato da Yona Friedman (architetto, designer e urbanista ungherese, 1923-2019) e intitolato Meuble plus (tre moduli abitativi realizzati in materiali riciclati, sintesi delle sue ricerche sulla cosiddetta “architettura mobile”) all’interno del giardino della Triennale insieme alla sedia, in scala 7:1, progettata da Aldo Rossi (architetto e designer, 1931-97).

Tra i progetti più dirompenti nel rapporto tra arte e architettura, vanno menzionati i nidi dell’artista giapponese Tadashi Kawamata nella Galleria Building: un’installazione site specific in legno che vede quattro interventi negli spazi interni, sulla facciata della galleria e in quelli esterni di altri edifici emblematici delle vicinanze: Grand Hotel et de Milan, Centro congressi Fondazione Cariplo e Cortile della magnolia, Palazzo di Brera.

 

Un artista in bilico tra installazione e architettura

Kawamata, artista giapponese contemporaneo, nato nel 1953 a Hokkaido, è noto per le sue installazioni scultoree realizzate principalmente con legno, cartone e altri materiali riciclati sempre in bilico tra la performance e l’architettura. I suoi interventi artistici si concentrano su siti urbani. La sua arte, influenzata dall’interesse per gli spazi delle città, ha ottenuto riconoscimenti internazionali. Dalla prima esposizione del suo lavoro nel 1977, ha prodotto una grande quantità di sculture, case, pezzi da esposizione per mostre e recuperi di edifici con progetti in tutto il mondo. Come a Kassel (1987) in occasione di “Documenta 8”, dove l’artista restituisce all’attenzione degli abitanti una chiesa in rovina, distrutta durante la seconda guerra mondiale e trascurata nella ricostruzione della città.

Le opere di Kawamata sono ingegnose simulazioni di situazioni urbane – strade, ponti, passaggi, spazi “privati” – ma anche oggetti irreali. L’artista si relaziona con il caos delle città moderne, invisibile a prima vista perché nascosto dietro strutture razionali e pianificate, costruendo sopra edifici esistenti, facciate e interni, complicati labirinti d’impalcature. Egli sfida le regole della logica e della simmetria, le leggi del ritmo architettonico, mettendo in discussione l’utilità e l’estetica. Molti dei suoi interventi site specific sono effimeri, mentre altri durano molti anni ma, in ogni caso, le installazioni consentono al pubblico di apprezzare l’ambiente circostante da un nuovo punto di vista.

 

Un’architettura nell’architettura

Kawamata fa riferimento al rapporto tra creazione artistica, materia e spazio esistente, componendo così l’opera in relazione all’ambiente e stabilendo una connessione strutturale che ci consente di mettere in discussione il nostro rapporto con lo spazio architettonico.

A Milano è intervenuto sia all’interno della galleria, costruendo “un’architettura nell’architettura”, sia all’esterno (l’intervento più evidente sulla facciata), intrecciando assi di legno che vanno a formare un’inestricabile trama, a metà tra casualità e preordinata costruzione. Un’opera tettonica, concettuale e paradigmatica, dove il rapporto tra struttura, materiale e percezione spaziale dell’edificio dà la priorità all’unità spaziale-plastica dello spazio interno ed esterno nonché alle forme in un’esperienza continua, senza tenere conto della loro scala o del loro modo di presentarsi. “Nella misura in cui la tettonica assurge a poetica della costruzione essa diventa arte (…). È che la natura inevitabilmente terrena del costruire è tanto di carattere tettonico e tattile quanto è scenografica e visiva, anche se nessuno di questi attributi può negarne la spazialità”. (Kenneth Frampton)

 

Il nido come archetipo

Il filo conduttore è il tema del nido, soggetto dal forte carattere simbolico che Kawamata ha cominciato a indagare a partire dal 1998 quando le sue costruzioni, che spesso in passato avevano forme astratte, si sono avvicinate a raffigurarne appunto le sembianze. Sono architetture fantastiche dove l’ordine e il disordine convivono. Renato De Fusco parla di “smontaggio” dell’oggetto architettonico, di una pratica tesa ad analizzare il significato delle parti che concorrono alla formazione del tutto; scomporre quest’ultimo per meglio descriverlo, ordinario, trovarne le regole di combinazione e di trasformazione. Il nido è un elemento architettonico primordiale, la cui semplice forma, ottenuta con un materiale naturale come il legno, ha ancora più valore se messa a confronto con le ben più complesse costruzioni su cui è posta, risultato di stratificazioni sociali e culturali.

Come per molte delle sue recenti installazioni, Kawamata lavora con numerose persone: tra loro ingegneri, architetti e paesaggisti con i quali discute la fattibilità del progetto. In molti cantieri ci sono anche studenti (in questo caso dell’Accademia di Brera), sottolineando così l’esperienza di costruire un lavoro insieme. Utilizzando principalmente il legno come materiale da costruzione che alla fine verrà recuperato, le opere di Kawamata fanno parte di un ciclo di vita che si ripete. Anche in questo caso, una volta finita la mostra, l’installazione sarà smontata e gli elementi lignei saranno utilizzati per dare vita a una nuova opera d’arte che sarà collocata il prossimo autunno all’esterno dell’ADI Design Museum.

“Scultore dell’architettura”, Kawamata ama sempre ricordare che il suo approccio all’arte mantiene un legame con la tradizione giapponese. Se l’architettura segna un luogo, stabilendolo storicamente e culturalmente, questi “elementi di disturbo” nel paesaggio urbano suggeriscono invece l’impermanenza e quindi la precarietà anche del tessuto architettonico che si trasforma e si riadatta continuamente.

 

Immagine di copertina: © Paolo Riolzi, courtesy Building

 

 

Tadashi Kawamata. Nests in Milan

31 marzo – 23 luglio 2022
Galleria Building, via Monte di Pietà 23, Milano
A cura di: Antonella Soldaini
altri edifici (in esterno): Grand Hotel et de Milan (via Monte di Pietà 24), Centro Congressi Fondazione Cariplo (via Monte di Pietà 10), Cortile della Magnolia – Palazzo di Brera (via Brera 28)
building-gallery.com/exhibitions/nests-in-milan

 

Autore

  • Arianna Panarella

    Nata a Garbagnate Milanese (1980), presso il Politecnico di Milano si laurea in Architettura nel 2005 e nel 2012 consegue un master. Dal 2006 collabora alla didattica presso il Politecnico di Milano (Facoltà di Architettura) e presso la Facoltà di Ingegneria di Trento (Dipartimento di Edile e Architettura). Dal 2005 al 2012 svolge attività professionale presso alcuni studi di architettura di Milano. Dal 2013 lavora come libero professionista (aap+studio) e si occupa di progettazione di interni, allestimenti di mostre e grafica. Dal 2005 collabora con la Fondazione Pistoletto e dal 2013 con il direttivo di In/Arch Lombardia. Ha partecipato a convegni, concorsi, mostre e scrive articoli per riviste e testi

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Last modified: 14 Aprile 2022