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Arianna PanarellaWritten by: Città e Territorio

Quei 77 muri dopo Berlino

Quei 77 muri dopo Berlino
Il 9 novembre cade l’anniversario della caduta di un simbolo del XX secolo, la cui parabola non ha evitato il proliferare di altre barriere

 

Il muro di Berlino (1961-1989) è tra le più famose divisioni della storia recente. Il 9 novembre è l’anniversario della sua caduta, uno dei giorni più significativi del XX secolo. È spesso stato considerato un’icona della Guerra Fredda che, in seguito, attraverso l’arte, la creatività e l’audacia, si è trasformato da simbolo di divisione in messaggio di unità.

 

Metasemie di un simbolo

Il ruolo del muro di Berlino come opera d’arte pubblica risale alla metà degli anni ottanta. Gli artisti hanno iniziato a ricoprire il lato a Ovest (ovviamente) con slogan politici, barzellette e opere d’arte. Quello che un tempo era considerato il “muro della vergogna” dai berlinesi dell’Ovest, divenne un’esposizione artistica pubblica dei sentimenti e delle idee della città. Un collage di diverse espressioni artistiche, di persone di ogni estrazione e abilità tecnica, compresi artisti molto noti da ogni parte del mondo come, per esempio, Keith Haring. A fine anni ottanta i due lati del muro rappresentavano l’enorme contrasto tra la vita nella Germania occidentale e in quella orientale. Mentre il muro orientale è rimasto grigio e spoglio per tutta la sua durata, il muro occidentale è diventato lentamente una meravigliosa tela lunga chilometri.

 

Una mega galleria d’arte open air

Dopo che il muro fu abbattuto, nel 1989, gli artisti David Monty e Heike Stephan s’incontrarono con i funzionari della Repubblica Democratica Tedesca per discutere della creazione di un’opera d’arte fuori dal muro orientale. Fu deciso che la sezione della cortina presso Mühlenstrasse (circa 1,3 km) sarebbe stata mantenuta come mostra d’arte pubblica: nasce così la East Side Gallery. Oltre 100 artisti furono invitati a cimentarvisi. È una delle più grandi gallerie d’arte all’aperto del mondo, inserita nel registro dei monumenti di Berlino nel 1991.

Molte sezioni del muro furono vendute all’asta a privati ed istituzioni. L’arte del muro di Berlino vive oggi anche nei musei, nelle università, nelle gallerie, nei parchi e in altri luoghi in tutto il mondo, raccontando un pezzo di storia del XX secolo.

 

Le nuove barriere oggi

Questo epilogo non ha purtroppo impedito che anche in anni recenti venissero innalzate numerose nuove barriere. Nel mondo si contano circa 77 muri che dividono popolazioni, mentre nel 1989 erano solo 15. E, se ci si attiene alle stime desunte dagli annunci di nuovi sbarramenti, si sfiora il centinaio. Città come Lima (Perù), Belfast (Irlanda del Nord) e Homs (Siria) hanno muri per separare i residenti. Molti sono anche i confini sigillati tra paesi: per esempio, intorno a Israele, tra le due Coree, tra l’India e il Pakistan, solo per citarne alcuni.

I muri di confine vengono utilizzati per escludere le persone la cui razza, religione, stato economico o ideologia sono ritenuti sgraditi da chi detiene il potere; o, più semplicemente per “mantenere la pace”. Ma ovunque i politici vedono “opportunità/soluzioni” attraverso l’erezione di barriere, gli artisti invece vedono tele su cui potersi esprimere.

 

Tra Stati Uniti e Messico

Tra le divisioni più dibattute quella tra gli Stati Uniti e il Messico, iniziata negli anni novanta e portata avanti in tempi recenti da Donald Trump. Gli interventi da parti di attivisti ed artisti in questi anni sono stati numerosi. In particolare, nel 2019, l’installazione di Ronald Rael e Virginia San Fratello, composta da tre altalene rosa inserite nelle fessure del muro di confine, ha dato vita ad un dispositivo di connessione umana, “Teeter-Totter Wall” (vincitore del Beazley Design of the Year 2020 del Design Museum di Londra), che ha permesso ai bambini di El Paso, in Texas, e di Anapra, in Messico, di giocare insieme, l’uno di fronte all’altro, nonostante la demarcazione materiale del confine. Bambini e adulti, collegati in modo fisico da entrambe le parti, sottolineano come le azioni che si verificano da una parte hanno una conseguenza diretta dall’altra.

Con il suo progetto artistico comunitario, “Mural de la Hermandad“, Enrique Chiu cerca invece di coprire la medesima cortina attraverso murales realizzati da volontari, artisti nelle città di confine del Sud/Ovest.

In un altro segmento, tra Tijuana e San Diego, le barre d’acciaio arrugginite del segno di confine si estendono per circa 100 metri nell’Oceano Pacifico. Nel 2011, con l’opera “Erasing the Border”, l’artista messicana Ana Teresa Fernandez ha “cancellato” il confine dipingendo la recinzione in modo che si fondesse con il mare, la sabbia e il cielo.

E sempre vicino a San Diego, quando i prototipi per il muro di confine di Trump sono stati portati a nord della barriera esistente nel novembre 2017, gli artisti-attivisti della Overpass Light Brigade, conosciuti per i messaggi di protesta luminosi costituiti da luci a LED inserite sopra le autostrade e in altri spazi pubblici dopo il tramonto del sole, hanno deciso d’illuminare i prototipi del muro di confine con “immagini luminose” rivolte agli aspiranti migranti dal Messico, come l’immagine di una scala o giochi di parole (“¡Llegale!” in spagnolo significa “Entra!”, ma assomiglia alla parola “illegale”).

 

Tra Israele e Palestina

Israele si isola dalla Palestina lungo la Cisgiordania con un muro “antiterrorismo” lungo 730 km iniziato nel 2002 in risposta agli attentati suicidi palestinesi. Nel 2017, per celebrare il 100° anniversario della presa del controllo della Palestina da parte degli inglesi, l’elusivo street artist londinese Banksy ha aperto “The Walled Off Hotel” in Cisgiordania, a 400 metri dal checkpoint di Gerusalemme. Un “Art Hotel” perfettamente funzionante con vista sul muro che nel suo nome e con la sua decorazione distopica degli interni, è diventato una dichiarazione artistica sull’isolamento dei territori palestinesi.

 

In Irlanda del Nord, tutti distrutti entro il 2023

I “muri della pace” hanno separato le milizie cattoliche e protestanti in guerra durante il periodo noto come “The Troubles”. Nel 1961, per cercare di fermare la violenza e le rivolte a Belfast, furono costruiti muri in tutta la capitale nord-irlandese, per separare i cattolici che volevano l’unificazione con il resto dell’Irlanda, dai protestanti, che sostenevano il dominio britannico. A Belfast queste barriere dividono ancora le strade con centinaia di murales a tema prevalentemente politico. C’è un piano per distruggerli tutti entro il 2023 per porre fine alle divisioni nel Paese, ma le rimozioni proseguono molto a rilento.

 

A Cipro, tra Grecia e Turchia

La Grecia e la Turchia si contendono il controllo della piccola isola mediterranea dal 1974. Una zona smilitarizzata controllata dall’Onu attraversa ancora la capitale Nicosia. Le sponde turche e greche sono separate da cortine di cemento, filo spinato, persino blocchi realizzati con vecchie botti piene di terra. Nel 2016, la situazione ha spinto lo street artist londinese SYD a dipingere “Break Down the Wall”, ispirato alla band musicale dei Pink Floyd, su una sezione di muro indipendente.

 

Lima e il “muro della vergogna”

In Perù, la capitale è segnata da un muro che taglia quattro quartieri, lungo 10 km e ricoperto di filo spinato. La costruzione è iniziata nel 1985 per separare le comunità ricche da quelle povere. È stato eretto in risposta ai migranti che si sono stabiliti sulle zone collinari, dopo essere fuggiti dai violenti scontri nel sud del Paese. Il muro ha continuato ad espandersi, mentre i quartieri più ricchi cercavano di tagliare fuori quelli più poveri.

 

Invece, tra Polonia e Ucraina, un segno di speranza

Nel 2011, gli artisti polacchi hanno fondato l’annuale Land Art Festival per promuovere la collaborazione culturale e scientifica oltre i confini nazionali, in particolare quello con l’Ucraina, che non fa parte dell’area Schengen dell’Unione europea. I progetti transfrontalieri come il pesce gigante di Jarosław Koziara, realizzati con piante cresciute da semi piantati su entrambi i lati del confine tra i due stati, mostrano come la natura superi le linee geopolitiche e ci ricordano che i confini non solo separano, ma possono anche legare e trasformarsi in arte di protesta.

 

Immagine di copertina: la East Side Gallery a Berlino

 

 

Autore

  • Arianna Panarella

    Nata a Garbagnate Milanese (1980), presso il Politecnico di Milano si laurea in Architettura nel 2005 e nel 2012 consegue un master. Dal 2006 collabora alla didattica presso il Politecnico di Milano (Facoltà di Architettura) e presso la Facoltà di Ingegneria di Trento (Dipartimento di Edile e Architettura). Dal 2005 al 2012 svolge attività professionale presso alcuni studi di architettura di Milano. Dal 2013 lavora come libero professionista (aap+studio) e si occupa di progettazione di interni, allestimenti di mostre e grafica. Dal 2005 collabora con la Fondazione Pistoletto e dal 2013 con il direttivo di In/Arch Lombardia. Ha partecipato a convegni, concorsi, mostre e scrive articoli per riviste e testi

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Last modified: 9 Novembre 2021