Burbero maestro che ci ha lasciato non solo oggetti capolavoro, ma anche un’importante eredità teorica. Poco prima della scomparsa, una mostra lo celebra alla Triennale di Milano
MILANO. La scorsa settimana ci ha lasciati uno dei grandi maestri del design italiano, Enzo Mari. Designer, artista, critico e teorico, cinque volte vincitore del Compasso d’oro, Mari è un riferimento culturale consolidato che accompagna, consapevolmente o meno, l’approccio al progetto di diverse generazioni di architetti, designer, imprenditori del design. Un poeta ribelle del design che ha cambiato il pensiero progettuale, uno dei designer più innovativi della seconda metà del Novecento. La sua ricerca, le sue idee politiche e sociali, ancor più che i prodotti, hanno lasciato un segno importante nel design industriale.
Mari nasce nel 1932 a Cerano (Novara). Si trasferisce in seguito a Milano, dove s’iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1952. Lì studia arte, letteratura e filosofia, con un particolare interesse per la psicologia della visione, la progettazione delle strutture percettive e la metodologia del design: non il consueto curriculum di architetto. Sono tante le dimensioni che convivono nella sua attività: Mari è un artista, un designer industriale, un progettista di mostre, un autore di manifesti, un autore e progettista di libri; soprattutto, è diventato anche famoso per le sue sfuriate contro il “mondo del design”.
Il suo modo di vedere il design è intrinsecamente politico, ha raccolto l’ideale positivista di fine secolo sposandolo con le idee marxiste a cui è sempre rimasto profondamente legato. Per Mari il designer ha un ruolo politico: ogni suo progetto pone questioni morali con il resto della società e con se stessi. I suoi principi base si fondano su una fede nel progresso lineare, sulla pianificazione razionale, su un approccio filo-scientifico all’arte. Progettare per Mari significa “progettare il necessario”.
Una carriera poliedrica
Alla fine degli anni ’50 incontra l’imprenditore Bruno Danese che, con la moglie Jacqueline Vodoz, ha lanciato l’omonimo marchio di design. Un incontro che contribuisce a plasmare la sua carriera, lunga e complessa, come designer. La prima collaborazione con il marchio Danese risale al 1957 ed è l’inizio di un legame proficuo e duraturo, che lo porterà a progettare molti dei suoi pezzi più conosciuti e amati: il vassoio Putrella (1958), che altro non è se non un profilato metallico sagomato a doppio T e piegato; il calendario perpetuo Timor (1966), realizzato con carte di plastica fissate a un perno centrale ispirandosi alla segnaletica ferroviaria; poi, il puzzle in legno 16 Animali (1957), dove da un unico pezzo di legno di quercia, Mari ricava 16 animali ed ognuno di questi è concepito come un oggetto a se stante. E poi ancora il cestino In attesa (1971), per fare canestro senza sbagli, e il famoso calendario da muro Formosa (1963).
Lavora poi per aziende come Driade, Artemide, Zanotta e Magis, oltre a concepire illustrazioni e libri con Einaudi e Bollati Boringhieri. Realizza bellissime pubblicazioni per bambini, ora curate dall’editore Corraini, che sono anche libri illustrati per adulti, e progetta libri teorici che rafforzano ulteriormente il rapporto fra conoscenza e design. Tra gli oggetti, ricordiamo le sedie Sof Sof (Driade, 1972) e Delfina (Rexite, 1974), premiata nel 1979 con il Compasso d’oro; l’imitatissimo tavolo Frate (Driade, 1974), la sedia Tonietta (Zanotta, 1985), lo spremiagrumi Titanic (Alessi, 2000), le pentole La Mama (Le Creuset, 1970) e Copernico (Zani&Zani, 1989), le posate Piuma (Zani&Zani); tra gli ultimi, il portaombrelli Eretteo (2000) e l’appendiabiti Togo (2001) per Magis.
Nel corso della sua attività di ricerca, Mari ha realizzato quasi 2.000 progetti. Non ha mai voluto suddividere il suo lavoro in ambiti di ricerca separati: Infatti, se guardiamo diacronicamente le sue opere, emerge la continua interconnessione tra le differenti tipologie di ricerca.
Dal 1963 al 1966 insegna presso la scuola della Società Umanitaria di Milano, mentre continuerà a collaborare fino agli anni 2000 con istituzioni prestigiose tra cui il Politecnico di Milano, dove tiene diversi corsi nelle facoltà di Disegno industriale e Architettura, e a Parma dove è docente di Storia dell’Arte.
Il progetto che forse è la dimostrazione più chiara del suo pensiero è Proposta per un’autoprogettazione, che Mari nel 1974 presenta alla Galleria Milano. La mostra metteva a disposizione di tutti una serie di disegni e istruzioni per realizzare i mobili da sé, quelli essenziali come la sedia, il tavolo, l’armadio, il letto: un «Esercizio individuale da realizzare per migliorare la propria consapevolezza».
L’eredità in mostra
Pochi giorni prima della sua scomparsa, una mostra alla Triennale di Milano, curata da Hans Ulrich Obrist con Francesca Giacomelli, lo celebra ripercorrendo 60 anni di progetti da diverse prospettive. Una rassegna ricca di preziosi materiali e documenti d’archivio, che Mari ha donato alla città di Milano. L’intero archivio professionale, che raccoglie tutta la sua l’attività dal 1952 al 2015, circa 1.500 progetti, e consiste tra l’altro in documentazione tecnica, modellini, prototipi, lucidi, disegni, disegni tecnici, prove di stampa, manifesti, opere d’arte, multipli d’arte, campioni di produzione, l’archivio fotografico, libri e cataloghi, sarà catalogato e messo a disposizione del pubblico all’interno delle collezioni archivistiche del Casva (Centro di Alti Sudi sulle Arti Visive), che si arricchisce così di un nuovo importante contributo.
La mostra, concepita come un libro, è un’opportunità per avvicinarsi alla comprensione di ciò che, nel corso di oltre 60 anni di carriera, Mari ha variamente inteso come design. Una prima sezione dalla mostra è dedicata all’arte, mentre una seconda parte ha come focus i progetti, le installazioni, i prodotti. Due percorsi che si svolgono cronologicamente e la cui stretta immediatezza, contenutistica e fisica, fa sì che s’intreccino regolarmente. Ciò che colpisce, osservando i suoi progetti, è la loro resistenza alla prova spietata del tempo. Il burbero maestro non ci ha lasciato solo degli oggetti capolavoro, ma anche un’importante eredità teorica. «Ho passato la mia vita a fare progetti, più di duemila fino ad oggi, ma credo di non sapere ancora cosa sia il design. So di non sapere, come diceva Socrate. E continuo ad aver voglia di conoscere, ad appassionarmi alla ricerca sulla forma e sui materiali».
“Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli”
Triennale Milano, viale Alemagna 6, Milano
dal 17 ottobre 2020 al 18 aprile 2021
mercoledì – domenica dalle 12.00 alle 20.00
In copertina, foto di Ramak Fazel
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Milano , mostre , triennale milano
Last modified: 9 Novembre 2020