Riceviamo e pubblichiamo la risposta di Vittorio Sgarbi al commento di Emanuele Piccardo (che controreplica brevemente) in merito alle vicende urbanistiche del capoluogo marchigiano
Leggi l’articolo “Urbino vs Sgarbi e Boeri: la rimozione della modernità”
Tutte frottole, nessuna rimozione della modernità. I tessuti storici vanno rispettati, e questo non vale solo per Stefano Boeri ma anche per il suo maestro Giancarlo De Carlo che, molti anni fa, fui costretto a stoppare quando, sotto i torricini di Palazzo ducale a Urbino, intendeva ripristinare le semplici forme della Data (“Orto dell’abbondanza”) con una tettoia a forma di ala di aereo. Non era modernità, era stupro. E per ostacolarlo si alzarono, insieme alla mia voce, quella di Ernst Gombrich, di Denis Mahon, di Andrea Emiliani. Che Boeri sia un modesto architetto, con una visione schematica della modernità, lo indica il suo feroce progetto di distruzione sistematica del Porto vecchio di Trieste che, ancora una volta, fui io a bloccare, con il vincolo dell’intera area sull’esempio di Amburgo. Le sue modeste prove, come il cosiddetto “Bosco verticale”, da me chiamato “Favela verticale”, sono stati aspramente contrastati da due pilastri della modernità, che ne hanno denunciato il plagio: Gaetano Pesce ed Emilio Ambasz. A loro si chieda il giudizio su Boeri. O a un altro architetto, sensibile alla storia come alla contemporaneità, qual è Paolo Zermani. Ma, per essere implacabili, non si potrà dimenticare che a osteggiare il modesto bosco verticale fu, ostinatamente, un’eroina del nostro tempo: Giulia Maria Crespi, che difese con me la “stecca”, testimonianza di architettura spontanea e popolare, abbattuta e sconvolta da Boeri. E si finisca di chiamare modernità l’abuso e la violenza contro la storia cui è stata sottoposta Milano; ma non si può consentire – si chiamino De Carlo o Boeri – che accada a Urbino.
La ricostruzione assolutamente tendenziosa di Emanuele Piccarlo ignora la storia dei conflitti di De Carlo con personalità come Gombrich, e di Boeri con personalità come Pesce, ben più di lui moderno. Tutto l’articolo tendenzioso, e ispirato da Boeri e dalle sue dichiarazioni, si basa su presunzioni e falsità. Nessuno ha incaricato Boeri di redigere il Piano strategico di Urbino, tanto più senza consultarmi. Egli è stato semplicemente contattato, per puro divismo, dal vicesindaco Roberto Cioppi, illuso che la notorietà di Boeri potesse portare finanziamenti alla povera amministrazione di Urbino. Mi dispiace deludere Piccardo e Boeri, il quale sfido a valutare, in termini non di conservazione ma di rispetto della storia, il suo progetto iconoclastico per il Porto vecchio di Trieste con la tutela da me garantita con la benedizione del FAI e di Italia nostra. Alle avance del vicesindaco segue una telefonata di Boeri al sindaco Maurizio Gambini, con l’arroganza di chi pretende quello che non gli è stato affidato. Poi il mio veto. Nessuna posizione reazionaria. Si vada a misurare, con l’opposizione di molti guidati da Gombrich, l’intervento sull’Orto dell’abbondanza di De Carlo, come il suo abuso, in tutta la città, di cemento armato. Io non ho nessuna intenzione d’interferire sul Piano strategico ma, almeno, di discuterlo prima di sceglierlo, e sarei propenso ad affidarlo a personalità come Mario Botta, Italo Rota, Francesco Venezia o Alvaro Siza, piuttosto che al distruttore Boeri. Nessuna “rimozione della modernità”, ma vincoli precisi stabiliti dallo Stato e confermati dall’Unesco. Del tutto tendenzioso il riferimento ai nuovi minacciati annessi agricoli, di cui non vi è traccia, mentre forti sono le tracce laceranti, nel tessuto storico di Urbino, di alcuni interventi di De Carlo. Piccardo scriva sulla base di dati reali, e non sulle fantasiose ricostruzioni di Boeri.
Vittorio Sgarbi
La replica di Vittorio Sgarbi denota una debolezza teorica rispetto alla verve mediatico-televisiva tipica del personaggio. Storicamente, nella sua quotidiana azione politica, Sgarbi ha manifestato il suo essere reazionario, ovvero l’ostilità a quel progresso e quell’innovazione cui, nel caso urbinate, hanno invece contribuito le architetture di De Carlo sotto l’egida di Carlo Bo. Definire Pesce e Ambasz come “pilastri della modernità” e “un altro architetto sensibile alla storia come alla contemporaneità, qual è Paolo Zermani”, dimostra una certa confusione nella distinzione tra modernità e postmodernità a cui loro appartengono. Negli anni ’60 l’attenzione degli architetti e degli urbanisti si concentra sul recupero dei centri storici. Si delineano atteggiamenti contrapposti e si forma un’idea reazionaria e conservatrice del risanamento dei centri storici completamente ostile a ogni intervento nuovo, proponendo forme e stili preesistenti, come avvenuto per il Piano del centro storico di Bologna (1969) di Pier Luigi Cervellati. Dall’altra l’approccio di De Carlo prevede l’analisi della forma della città per riprogettarla secondo i canoni della modernità, attuando un dialogo con l’esistente che non significa riproporne lo stesso linguaggio.
Urbino secondo Sgarbi deve ripiegarsi univocamente sulla storia rinascimentale senza nessun dialogo con il tempo presente, affinché si definisca una sorta di “comfort zone” della cultura; perché l’innovazione destabilizza un potere precostituito. Ma proprio De Carlo ci ha insegnato che il conflitto anima le scelte politiche e che dal conflitto nasce l’Architettura. Così, anche la Variante all’art.24 del PRG del 1994, approvata il 29 luglio 2019 dal Comune di Urbino, contribuisce a rimuovere quella tutela del paesaggio che era alla base della pianificazione urbanistica attuata prima da Leonardo Benevolo e poi da De Carlo, e che Sgarbi usa mediaticamente come un suo vessillo esistenziale.
Emanuele Piccardo
Foto di copertina: il territorio di Urbino con, sullo sfondo, i collegi universitari progettati da Giancarlo De Carlo (© Emanuele Piccardo)
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lettere al Giornale , Pianificazione
Last modified: 28 Luglio 2020