Nel Regno Unito si è costituito un sindacato degli architetti per tutelare i più giovani dallo sfruttamento negli studi professionali
LONDRA. “Abuse in architecture” è il nome della conferenza tenutasi qualche settimana fa, in un piccolo ristorante italiano nella zona est della capitale britannica (qui il podcast). L’iniziativa fa parte della serie “Negroni Talks”, organizzate dallo studio di architettura Fourth_space. Il format prevede quattro ospiti seduti in mezzo al pubblico che rispondono ad una serie di domande e provocazioni lanciate dal moderatore, terminando con l’intera platea coinvolta in un’animata conversazione di fronte ad un piatto di pasta ed un bicchiere di Negroni. La discussione, incentrata sulle lunghe nottate per ultimare consegne, concorsi non retribuiti e paghe che rasentano il salario minimo è tema quanto mai sentito in Gran Bretagna; e soprattutto a Londra, dove si sono formate numerose associazioni con lo scopo di fronteggiare quello che sta diventando un serio problema del settore.
Un battagliero gruppo di giovani architetti freschi di università ha fondato United Voices of the World’s Section of Architectural Workers (UVW-SAW), sindacato degli architetti. Sarà la rinnovata energia di una generazione pronta a scendere in piazza o una maggiore attenzione al tema della salute mentale, ma la fondazione del sindacato e la pubblicazione del manifesto (a fianco) da parte del London Practice Forum, a cui aderiscono una serie di piccoli/medi studi britannici, fa ben sperare per una maggiore apertura ad affrontare seriamente le problematiche che accompagnano, fin dai tempi della formazione universitaria, un’intera professione.
C’è chi sostiene che il problema sia radicato nel sistema educativo. La rivista Architects’ Journal, a cadenza annuale, pubblica l’AJ Student Survey, inchiesta sul sistema universitario inglese. Negli anni sono state denunciate rette universitarie che non permettono un accesso egualitario, problemi di salute mentale che colpiscono uno studente su tre (AJ Student Survey 2018) e le tante ore extra non retribuite. L’incapacità dell’università di trasmettere agli studenti il valore del proprio lavoro, competenze e contributo alla società, ha trasformato il lavoro dell’architetto in una “vocazione” o una “passione”, parole che fin dall’inizio generano un pericoloso fraintendimento. Se nessuno insegna a dare un valore reale e tangibile al nostro lavoro, come faremo a farci pagare adeguatamente nel momento in cui si presenta il quanto mai atteso primo cliente?
In un momento d’incertezza finanziaria dello studio, nel 2008 Bjarke Ingels decide di assumere Sheela Maini Søgaard, impiegata presso la compagnia americana di consulenza gestionale McKinsey; dopo solo un anno fu promossa a CEO, portando lo studio danese da 45 a 500 impiegati in soli 10 anni. Il suo primo consiglio a Ingels fu di “Non consegnare i disegni se il cliente non ha pagato”. Semplicemente, partendo dal sano buon senso, si costruì un impero.
A fare le spese di questa cattiva gestione non è solo il portafogli, ma soprattutto il sistema nervoso. The Architects’ Mental Wellbeing Forum, associazione fondata nel 2017 alla quale hanno aderito studi come Grimshaw, PDP e Hawkins Brown, fornisce gratuitamente una guida per migliorare la gestione del personale e dello studio attraverso una lista di suggerimenti per i singoli e per lo studio. Per correre ai ripari negli studi che hanno compreso che una mancata attenzione al problema si ripercuote sulle performance produttive e finanziarie dell’attività associata, vengono organizzati workshop di wellbeing, recupero delle ore extra, attività di socializzazione per lo staff e talk di sensibilizzazione al problema in collaborazione con associazioni quali Anxiety UK e Architects Benevolent Society.
Va dato atto ai media di settore di aver giocato un ruolo cruciale nella promozione di questo dibattito. Il viralissimo Dezeen, lo scorso anno, in occasione dell’apertura dell’ultima Serpentine Pavilion a cura di Junya Ishigami, accusato di sfruttare gli stagisti costretti ad orari improbabili, ha scatenato una vera e propria campagna contro le collaborazioni non retribuite. Nel mirino di Marcus Fair, caporedattore di Dezeen, sono finiti anche nomi del jet set quali Alejandro Aravena e Studio Mumbai, oltre a numerosi studi asiatici, in cui tale pratica è all’ordine del giorno. Dal 2011 il RIBA, l’ordine degli architetti inglesi, obbliga gli studi registrati a pagare tutti i dipendenti inclusi gli apprendisti.
Alla luce di tutto ciò, sia l’UVW-SAW che il London Practice Forum convengono sulla necessità che le loro azioni siano complementari ed entrambe necessarie per mantenere alta l’attenzione sul tema. Per avere una chance di ripensare la cultura lavorativa nel mondo dell’architettura, tutti gli attori coinvolti, da studenti ai manager, devono essere seduti allo stesso tavolo, forgiando iniziative che nascano sia dal basso che dai livelli più alti.
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Last modified: 26 Febbraio 2020
[…] domestico anche nel Regno Unito a causa del Coronavirus. Era quello che tutti auspicavano. Il giovane gruppo di sindacalisti del nostro settore UVW-SAW già dal 16 marzo twittava richiedendo il diritto per i lavoratori nella filiera architettonica di […]