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Federica RussoWritten by: Reviews

Quale casa per tutti? Il Regno Unito s’interroga

Quale casa per tutti? Il Regno Unito s’interroga

“A Home for All: Six Experiments in Social Housing” è il titolo della mostra organizzata dal RIBA presso il Victoria and Albert Museum di Londra sulla storia dell’edilizia sociale in Inghilterra

 

LONDRA. La casa è al centro delle mostre architettoniche nella capitale britannica: Home Futuresun viaggio nelle utopie del passato e del futuro (al Design Museum, fino al 24 marzo), e “A Home for All: Six Experiments in Social Housing”, una riflessione sulla pressante necessità di edilizia sociale nel paese, (al V&A fino al 26 maggio).

La seconda, organizzata dal RIBA (Royal Institute of British Architecture) in collaborazione con il Victoria and Albert Museum, seppur piccola per allestimento, ha un titolo importante: “Una casa per tutti” e grandi contenuti e aspirazioni.

Esposti cinque progetti che hanno fatto la storia dell’edilizia sociale in Inghilterra dagli anni ‘40 ai ‘70 e un ultimo progetto dei giorni nostri non ancora realizzato, tutti voluti e finanziati dalle autorità locali. La volontà sembra che sia quella di dimostrare, attraverso alcuni esemplari approcci architettonici, l’importanza della ricerca della disciplina per arrivare a soluzioni innovative che migliorino la qualità del vivere in questo tipo d’interventi residenziali.

La mostra si apre con Spa Green di Lubetkin e Tecton, un complesso edilizio di 126 appartamenti progettato e costruito a Londra nel 1938-49, che al motto di «nulla è troppo ben fatto per la gente comune» (Berthold Lubetkin, 1946), inaugura un’epoca in cui si crede fermamente nell’architettura come strumento di miglioramento della società.

Subito dopo Denys Lasdun & Partners con la Keeling House di Londra, 1954-59, fa il passo successivo,«cerca di ristabilire indipendentemente dalla grandezza, il senso di scala, di appartenenza, d’identità e soprattutto di privacy» (Denys Lasdun, 1968)La torre di 16 piani fu un progetto di protesta contro il trattamento delle persone come numeri, raggiungendo un livello di design, dalla distribuzione interna nei singoli appartamenti agli spazi comuni fino al dettaglio, singolare e tutt’oggi all’avanguardia.

Poi con l’arrivo degli anni ‘70 società e l’architettura innescano sinergie inaspettate: si mettono a punto nuove tipologie residenziali, gli architetti parlano sempre più con i futuri residenti e il processo di progettazione diventa indissolubilmente legato al luogo e alle persone. «La gente voleva i propri negozi di quartiere, pubs, lavanderie… volevano spazi funzionali che fossero anche spazi d’incontro con i propri amici e vicini, spazi utili in cui farsi anche una buona risata» (Ralph Erskine, 1988). In mostra dunque Alexandra Road Estate, un progetto di Neave Brown in cui la strada è portata alla scala dell’edificio – ne abbiamo parlato nell’articolo Neave Brown (1929-2018) -; ma anche la Baker Estate di Ralph Erskine Arkitektkontor, un ambizioso esempio di architettura partecipata, dove l’architetto spostò il suo ufficio in cantiere per essere a stretto contatto con i futuri residenti nel processo di progettazione e costruzione. E Adelaide Road, un progetto di Nabeel Hamdi and Nicholas Wilkinson, nato all’Architectural Association School of Architecture (AA), nel quale tramite uno sperimentale kit di assemblaggio, il PSSHAK, i futuri residenti arrivarono a disegnare essi stessi la disposizione interna delle case.

La mostra si conclude saltando dagli anni ‘70-‘80 ai giorni nostri, in un momento di totale crisi dovuta alla carenza di residenziale sociale, in cui il focus rimane sui numeri e le autorità locali sembrano fermamente concentrate sul riuscire a dare “una casa per tutti”.

La scelta dei curatori è caduta su un unico progetto recente, Lions Green Road di Mary Duggan Architects, cinque blocchi residenziali che includono 120 nuove case private e di edilizia sociale, commissionato dalla Brick by Brick, società del Croydon Council. Per quanto il progetto sia interessante sul piano della qualità architettonica, la scelta di consacralo nella rosa dei selezionati non è supportata dal materiale esposto e forse nemmeno dalla tipologia di progetto. La volontà di cercare una soluzione a un problema sociale e politico attraverso la progettazione, la ricerca di soluzioni innovative e la partecipazione della comunità sembrano non essere presenti ai giorni nostri.

Nella sala echeggia la domanda di cui si sentiva il bisogno: una casa per tutti, ma quale casa? E la risposta a oggi non sembra ancora chiara.

Autore

  • Federica Russo

    Laureata all’Università “La Sapienza” di Roma, è co-fondatrice dello studio di architettura Valari. Ha lavorato in studi internazionali come Haworth Tompkins e Allies & Morrison a Londra, VYA nei Paesi Bassi e Massimiliano Fuksas a Roma. Dal 2006 ha collaborato come giornalista freelance per diverse testate d’architettura tra cui Artribune, Compasses, Presstletter, Livingroome, a edizioni speciali de L’Arca e A10 ed è co-autrice del libro “Backstage Architecture” (2011)

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Last modified: 4 Febbraio 2019