Riceviamo e pubblichiamo una lettera in merito all’inchiesta “Le chiese dell’ultimo lustro”
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—In merito all’inchiesta su “Le chiese dell’ultimo lustro”, la riflessione che segue vuole constatare,osservando la chiesa di San Paolo Apostolo a Foligno, progettata da Massimiliano Fuksas, che le chiavi teoretiche fondative della progettazione delle chiese cristiane, dettate dalla riforma conciliare, sono rimaste ancora premesse metodologiche.La riforma liturgica, dettata dal Concilio Vaticano II,presenta
a mio avviso, nel campo architettonico, un rinnovamento interessante per gli aspetti simbolici e semantici degli edifici, offrendo elementi estremamente importanti per la progettazione delle chiese. Tuttavia la progettazione delle chiese mi pare non sappia cogliere questi elementi di novità, o perché molti architetti specializzati in campo ecclesiastico rimangono legati al linguaggio del Movimento moderno che non consente di esprimere con forme adeguate le acquisizioni simboliche della liturgia rinnovata; o perché la progettazione di nuove chiese è affidata ad architetti che, pur attenti al rinnovato interesse linguistico dell’architettura, non avendo alcuna conoscenza nel campo della liturgia, della sua dinamica e del suo simbolismo, non sanno cogliere il centro della problematica architettonica della chiesa e rimangono legati alla tradizionale progettazione dell’involucro rinviando continuamente ad altri una risposta progettuale al contenuto essenziale della chiesa. Qualche tempo fa Bruno Zevi scriveva: “Le nostre chiese, […] ribadiscono impostazioni fruste, prive di vitalità e di messaggio […] e principalmente non plasmano nuovi spazi […] per la mancanza di genuina ispirazione, di volontà inventiva e di profonde esigenze religiose“.
I progetti di queste chiese cristiane rimandano, almeno per quanto riguarda le loro proprietà formali, alle poetiche individuali dei loro progettisti, a uno stile personale, ricorrente, che riflette nei loro lavori un mondo soggettivo di intendere l’architettura. Tutte queste espressioni soggettive vengono legittimate dalla critica come “dichiarazioni di poetica”, applicazioni di quel pluralismo che quando non appare desiderabile sembra ineluttabile. L’aspetto simbolico dell’architettura si limita alla sua dimensione poetica, quindi legittima la sua implicazione con le poetiche individuali. L’architettura che esce dal funzionalismo – dove rispondeva a requisiti prioritariamente, se non esclusivamente, materiali – s’imbatte nell’espressionismo soggettivo, nella poetica personale o nella improvvisazione individuale.
Proprio dal punto di vista figurativo è possibile constatare edifici-chiesa che sono opere minimaliste dalle forme che non rappresentano alcunché e non imitano nulla. Si manifestano nella propria fisicità senza riferimenti simbolici. Si tratta di poetiche personali neanche in armonia con il genius loci, nel rispetto della storia e della cultura del luogo, ma rispettose della tradizione modernista. Le loro forme seguono una concezione evoluzionistica; esse presentano dei codici innati e appaiono del tutte autonome rispetto al loro contenuto, non significano altro che se stesse.
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Chiese
Last modified: 8 Agosto 2017
[…] Alla lettera di Maurizio Abeti, che pone questioni sollevate anche da molti altri osservatori, cerco di dare una risposta sintetica, nonostante l’ampiezza dei temi sollevati. […]