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A Chichester, in dialogo con la tradizione rurale

A Chichester, in dialogo con la tradizione rurale

Tassello di un progetto di risistemazione paesistica, il nuovo centro visite del Weald and Downland Open Air Museum di Chichester ad opera di Abir Architects rimodula spazi e percorsi all’insegna dell’architettura rurale

CHICHESTER (REGNO UNITO). Sono tre gli edifici che il Weald and Downland Open Air Museum di Chichester, nel West Sussex inglese, ha inaugurato giovedì 18 maggio. Costituiscono il pezzo forte del Gateway Project, lanciato nell’estate del 2013 e finanziato con quattro milioni di sterline dello Heritage Lottery Fund e un ulteriore milione e mezzo raccolto attraverso donazioni private. I tre edifici si dispongono sulla riva meridionale del bacino che alimenta il locale mulino e, per una superficie coperta complessiva di 850 mq, costituiscono il nuovo ingresso e centro visite alla vasta area museale di 16 ettari, all’interno del South Downs National Park, punteggiata da oltre 50 costruzioni storiche salvate dalla demolizione e giardini.

Il progetto, redatto da Matthew Richardson di Abir Architects, ha previsto nel primo edificio spazi di biglietteria e locali di vendita; nel secondo tre gallerie espositive; nel terzo, infine, due caffè affacciati sull’acqua capaci di ospitare fino a 150 persone, poi le cucine e una sala conferenze. I volumi sono semplici ma non banali nell’echeggiare l’architettura rurale e anzi in sapiente scala con il luogo e raccordati da vani di transito, terrazze e da una corte centrale che funziona come una promessa per il visitatore ancora titubante all’entrata, lasciandogli intravedere la superficie lacustre, boschi e prati piuttosto ameni.

I materiali sono volutamente ma non pedissequamente vicini alla tradizione: nella struttura in legno di quercia, studiata ad hoc come un doppio reticolo triangolato, privo di catena nelle capriate di copertura e leggibile dall’interno, sono stati evitati gli incastri e preferiti giunti in acciaio a vista a tre, quattro e cinque vie; le pareti sono in pannelli di lamellare da 162 millimetri; ricoprono i tetti dell’edificio centrale 59.600 scandole in legno di castagno scanalate a mano da due artigiani del posto, Ben Law e Justin Owen, mentre per gli altri si è ricorso a tegole Keymer, prodotte sempre a mano nei noti stabilimenti del Surrey attivi fin dal 1588. Il cantiere è stato affidato alla Pilbeam Construction di Brighton.

I tre edifici sono solo il tassello più appariscente di un progetto che pure comprende la risistemazione paesistica dell’intorno, affidata allo studio di Nicholas Dexter. Già drenato di enormi quantità di limo il bacino lacustre, si lavora ora a una nuova condotta e a una nuova chiusa verso il mulino, poi si procederà all’impianto di canne palustri di varie specie così come di felci (Driopteris filix-mas) e di altre perenni erbacee (Vinca minor f. alba e Luzula sylvatica) o cespugliose (Amelanchier lamarkii e Cornus sanguinea) lungo i camminamenti che preludono all’ingresso e intorno al parcheggio per auto e pullman traslato in una posizione più defilata.

Quel che più conta, tuttavia, nel Gateway Project è la rimodulazione complessiva degli spazi e dei percorsi imposta dal nuovo centro visite. Per paradossale che possa sembrare in un museo di architettura all’aria aperta, al Weald and Downland si soffriva di una scarsa permeabilità visiva tra esterno ed interno, ora almeno parzialmente risolta; i tre edifici di nuova costruzione ne hanno inoltre liberato altrettanti (tra cui una casa medievale dal Kent, salvata nel 1992 dal terminal dell’Eurotunnel) che ora possono essere sottoposti per la prima volta a studio – delle strutture e della vita che vi si svolgeva – e poi essere aperti alla visita. Che sarà resa più agevole e appagante da due aree interattive per famiglie e bambini (dei 120.000 biglietti emessi ogni anno 25.000 riguardano le scolaresche) e da un generale ripensamento dei materiali storici e degli strumenti interpretativi offerti, con un’enfasi sul nesso tra paesaggio e pratiche edilizie rurali. Proprio come era nelle intenzioni del fondatore, Jack Roy Armstrong, nella tarda estate di 47 anni fa.

Autore

  • Luigi Urru

    Trentott’anni o giù di lì, portati bene – quando ne aveva quattro lo morde un cane – a 15 è in esplorazione ipogea con un gruppo di speleologi – viaggia in Scozia, e si perde tra i fiordi – padre sardo, coriaceo: lo vuole avvocato – madre piemontese, cattolica: lo vuole ingegnere – lui s’iscrive a Lettere: latino e greco; poi anche ad Architettura – passa il tempo, scrive per giornali, studia il tedesco – è a Londra per cose dell’Asia orientale – legge Joyce – s’innamora – pendolarismo Islington-Prenzlauerberg – lei entra in clinica psichiatrica, lui no – torna in Italia – legge Gadda – porta una ragazza a Parigi, che non gliela dà – di mattina s’alza ch’è buio per disegnare ideogrammi – va in Giappone e ci resta un bel po’ – impara a memoria l’Ipersonetto – finisce il dottorato: e adesso che si fa? – un’italiana lo invita a prendere un tè e lui ci casca – fa yoga – pubblica un libro su Tokyo: bel libro, gli dicono – il tempo passa ancora – trova una bicicletta in cantina e si mette a pedalare – sopravvive allo tsunami e alle radiazioni di Fukushima – saggi, giornali, conferenze – legge Proust, visita giardini, sarà presto in Cina (e di nuovo in Giappone) – È andata così, per ora

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Last modified: 22 Maggio 2017