L’inaugurazione del Museo Virtuale del Garofalo come occasione per riflettere sul rapporto tra musei originali e musei virtuali: a ognuno le sue copie
CANARO (ROVIGO). Il 10 dicembre 2016 è stato inaugurato il MuViG – Museo Virtuale del Garofalo. Come recitano i comunicati, il museo è dedicato al pittore Benvenuto Tisi, detto appunto “Il Garofalo”, importante esponente della pittura rinascimentale ferrarese. Un solo quadro originale, dato in prestito da un collezionista privato, chiude il percorso museale; ma qualcosa di “originale” è presente anche nell’architettura, giacché la sede del “primo Museo virtuale d’Italia dedicato alla pittura” sta in un edificio “recuperato e restaurato” che “la tradizione indica come la casa natale del pittore”…
Questa la carta d’identità del nuovo, piccolo museo da poco partorito tra le fitte nebbie del bacino padano. Per quanto piccolo e con una sola opera originale, il museo di Canaro suscita tuttavia la nostra simpatia. Innanzi tutto perché va sempre salutato con favore ogni spazio pubblico ad uso attivo della collettività in tempi di sofferenza civile come i nostri. Ma l’iniziativa è positiva inoltre perché, sebbene lo spazio espositivo sia “virtuale”, ossia abitato in sostanza da riproduzioni più o meno tecnologiche, il nuovo museo è anch’esso a modo suo “originale” nel senso della buona idea che l’ha ispirato.
Davanti all’aumentare dei fenomeni contemporanei delle “copie” artistiche e architettoniche si schierano spesso i plotoni d’esecuzione di una condanna purista che vorrebbe vedere sempre coincidere i principi di originalità storica e autenticità fisica dell’opera nel pieno rispetto documentale e archeologico. Queste condanne, o quantomeno la riprovazione sdegnata al cospetto di ogni opera riprodotta, virtuale o simulata, si macchia però di un errore grande quanto quello che viene imputato a detti fenomeni. Si pensa infatti che l’autenticità materiale sia garanzia di una corretta trasmissione dell’eredità culturale, ma in tal modo si dimentica che già il processo di musealizzazione si regge su un’inevitabile de-contestualizzazione delle opere tanto temporale quanto spaziale, e comunque sempre una de-contestualizzazione funzionale.
Se volessimo condannare ogni forma di memoria culturale non rispettosa dei principi dell’“originalità”, il primo a dover essere punito sarebbe allora proprio il museo, inteso sia come istituzione fisica sia come filosofia della conservazione dei prodotti culturali, poiché il museo è, per così dire, il primo copista delle opere che preserva e ci comunica. I musei virtuali non fanno altro che radicalizzare questo statuto museale, ma aggiungendo che la trasmissione culturale non si fonda su un’originalità che il museo ha in verità per primo ucciso con un “copia e incolla” delle opere spostandole dalla funzione originale al valore postumo.
Da letterato vorrei in conclusione invitare a leggere i musei, tutti i musei, quelli con copie autentiche insieme a quelli con copie virtuali, quali libri che raccolgono diverse edizioni dei testi, che vanno dalle stesure originali alle prime edizioni pregiate, cui ne seguono altre critiche e altre ancora economiche, ma dove i testi da interpretare sono gli stessi: le opere che siamo invitati a rileggere e magari anche a riscrivere.
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Last modified: 20 Dicembre 2016