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Martha PollakWritten by: Progetti

Botta + Snøhetta = new SFMOMA

Botta + Snøhetta = new SFMOMA

Visita all’ampliato Museo di arte moderna di San Francisco, dove i norvegesi Snøhetta hanno triplicato gli spazi concepiti nel 1995 da Mario Botta

 

SAN FRANCISCO (CALIFORNIA). Con grande successo di pubblico e critica, dallo scorso maggio il nuovo ed ampliato Museo di arte moderna di San Francisco (SFMOMA) riunisce gli spazi espositivi – triplicati rispetto alla precedente superficie – con la collezione Fisher (circa 1.100 opere di arte contemporanea e del dopoguerra). L’espansione di dieci piani disegnata da Craig Dykers e dal suo team Snøhetta ha rinnovato ed al contempo trasformato in alcuni aspetti l’edificio originario del 1995 disegnato da Mario Botta.

Nella nuova configurazione, l’edificio storico si trasforma in una faraonica entrata per la nuova ala: una sorta di lastra rettangolare ondulata posta a 90° rispetto alla massiccia preesistenza. Il contrasto è anche sottolineato nella scelta cromatica: l’innovativo rivestimento in pannelli grigio chiaro costituiti da un polimero rinforzato con vetroresina fanno da contromisura ai mattoni intervallati da pietra lavica di Botta. L’espansione di Snøhetta inserita – o, a dir meglio, “calzata” – all’interno dell’isolato con il fronte molto adiacente alla strada, può essere visibile solo in modo frammentato e unicamente dai piani degli edifici antistanti. Questa facciata sembra in qualche modo tenere conto di un’eventuale demolizione dei piccoli edifici esistenti limitrofi; cosa che lascerebbe il posto ad un piazzale di accesso e una più adeguata piattaforma dalla quale la nuova espansione emergerebbe in tutta la sua gloriosa sinuosità. Al momento però i giornalisti, i critici ed il pubblico hanno soprannominato questo edificio in vari modi: “nave da crociera” (New York Times), “meringa afflosciata” (Guardian) e iceberg.

Snøhetta ha fatto un uso esemplare di questa sfida riguardo il sito d’intervento. Le scale d’accesso che precedentemente incanalavano i visitatori attraverso il cilindro di Botta sono state ora tramutate in una più confortevole e trasparente scala, smorzando l’originale monumentalità attraverso l’uso di legno biondo a vista per gradini e balaustre, considerato pessimo dalla maggior parte della critica sia per la scala che per la referenza alla tradizione scandinava. Le due parti del museo sono come intrecciate al secondo piano dove è posizionato il nuovo ingresso. Dopo una serie di elaborate scale sia esterne che interne, l’entrata separata della nuova ala converge anch’essa in questa hall d’ingresso animata dalla luce che piove dalle vetrate del cleristorio. Le rampe di scale dominano, non solo organizzando la connessione fra vecchio e nuovo ma al contempo configurando la nuova ala – permettendo così ai visitatori di riposarsi e godere la monumentale scultura di Richard Serra, e ai progettisti di citare la recente introduzione a questa forma architettonica da parte di Diller Scofidio + Renfro nel Lincoln Center a New York (2009) e nell’Art Museum dell’Università della California a Berkeley, coevo al cantiere di San Francisco. I corpi scala occupano la striscia di spazio parallela alla lunga facciata del nuovo edificio, offrendo una vista vertiginosa dei gradini a cascata, similmente a quanto avviene alla Kunsthaus di Bregenz (Austria) disegnata da Peter Zumthor (1997), ma al contrario addolciti dalla luce delle enormi finestre ai rispettivi piani.

Numerose altre amenità e innovazioni, architettoniche ed artistiche, sono distribuite attraverso tutto l’edificio. Le finestre profonde sono uno spazio di accoglienza ma anche una sorta di scatola di luce che incornicia la vista della città; un dettaglio applicato con successo da Yoshio Taniguchi al MOMA di New York (2004). La collezione Fisher è esposta negli spazi dal quarto al settimo, illuminati artificialmente. Questa importante donazione che ha trasformato il MOMA di San Francisco nel più grande museo di arte contemporanea, domina il contenuto del nuovo edificio da molti ribattezzato sarcasticamente museo Fisher (una famiglia molto nota a San Francisco – quando in realtà la ricchezza dei Fisher proviene da investimenti nel mercato globale come il marchio di moda Gap e altri marchi minori). [In un recente progetto, sulla stessa linea, i donatori dell’Anderson Collection alla Stanford University avrebbero preteso un intero edificio a loro nome, separato dal Museo universitario, per accoglierne le opere d’arte contemporanea]. Terrazze all’aperto che accolgono sculture sono inserite in modo puntuale, inclusa una splendida terrazza definita “Living Wall”, dall’innovativo paesaggio verticale che richiama i lavori del pioniere francese Patrick Blanc (da leggere Le Mur Végétal, de la nature à la ville, ora disponibile nelle edizioni francese, inglese e tedesca) e gli allestimenti esterni, piuttosto enfatici, dei padiglioni di Stati Uniti ed Israele all’EXPO 2015 di Milano.

Insieme ai nuovi progetti per Berkeley e Stanford, il MOMA di San Francisco dunque trasforma la scena museale nella Bay Area. Uno spazio di accoglienza, con innovative connessioni fra interno ed esterno, accomoda le opere d’arte senza apparenti sforzi, offrendo nella sua forma esterna un’ispirazione fonte di futuri sviluppi urbani e architettonici.

 

Traduzione di Manuela Martorelli; immagine principale: foto © Iwan Baan, courtesy SFMOMA

 

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Autore

  • Martha Pollak

    Nata in Transylvania (1951), ha conseguito la laurea in architettura all'Università Cornell e il dottorato al Massachusetts Institute of Technology di Cambridge. Insegna Storia dell'architettura presso il Dipartimento di Storia dell'arte dell'Università dell'Illinois a Chicago. Ha pubblicato libri sui trattati di architettura italiani, su Torino nel Seicento e sull'urbanistica barocca. Già curatrice delle recensioni per il «Journal of the Society of Architectural Historians», è corrispondente del Giornale dell'Architettura dal 2003.

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Last modified: 12 Giugno 2016