Echi dalla quinta edizione di Urbanpromo social housing (con un occhio di riguardo all’architettura e al progetto della residenza temporanea di San Salvario a Torino di Studio De Ferrari)
TORINO. Tra bilanci legislativi e gestionali, illustrazioni di buone pratiche, quadri finanziari e grida di dolore per le capacità di resistenza dei mercati (immobiliari come professionali) di fronte alla crisi, siamo andati a Urbanpromo social housing in cerca di scampoli di architettura. Intanto, l’abbiamo trovata nel contenitore, il neonato museo Ettore Fico, le cui sale con opere d’arte contemporanea hanno fatto da cornice alla due giorni di convegni. E va dato atto all’organizzazione di Inu e Urbit di andare sempre alla ricerca di sedi non scontate per ospitare il focus torinese sul social housing (giunto al quinto anno), anteprima della rassegna nazionale di riferimento per la rigenerazione urbana e il marketing territoriale che celebrerà quest’anno la dodicesima edizione (alla Triennale di Milano dal 17 al 20 novembre).
A tener banco, il bilancio del Piano nazionale per l’edilizia abitativa, varato nel 2009 ma considerato in gran parte un provvedimento emergenziale, privo di visione e obiettivi strategici. Mentre, venendo alla programmazione e alle realizzazioni, se da un lato occorre tener conto che, per via della limitata disponibilità dei portafogli degli utenti, molti interventi sono stati stornati dalla vendita all’affitto, dall’altro il monitoraggio degli accordi di programma pubblico-privati ha rivelato come solo il 25% degli impegni di spesa da parte dei privati sia stato rispettato.
Ha poi colpito nel segno il vibrato appello, che suona come lucida autocritica, lanciato dalla presidentessa dell’Inu Silvia Viviani circa la necessità di superare un’urbanistica fatta di piani e norme datati perché iterazione di modelli che non sanno interpretare le radicali e continue trasformazioni sociali in corso: per fare solo un esempio, non si è ancora stati in grado di risolvere davvero il problema abitativo che se ne pone uno ancor più basico, legato cioè all’accoglienza dei migranti. E mentre duole registrare le lamentele contro una progressiva complicazione procedurale, rincuora il cominciare a sentir parlare non di «standard» e/o «case», ovvero numeri e cemento, bensì di «servizi all’abitare e alla persona», ovvero di qualità di vita. Così, laddove si tenta di costruire una comunità, spesso ci s’imbatte anche nell’architettura di qualità: vale per alcuni interventi finanziati dal sistema integrato dei fondi immobiliari (FIA, Fondo investimenti per l’abitare) gestito da Cassa Depositi e Prestiti Investimenti SGR. In particolare, quelli promossi in Lombardia da Polaris con la consulenza di Fondazione Housing Sociale: il complesso di via Cenni (progetto di Rossi Prodi Associati, con tanto di docufilm al seguito) e il borgo sostenibile di Figino (progetto di Paolo Favole, Enrico Garbin, Francesco Matucci e Renato Sarno), entrambi nella periferia milanese.
In Piemonte, se l’intervento per 38 nuovi alloggi in affitto a canone calmierato (promosso da Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e realizzato dalla cooperativa edilizia Giuseppe di Vittorio su progetto di Studio Archides) in viale Masera ad Alba non supera gli stilemi, ormai decotti, del linguaggio messo a punto negli anni ottanta da Gabetti & Isola, a Torino merita soffermarsi sugli interventi promossi dal Programma Housing della Compagnia di San Paolo con l’Ufficio Pio (ente strumentale della Compagnia). Il progetto, denominato Luoghi Comuni, è fresco vincitore del Premio Urbanistica (concorso indetto della rivista dell’Inu che individua i progetti preferiti dai visitatori di Urbanpromo) e riguarda le Residenze temporanee di Porta Palazzo (inaugurata due anni fa su progetto del gruppo guidato da Fagnoni Associati) e di San Salvario, appena terminata. L’iniziativa intende offrire una soluzione abitativa per un periodo di tempo limitato a persone che per ragioni economiche, sociali e familiari vivono in una fase di transizione e quindi di vulnerabilità sociale ed economica. Oltre alla funzione residenziale, il progetto comprende l’insediamento di servizi e spazi comuni per gli abitanti e di attività commerciali e di animazione rivolte alla città.
La residenza temporanea di San Salvario
Nel quartiere tardo ottocentesco a sud-est del centro storico, ormai da alcuni anni diventato il nuovo cuore della movida (con non pochi problemi e lamentele da parte della popolazione residente), di fronte alla pregevole Sinagoga eclettica declamata da Edmondo De Amicis sorgeva in via San Pio V un fabbricato d’interesse architettonico di proprietà delle suore dell’attuale Istituto di Santa Maria: databile a inizio Ottocento, nel tempo ha registrato modificazioni e superfetazioni che ne avevano alterato la neoclassica eleganza.
Il progetto è l’esito di un concorso bandito nel 2009 e aggiudicato al raggruppamento guidato da Studio De Ferrari Architetti e composto dagli architetti Alessandro Bellesia ed Elena Procchio e dagli ingegneri Giancarlo Gramoni e Marco Tobaldini). L’intervento, costato circa 6 milioni, compendia un mix di funzioni residenziali per svariate utenze (24 alloggi – 5 monolocali, 8 bilocali, 10 trilocali e 1 quadrilocale – oltre alle residenze destinate alle suore), attività commerciali, spazi comuni e un asilo, per circa 3.650 mq complessivi. Di qui l’importanza della distribuzione, organizzata attraverso ingressi e corpi scala separati sul fronte principale, nonché attraverso un unitario sistema di ballatoi affacciati sul cortile interno, caratterizzato da un – troppo? – articolato sistema di copertura in acciaio e vetro che lascia fuoriuscire i due platani preesistenti. Anche sul fronte, l’aver dovuto – secondo richiesta della committenza – preservare un sontuoso glicine che si abbarbicava a un basso fabbricato demolito ha visto la costruzione di un sistema a tettoia-pergola piuttosto greve che ostacola la leggibilità della facciata. Quest’ultima è chiusa in alto da un piano che sostituisce la precedente soprelevazione, caratterizzato da grandi aperture: un’ibridazione caricaturale tra i balconi con porta-finestra a filo e gli abbaini. D’altronde, tutto l’intervento è giocato sulla commistione tra i registri del recupero-restauro, della ristrutturazione funzionale e della ricostruzione, declinati attraverso un rassicurante «storicismo analogico» sotteso da una concezione assai… discrezionale della filologia. Un intervento che, assecondando l’abilità artigiana tradizionale dell’impresa – Fantino Spa – punta sulla bassa tecnologia esibita (soprattutto nei laconici interni della residenza delle suore) e sul senso di «domesticità» che ispirano gli ambienti.
Foto © Andrea Guermani
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Last modified: 7 Dicembre 2015