DOMODOSSOLA (VCO). Dan Philips dal Texas, Vincent Michael dalla California, gli italiani Daniele Kihlgren e Francesco Gnecchi Ruscone: ecco i partecipanti all’International Architect Encounter organizzato per questo fine settimana dall’ossolana associazione Canova. Quattro invitati, quattro giorni di convivenza negli agi spartani offerti dalle case in pietra della valle, e un pubblico convegno sabato 27 giugno, alle 15, nella sala Bozzetti del Sacro monte Calvario di Domodossola.
Benché, per un imponderabile ghiribizzo degli ultimi giorni, solo due dei relatori debbano varcare un confine di stato per raggiungere l’incontro, Canova ne ribadisce la vocazione internazionale. Fu Bruce Fowle, nel 2001, a inaugurarlo. Poi vennero, tra gli altri – e ormai sono una sessantina – Kathryn Findlay, Andrew Freear di Rural Studio, Gustavo Araoz presidente dell’ICoMoS, Suad Amiry, e il premio Pritzker Glenn Murcutt. “Ogni anno invitiamo persone che, almeno sulla carta, promettono un buon amalgama”, spiega Ken Marquardt, fondatore dell’associazione 14 anni fa, “accanto ai nomi famosi, ci piace chi non ha avuto larghissimi riconoscimenti nonostante la validità del messaggio che porta”. Nessun angolo del pianeta è stato risparmiato: a Canova, che è anche il nome della frazione di Crevoladossola dove l’associazione è nata, sono arrivati da Slovenia e Scozia, India e Cile, Mali, Svizzera, Canada, Yemen, Inghilterra, Indonesia e Turchia…
Il filo che lega paesi tanto lontani e personaggi tanto disparati non è il restauro architettonico, che pure è uno dei fiori all’occhiello dell’associazione. Piuttosto è una certa sensibilità, un certo approccio al costruire e al costruito, “una certa etica”, sintetizza Marquardt. O anche una qualche irregolarità rispetto ai canoni della disciplina, una miscela di capacità pratiche, fondatezza teorica e chiaroveggenza sulle sorti complessive del pianeta.
Prendi i quattro di quest’anno. Dan Philips viene dalla danza. Ma anche dall’esercito, dove era ufficiale d’intelligence. E poi dall’antiquariato. Da autodidatta acquisisce un saper fare come elettricista, idraulico e falegname. Un tuttofare che risolve i problemi domestici? Qualcosa di più, perché matura una visione della building industry, non solo statunitense, che diventa una sfida. Nel 1997 fonda Phoenix Commotion e da allora costruisce case con fino all’80% di materiali recuperati da altri cantieri o demolizioni.
Al patrimonio sono invece dedicate le vite di Vincent Michael e Daniele Kihlgren. Il primo, direttore del Global Heritage Fund di Palo Alto, giunge a Canova con un solenne curriculum, testimone di un impegno planetario, da Chicago allo Yunnan cinese. Non da ultimo è nella commissione della Frank Lloyd Wright Building Conservancy. Il nome del secondo, imprenditore di origini svedesi, è legato a Santo Stefano di Sessanio, comune di cento anime a due passi dall’Aquila. Acquistata e recuperata una parte del paese semispopolato, vi ha impiantato un albergo diffuso – non proprio per tasche proletarie – che ha contribuito a smuovere economia e intraprendenza locali.
Infine, Francesco Gnecchi Ruscone. Il più anziano della quaterna canoviana, milanesissimo magister elegantiae nell’Italia del dopoguerra, formazione e incarichi internazionali, indagini sul Meridione e in Sardegna volute dall’Unrra Casas di Adriano Olivetti, poi le più svariate realizzazioni – dalle residenze Ina Casa del quartiere Vialba al restauro della veneta villa Chiericati – tutte improntate a un colto savoir vivre, a equilibrio, competenza e a un understatement oggi desueto o infrattato chissà dove.
In tanta diversità di percorsi, Canova farà emergere le affinità, gli echi, le rime – insomma, anche quest’anno troverà l’incastro. Agevolata dalle scelte chiare che ha fatto. “Per i nostri ospiti saranno quattro giorni di relax e di bella compagnia”, dice Marquardt, “nessun assillo commerciale, nessuna presentazione di cataloghi. Certo, li portiamo sempre alle cave, sono bellissime e loro si appassionano, ma non sono qua per acquistare questo o quel materiale”. I relatori dell’International Architect Encounter non ricevono rimborsi spese: “Altrove sono soliti farsi pagare per parlare e si aspettano suite stellate”, continua Marquardt, “da noi non è così. Sborsano di tasca propria per il viaggio, sono contenti della nostra semplicità e dello scambio con lontani colleghi magari conosciuti solo di nome”. Unici impegni, il convegno del sabato e l’incontro riservato agli studenti la domenica.
Poi ci sono le attività dell’associazione sul territorio. E qui arriviamo a Ghesc, che nessuno, in Ossola per Canova, può esimersi di visitare. Nemmeno i quattro architetti. Per vedere cosa? Ruderi di case in pietra sgretolate da castagni, frassini e querce: Ghesc (da chi proprio vuole, italianizzato in Ghesio), frazione di Montecrestese, è abbandonato da almeno un secolo. Nel circondario non uno che si ricordi dell’ultimo abitante. Un posto non selvaggio, perché la vita è a pochi minuti di sentiero, ma ben rinselvatichito. Almeno fino a quando Canova l’ha scoperto. Da allora è un via vai: di soci, di studenti e di studiosi, di volontari da mezzo mondo. Nel 2008 Maurizio Cesprini e Paola Gardin (infanzia in valle, studi altrove, poi il ritorno) acquistano il primo rudere, lo risistemano con rigore filologico e ne fanno la loro casa – per il momento senza elettricità. Seguono gli acquisti di Stefania Tonni, restauratrice di Milano, e di Andrea Bocco, docente al Politecnico di Torino. Ghesc è un atto di fede. Perché degli otto edifici che lo compongono – massimo due piani abitabili, metrature limitate a circa 40 mq per piano – erano più le pietre cadute che quelle rimaste in piedi. Ghesc è il laboratorio di Canova. “Anche perché è isolato lo abbiamo scelto”, afferma Cesprini, “splendide case in pietra ci sono in tutta l’Ossola. Raro è invece un intero borgo non snaturato da aggiunte o trasformazioni”. Isolato, poi, per modo di dire: a dieci chilometri, stazione di Domodossola, fermano i treni Eurocity per Milano e per Zurigo; e la Malpensa è poco più in là. Per Ghesc, come per l’International Architect Encounter, contano le origini di Marquardt, nato in Arkansas, da oltre vent’anni in Italia. È in buona parte a lui, e alla moglie Kali, che si deve la collaborazione con le università dell’Oregon, del North Carolina e della Georgia, con lo Spring Hill College, la Yestermorrow Design Build School (tutte statunitensi) e la Willobank School of Restoration Arts (canadese). Quindi con i politecnici di Milano e Torino. Mandano studenti – e docenti – ai campi scuola: li vedi tagliare alberi, scavare dov’è crollato, spostare pietre, preparare centine, ricostruire muri, archi e scale… Una scuola di vita per chi è disposto a sporcarsi le mani. E cominciano a darle credito gli odierni mecenati, con recenti finanziamenti dalla Fondation d’entreprise Hermès e dalla Compagnia di San Paolo, per il progetto Paesaggi in pietra in Val d’Ossola. Dove, sopra tutto i giovani, ormai si chiedono se le scelte fatte dai padri nel dopoguerra – la vita in condominio per sfuggire alla miseria – non vadano ripensate.
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