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Written by: Professione e Formazione

L’incognita Vittone

Il 250° anniversario della morte di Bernardo Antonio Vittone, un’occasione per riflettere sulla missione dell’architetto in età contemporanea

 

Un barocco illuminista, un tradizionalista pio, un neo-con elettore di Trump, un iper-gesuita nostalgico? This is the problem, direbbero gli studiosi, davanti alla sfida di etichettare, giudicare, incasellare Bernardo Antonio Vittone (1704-1770), talentuoso architetto attivo nelle campagne e città del Piemonte tra gli anni 1730-70. Vittone moriva – scapolo e ricco – esattamente 250 anni fa e il suo lascito ci riempie di meraviglia: ospizi dove vorremmo invecchiare; chiese da cui si esce pieni di fiducia nell’umanità (e di fede, se si entra ben disposti); edifici civili dove oggi si trovano a casa propria sindaci e carabinieri.

È difficile aggiungere qualcosa su un architetto a cui è stato dedicato un libro quasi perfetto, nel 1966: Bernardo  Vittone, un architetto tra Illuminismo e Rococò di Paolo Portoghesi (Roma, Edizioni dell’Elefante). Eppure bisogna, e non solo per aggiungere qualche dato d’archivio: ogni generazione deve definire ciò che conta, e perchè. Anche per questo, ci si è riuniti al Politecnico di Torino, il 22 ottobre, per discutere dell’archivio disperso di Vittone, del suo lascito, di edifici, documenti e disegni. Dopo la prolusione di Portoghesi, è toccata ai presenti la sfida di ridefinire un architetto controverso, antipatico (non pagava apprendisti e assistenti: vi ricorda qualcuno?), ma appassionato e capace di realizzare edifici di straordinaria qualità, in gran parte ancora da studiare a fondo. È infatti paradossale, che la solidità degli edifici vittoniani li abbia in qualche modo protetti anche da una migliore comprensione della loro sostanza costruttiva e decorativa: niente cedimenti, poche crepe, pochi restauri, solo manutenzione e dunque, possibilità molto ridotte d’indagine sulla materia.

È arrivato il momento di riprendere in mano l’opera e la carriera vittoniana, e di usarla per scrutare nel profondo della professione, e missione, dell’architetto italiano dell’età contemporanea. Un professionista liberale, ma non libero dai vincoli del denaro e dalle seduzioni del potere. Il padrone di un piccolo studio che è anche una gabbia, e una scuola. Un tecnico, in grado di firmare una perizia d’estimo o di adattare le travi di un solaio del Quattrocento al tetto di una chiesa barocca. Un intellettuale in grado di citare Vitruvio, Palladio e Bernini: perché Vittone costruiva bene, ma sapeva anche scrivere lettere seducenti, e all’amo abboccavano abati, suore e sindaci. Non aveva, Vittone, grandi incarichi ufficiali, gli mancavano i protettori politici davvero potenti, e per questo siamo tentati di vederlo come un underdog (wiki: “one at a disadvantage and expected to lose”), al servizio di povere, sperdute comunità di campagna. Non era così, sia perché le comunità di campagna, nel Settecento, erano tutto meno che povere e ignoranti, sia perché il Nostro compensava con la committenza ecclesiastica quello che gli mancava nella committenza di Stato.

Ma basta discussioni: meglio entrare nella sontuosa cappella del Vallinotto presso Carignano (costruita per i contadini ma pagata da un banchiere, e ora in corso di restauro), ancora oggi in aperta campagna, o nella chiesa di Santa Chiara a Bra, o in San Bernardino a Chieri, per cogliere in un colpo d’occhio la qualità del “bel concerto” vittoniano, e spazi degni del barocco boemo e bavarese, di Johann Balthasar Neumann e di Jan Santini-Aichel. Composizioni fatte di strutture murarie aperte e alleggerite, luci diffuse dirette e indirette, stucchi realizzati dai migliori maestri, e ordini vitruviani doc, passati al vaglio dell’Accademia di San Luca.

L’improbabile accade di rado”, sono parole di Rudolf Wittkower, quando si meravigliava che Guarino Guarini e Filippo Juvarra, pesi massimi del barocco internazionale, avessero trovato un successore così anomalo; oggi sappiamo che non si è trattata di un’anomalia ma di una congiuntura. I Lumi (che Vittone osteggiava apertamente, non sapendo di appartenervi), una certa mobilità sociale, l’efficienza di alcune istituzioni religiose o civili, e l’autodeterminazione di alcuni territori. Sono fattori che hanno contribuito a uno sviluppo diffuso dell’architettura, sacra e non, in quelle che oggi definiremmo “aree interne”, alle soglie dell’età contemporanea.

 

In copertina: presunto ritratto di Bernardo Antonio Vittone (coll. privata)

Autore

  • Edoardo Piccoli

    Storico dell’architettura al Politecnico di Torino, già caporedattore del «Giornale dell’Architettura»; studia l’architettura e la città europea dell’età moderna e contemporanea, con un particolare interesse per l’architettura del Settecento

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Last modified: 23 Novembre 2020