Riflessioni sui rapporti tra architettura e liturgia attraverso l’ultimo lavoro dell’architetto tedesco prematuramente scomparso
MONACO DI BAVIERA (GERMANIA). Nella chiesa parrocchiale del Beato Padre Rupert Mayer a Poing, Andreas Meck ha concepito una creazione spiritualmente autonoma che si autoesprime per addentramento, compressione ed enfasi di “forme oranti”. Invece di corpi il cui mero accostamento articoli la complessità dello spazio liturgico, si costruisce un’interferenza di forme scalari che accolgono, comparando e collegando, spontanee variazioni in una sequenza motivata di eventi spazio-temporali. L’edificazione sensibile di quest’immagine autenticamente nuova avviene per autoilluminazione di un rivestimento composto di oggetti ceramici tridimensionali i quali, come una vibrazione, attraversano i muri e la copertura, sostenuti da un basamento di pietra. L’essere dell’architettura cristiana è così atto ancora concepibile nei segni di una comunicazione sensoriale; essa può esistere collocata in modo che percepisca la città e si lasci percepire da essa, aperta su più livelli alla strada, in fregio a un pittoresco parco, con il campanile della chiesa luterana visibile alle spalle.
Spesso ci chiediamo quale sia, in un edificio-chiesa, la natura del rapporto fondante tra architettura e liturgia, cioè, per esempio, se è più l’architettura il contesto entro il quale avviene il rito o, invece, il rito l’ambito attorno a cui l’architettura trova realizzazione. In verità, lo spazio liturgico è già azione liturgica: i luoghi, per questo motivo, sono essi stessi elementi cerimoniali. Liturgia e architettura vanno intese quali flussi in continuo movimento: non si tratta di farle interagire o sovrapporle, bensì di trovare una corrispondenza, dove il luogo funziona come una sorta di trasduttore, ciò che converte due energie una nell’altra. Lo spazio e l’azione si abbandonano l’uno all’altra e il fattore di persistenza, di continuità simbolica, è costituito da quest’animazione e non certo da formalismi canonici.
A Poing l’architettura corrisponde alla liturgia e lo fa con gli strumenti propri dell’architettura. Non ha necessità di articolare tutto un sapere sul rito, ma dice, in modo semplice, come meglio può davvero convenire con esso, componendo un luogo passeggero, in accordo con la celebrazione. Una parete vitrea trasparente accompagna l’ingresso a un plastico bordo murario e permette al mondo di cogliere e poi avanzare verso quanto accade nello “spazio-altro”, il cui valore comune, ripetibile nel tempo diventa salvaguardia del rapporto autentico tra cose e persone (anche se il punto di vista inverso può, invece, apparire straniante). Pienamente applicato, è lo schema distributivo trilaterale dell’assemblea attorno allo spazio dell’altare: è percepibile in esso una dimensione immaginativa e partecipata del mistero, leggendo la forma come “luogo dell’incontro”. La luce opalescente penetra direzionalmente nel volume scavato della chiesa e orienta i riti, indicando la vocazione cosmica dell’edificio di preghiera: la sua anima costruttiva dimostra un’introspezione silenziosa e la felicità di uno sguardo che trova, in alto e all’orizzonte, il legame con la verità. Assume l’intendimento dell’odierna povertà d’esperienza e la rinuncia alla mera astrazione come base per realizzare, con poco, un aggiornamento radicale, dove la realtà e i modi celebrativi fluiscono in un paesaggio architettonico tenacemente e autenticamente “moderno”.
Fondamentale qualità dell’architettura liturgica di Meck è avere una visione profetica dello spazio e legarla a forme tettoniche con un valore collettivo, quali parti oggettuali di un discorso chiaro. Siamo di fronte a un intervallo spirituale, dove si rivelano la lontananza dalle leggi del momento e la promessa di una nuova poetica, condivisa grazie al suo fondarsi nella tradizione autentica, non nella finzione di quella ripetitiva.
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Andreas Meck (1959-2019)
Ha studiato architettura alla Technische Universität München e all’Architectural Association di Londra. Nel 1989 fonda lo studio meck architekten a Monaco, dove dal 1998 è professore alla Hochschule für Angewandte Wissenschaften e poi preside della Facoltà di architettura. Si è distinto nel progetto di opere pubbliche, residenze e architetture per il culto e la memoria. Noto per le interpretazioni architettoniche del sito religioso realizzate nella capitale bavarese con il centro parrocchiale St. Nikolaus e il complesso pastorale Dominikuszentrum (entrambi del 2008) – dove la volumetria severa degli spazi fluisce attorno a una corte centrale e l’ambiente liturgico è, senza soluzione di continuità, una delle porzioni circostanti il cielo aperto, plasmata al suo interno dal cambio di texture e dall’etereo ingresso della luce – con la chiesa Seliger Pater Rupert Mayer di Poing è stato insignito nel 2019 del premio Große Nike dalla Bundes Deutscher Architekten.
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Last modified: 6 Settembre 2019
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