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Michele RodaWritten by: Professione e Formazione

Medaglia d’Oro 2018: di scala minuta e politicamente corretta

Medaglia d’Oro 2018: di scala minuta e politicamente corretta

La Triennale di Milano celebra la sesta edizione della Medaglia d’Oro con opere in luoghi periferici e nomi non scontati

 

MILANO. Di scala minuta e politicamente corretta. L’architettura italiana contemporanea – vista attraverso la lente della 6° edizione della Medaglia d’Oro della Triennale – trova terreno fertile nei luoghi periferici ed esprime il meglio con progettisti ai margini dello star system.

Paradigmatico il Premio all’opera a feld72 (studio italo-austriaco, tra Vienna e Caldaro, sito web solo in tedesco e inglese) con l’asilo Niederolang a Valdaora (Bolzano, 2016): gesto misurato, linee essenziali, tanto legno, grandi vetrate. Lo stesso linguaggio, oltre che un’area geografica vicina, scelto per il Premio speciale all’opera prima, assegnato a Mirko Franzoso per la Casa sociale Caltron a Cles (Trento, 2015), in cui è proprio il legno ad essere sia struttura che figura, in un gioco di trasparenze con il paesaggio.

Sulle quasi 350 candidature la giuria ha quindi privilegiato nomi poco noti, puntando su progetti responsabili e impegnati. Approccio che abbiamo già visto al Padiglione Italia della Biennale e che rappresenta un cambio di paradigma rispetto alle passate edizioni (nell’albo d’oro figurano Renzo Piano e Massimiliano Fuksas tra gli altri). Frutto forse anche della nuova direzione della Triennale – che organizza il premio – con al timone uno Stefano Boeri che spiega: «Intendiamo l’architettura come una prospettiva sul mondo; i progetti premiati si distinguono – oltre che per la carica d’innovazione progettuale – proprio per una forte attenzione a urgenze del contemporaneo quali sostenibilità, dialogo con lo spazio e l’ambiente, responsabilità sociale».

Emerge quindi un’architettura a forte connotazione collettiva. In maniera addirittura ostentata nel Premio speciale alla committenza assegnato (o forse sarebbe meglio dire auto-assegnato, in quanto il Ministero collabora all’iniziativa) alla Soprintendenza Archeologica della Puglia e Segreteria Regionale MIBAC per l’installazione scultorea in rete metallica realizzata nel 2016 dall’artista (e non architetto) Edoardo Tresoldi, che riproduce l’ingombro volumetrico della basilica paleocristiana di Siponto a Manfredonia (Foggia, 2016).

Tra questi progetti a loro modo marginali – per scelte e condizioni – non può che sentirsi a proprio agio Simone Gobbo (co-fondatore di studio DEMOGO) che si aggiudica la prima edizione del Premio T Young Claudio De Albertis, intitolato all’ex presidente della Triennale, scomparso a fine 2016, con l’obiettivo di promuovere progettisti under 35. Qui il lavoro premiato non solo è periferico ma estremo: il bivacco Fratelli Fanton, collocato a quota 2670 metri in una forcella del gruppo dolomitico delle Marmarole, nel Bellunese, esito di un concorso internazionale bandito nel 2015 dal CAI Auronzo in collaborazione con la Fondazione Architettura Belluno Dolomiti e attualmente in cantiere.

Insieme ai quattro progetti premiati, nello spazio circolare dell’impluvio al primo piano del Palazzo della Triennale è possibile, fino all’11 novembre, vedere immagini e alcuni disegni (mostra a cura di Lorenza Baroncelli, ingresso libero, allestimento semplice, luminoso, informale – nella foto di copertina di Gianluca Di Ioia / © La Triennale di Milano) dei progetti segnalati con la Menzione d’onore: Barozzi/Veiga (categoria Nuovi edifici: Scuola di musica a Brunico), Amanzio Farris (Paesaggio e spazi urbani: Belvedere a Rocca di Mezzo, L’Aquila), Stefano Santambrogio (Infrastrutture: Lungolago di Malgrate, Lecco), Gianmatteo Romegialli (Interni: piscina a Como), Canali Associati (Allestimenti: restauro del Castello del Piagnaro a Pontremoli), Giulio Barazzetta con SBG (Riconversione e restauro: chiesa di Baranzate, Milano). Come da consuetudine sono state assegnate anche quattro Medaglie d’Oro alla carriera: a Guido Canali, Valeriano Pastor, Umberto Riva e Paola Viganò.

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 22 Ottobre 2018