Gli esperimenti dei “villaggi urbani” e le agopunture alla microscala, un antidoto all’urbanizzazione e all’omologazione dilaganti nel Paese asiatico
La crescita esponenziale della Cina in termini di urbanizzazione negli ultimi decenni condensa tutte le problematiche più attuali legate allo sviluppo urbano: dai grattacieli ai grandi contenitori culturali ai parchi per il divertimento. Tutto cresce a ritmo di Photoshop o quasi (sono molti i nomi di noti architetti che hanno messo radici in Cina e che stanno realizzando opere innovative, come la recente Tianjin Binhai Public Library degli olandesi MVRDV). L’istantaneità della pianificazione, progettazione e costruzione cinese, rappresenta un fenomeno che ha fatto piazza pulita dei tempi morti dell’urbanistica e degli standard edilizi.
Il lato negativo di questa crescita è il divario sempre più marcato tra vecchio e nuovo, che porta a riflettere su ciò che stiamo perdendo, oltre ai facili guadagni. I cinesi non sembrano affatto insensibili a questo e, nonostante le immagini delle città siano spesso scioccanti rispetto ai canoni di un’espansione equilibrata o per lo meno progressiva, da tempo hanno avviato azioni di recupero intelligenti, facendo leva proprio su quella esplosione di progresso.
La mostra “Cities, Grow in Difference”, all’interno della Bi-City Biennale di Architettura e Urbanistica di Shenzhen (conclusasi il 17 marzo scorso), ha trattato la differenza come un valore che porta i cinesi non solo a non rinnegare il passato ma a rigenerare il tessuto storico laddove pare abbia perso elasticità e necessiti di essere riportato a galla. È il caso dell’antico centro di Nantou nel Nanshan District di Shenzhen che fu fondato circa 1.700 anni fa durante la Dinastia Jin, oggetto di studio della Biennale. Oggi Nantou ha un doppio volto: da una parte la città vecchia con il suo tessuto fitto di strade, con le sue abitudini e tradizioni, dall’altra i grattacieli svettanti che parlano la lingua dei nuovi affari, tanto da chiedersi se Nantou sia una “città” oppure un “antico villaggio”. Dagli studi effettuati e dopo una serie di piccoli interventi rivitalizzanti piazze e snodi caratteristici dell’antico centro, Nantou viene definito “villaggio urbano” (village/city) andando contro tutte le vecchie tipologie che vedono il centro storico inchiodato nelle più note funzioni turistiche, privo di quella sorpresa ed autentica scoperta che lo renderebbe meno scontato. Perché dunque non pensare ad una nuova tipologia urbana? Il villaggio/città è a due passi dalla vita abbagliante della città e a un passo dalla solidità della storia. Perciò obiettivo dei molti interventi effettuati è stato quello di rigenerare luoghi pubblici chiave introducendo attività nuove come canali di connessione tra la città nuova e le aree più storiche (piazze e luoghi caratteristici). Ogni piano d’intervento per Nantou ha una finalità specifica: Parks and Gardens Revival Plan, City Boundary Redefinition Plan, Historical Building Preservation Plan, Main Street Navigation Plan, Creative Factory Plan e Inner City Dynamic Regeneration Plan. Solo per fare un esempio, al centro dell’antica piazza dell’Accademia è stato realizzato un piccolo open space e sul lato nord una sorta di palcoscenico per ospitare performance o attività della comunità. Luoghi, invece, degradati come Baode Square sono stati valorizzati grazie all’introduzione di elementi multifunzionali che permettono allo spazio di cambiare in modo dinamico a seconda delle esigenze della comunità (partite di pallacanestro, performance musicali e teatrali).
Il passato ritorna e ha un volto nuovo. Lo stesso tipo di approccio può essere letto in un’altra recente serie d’interventi ad opera dell’architetto Xu Tiantian dello studio DnA_Design and Architecture di Beijing, i cui progetti sono in mostra a Berlino fino al 17 giugno presso l’Aedes Architecture Forum in una mostra dal titolo accattivante: “Rural Moves. The Songyang Story”, poiché ciò a cui ci si appella è una sorta di ritorno alla campagna per goderne i benefici in un’epoca di esodo generale verso le città. Non solo il verde può essere esportato in città, ma può essere “urbanizzato” grazie a piccoli interventi di “architettura-agopuntura” realizzati con materiali e tecniche tradizionali. In tal modo il paesaggio rientrerebbe a pieno titolo nelle visioni urbane del XXI secolo poiché sarebbe anch’esso al passo coi tempi, tolto dall’idea di luogo in stato di abbandono, o destinato all’isolamento perché lontano dalle grandi arterie urbane.
A differenza di ciò che avviene in molte altre parti d’Europa, la Cina ha realizzato una rete d’infrastrutture per collegare improbabili pezzi di campagna con la città. Grazie a questi interventi che vanno dalla realizzazione di una Casa del Tè nell’area Damushan di Songyang a un teatro all’aperto fatto di bambù nell’Hengken Village, a una copertura per un ponte che unisce i due villaggi di Shimen e Shimenyu, ciò che nasce è una nuova promettente rural self confidence che apre a prospettive future positive per lo sviluppo culturale, sociale ed economico del Paese a partire dalla valorizzazione delle zone rurali, oltre che un genere di bellezza “antica” in grado di tenere testa agli svettanti grattacieli della città.
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Last modified: 20 Marzo 2018