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Pietro MezziWritten by: Città e Territorio

Climate change/1. Le città europee si attrezzano così

Climate change/1. Le città europee si attrezzano così

Le strategie e i piani di resilienza urbana a Barcellona, Copenaghen e Rotterdam, all’avanguardia in Europa per fronteggiare il cambiamento climatico

 

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In uno studio di qualche anno fa, il Joint research centre di Ispra metteva in evidenza i rischi collegati al cambiamento climatico in Europa, stimando il raddoppio del numero di alluvioni entro il 2050 e perdite economiche attorno ai 24 miliardi di euro l’anno. A conferma delle stime del centro di ricerche varesino ci sono i dati relativi alle inondazioni avvenute in Europa nel primo decennio del Duemila, che hanno interessato, in diverse riprese, Germania, Repubblica Ceca, Austria, Svizzera e Inghilterra, con costi di vite umane e danni per 12 miliardi di euro.

Nei paesi dell’Unione Europea il tema degli effetti dei cambiamenti climatici è più che presente e nel 2009 ha portato la stessa Ue a dotarsi di una strategia d’intervento. Ma al di là delle strategie, molte delle iniziative sono demandate ai singoli Stati e soprattutto alle decisioni delle grandi città alle prese con l’innalzamento delle acque del mare e dei fiumi, come Barcellona, Rotterdam, Copenaghen e Amburgo. Si tratta perlopiù di città già dotate di un piano di adattamento.

Emblematico è il caso di Rotterdam, delta city per eccellenza e porto commerciale tra i più importanti al mondo, che utilizza la sua specificità come leva di marketing urbano per attrarre investimenti stranieri, dimostrando che alluvioni e garanzia dei servizi portuali possono coesistere. In Gran Bretagna è la capitale, Londra, a disporre di una propria strategia di adattamento (Managing risks and increasing resilience) che risale all’ottobre 2011. Una strategia che si affianca ad altre politiche che riguardano il rapporto tra città e clima, come il Climate change mitigation and energy strategy. Ma i casi più interessanti, anche al punto di vista della riprogettazione degli spazi urbani, rimangono quelli di Barcellona, Copenaghen e Rotterdam.

 

Barcellona, flooding resilient city

La città catalana è sicuramente la prima, vera flooding resilient city al mondo. Perché, prima di altre, ha saputo fare i conti con il problema rappresentato dalle alluvioni. Ne è esempio concreto il Deposito de retencion de agua de lluvia, realizzato proprio al di sotto del centro commerciale Arenas (un edificio circolare a forma di arena), dove possono essere stivati circa 70.000 mc d’acqua. Nella città si contano altri 14 depositi simili: un risultato reso possibile grazie a un piano d’interventi avviato a partire dagli anni ’90. Si tratta di enormi contenitori in grado di raccogliere, in occasione dei picchi di pioggia, circa 500.000 mc d’acqua, che poi grandi tubature e sistemi di pompaggio sono in grado di distribuire agli impianti di depurazione della città.

Ma il merito della città catalana sta nell’aver messo a punto un efficiente sistema di gestione delle acque basato proprio sul principio della resilienza urbana. Un sistema, realizzato in collaborazione con la società che gestisce il servizio idrico locale, la Barcelona Cicle de l’Aigua, che non poteva prescindere dalla messa in campo di strumenti tecnologici utili al processo decisionale, sistemi informativi geografici, modelli di calcolo matematici e sistemi di telecontrollo. Grazie a questo approccio sistemico, oggi Barcellona può vantare una conoscenza in tempo reale dello stato delle reti e degli impianti di drenaggio attraverso 29 stazioni di pompaggio, 24 pluviometri, 197 sensori di livello dell’acqua, 44 chiuse, 2.900 sensori ausiliari; il tutto controllato automaticamente con comunicazioni via radio, gprs, 3G, banda larga e fibra ottica. Con questo approccio, le autorità garantiscono che la città è in grado di resistere a tempeste di alta densità senza subire inondazioni, di gestire 3,6 milioni di mc di pioggia all’anno grazie ai serbatoi di contenimento e di impedire che oltre 800 tonnellate di solidi sospesi raggiungano il mare.

Copenaghen, dal piano ai quartieri resilienti

Il nubifragio che il 2 luglio 2011 si abbatté sulla capitale danese allagandola, provocò oltre 1 miliardo di danni di danni e mise in ginocchio una delle città più efficienti al mondo. In meno di tre ore caddero 150 mm d’acqua con una violenza senza precedenti. Superata l’emergenza, la Municipalità ammise di aver sbagliato il piano del clima cittadino (2009) e di essere sprovvista di un piano di adattamento. Così, nell’ottobre dello stesso 2011, la città approvò il piano di adattamento ai cambiamenti climatici (Climate Adaptation Plan), che offre oggi precise indicazioni operative: costruzioni a barriera, edifici realizzati sopra il livello del mare, aumento della capacità dei sistemi fognari, sistemi di allarme in caso di pioggia, scantinati impermeabilizzati ed equipaggiati con pompe idrauliche, immagazzinamento della pioggia per minimizzare il danno.

Il piano prevede anche importanti interventi di riprogettazione di parti di città, come la realizzazione di aree verdi su superfici impermeabilizzate, micro-parchi di quartiere, tetti e pareti verdi per la laminazione delle acque di pioggia. Nascerà qui la prima area urbana resiliente al mondo: San Kjeld, antica zona operaia vicina al porto. Il masterplan dello studio di architettura Tredje Natur, degli architetti Flemming Rafn Thomsen e Ole Schrøder, prevede infatti una profonda trasformazione delle vie e piazze del quartiere, con la realizzazione di zone piantumate, dune verdi, piste ciclabili, sostituzione di pavimentazioni impermeabili con prati e mini parchi urbani, oltre alla sopraelevazione dei marciapiedi per la raccolta e il deflusso delle acque in eccesso verso il porto. L’idea progettuale nasce da un masterplan che si estende su 105 ettari. Ad oggi, sono stati banditi gli incarichi di progettazione per piazza Tåsinge (vinto da Ghb Landscape e già finanziato) e per Bryggervangen, la principale strada del quartiere, un intervento però in attesa di essere finanziato e realizzato.

Lo stesso studio Tredje Natur, a seguito della vittoria in un altro concorso, sta lavorando alla trasformazione del parco di Enghaven nella zona di Vesterbro: 35.000 mq di verde che, all’occasione, diventeranno un grande contenitore delle acque piovane in eccesso. Termine lavori previsto, prossimo anno.

Un altro esempio di città resiliente viene dal premio Nordic Built Cities Challenge, competizione internazionale che ogni anno riunisce sei paesi scandinavi – Danimarca, FarØer, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia – su progetti di sostenibilità. Per la Danimarca il premio 2017 è andato al progetto Soul of Nørrebro dello studio SLA, specializzato nella progettazione paesaggistica. La proposta punta alla rigenerazione urbana e alla resilienza di un’area di 85.000 mq, trasformando un grande parco urbano, l’Hans Tavsens Park, in un bacino di raccolta acque piovane da 18.000 mc.

Rotterdam, l’acqua da minaccia a opportunità

Nella seconda città più importante d’Olanda dopo Amsterdam, che conta 650.000 abitanti ed è sede del più grande porto commerciale d’Europa e tra i più importanti al mondo, il tema della resilienza è all’attenzione della Municipalità da una decina di anni. Collocata sul delta del fiume Nieuwe Maas, qui il rapporto città-acqua è stato completamente rovesciato: da minaccia ambientale ad opportunità economica. Uno degli obiettivi di Rotterdam è infatti rimanere attrattiva e solida dal punto di vista economico e sociale, nonostante l’80% del suo territorio si trovi sotto il livello del mare.

A partire dal 2007 la Municipalità, in collaborazione con il porto cittadino, alcune imprese del settore e l’agenzia locale di protezione ambientale, ha varato una strategia di adattamento ai cambiamenti del clima (Rotterdam Climate Initiative) con lo scopo di ridurre, entro il 2025, le emissioni di CO2 del 50% rispetto ai livelli del 1990 e garantire protezione nei confronti dei cambiamenti climatici. A fine 2008 è stato varato il Rotterdam Climate Proof, un piano che delinea uno scenario in grado di anticipare il mutamento climatico, puntando a fare di Rotterdam la città portuale più sostenibile al mondo, all’insegna della permeabilità.

Si spiegano così i bacini di stoccaggio sotterranei, in grado di contenere enormi quantità d’acqua durante gli allagamenti, rendendola disponibile durante i periodi estivi o di siccità. Tra gli altri, il Kruisplein, ex parcheggio sotterraneo in grado di contenere 2.300 mc d’acqua; o il Museumpark, che ne può contenere 10.000. Secondo questo nuovo approccio, anno dopo anno, si stanno realizzando le cosiddette piazze d’acqua (watersquare): Kleinpolderplein (2011), Bellamyplein (2012) e Benthemplein (2013). Le watersquare svolgono una doppia funzione: spazio pubblico e zona di accumulo delle acque in eccesso. In questo modo, oltre a garantire qualità e identità agli spazi di quartiere, l’investimento anti-inondazione è reso visibile e quindi accettato dalla popolazione.

Tuttora in corso, il progetto firmato dallo studio locale De Urbanisten per piazza Benthemplein nello Zomerhofkwartier, a nord del centro cittadino, è un tipico esempio di strategia resiliente, in cui la piazza è parte di un sistema idrico composto anche di canali e bacini tra di loro collegati, con il compito di raccogliere l’acqua piovana, mitigare il fenomeno del runoff e riutilizzare l’acqua in eccesso per irrigare il verde circostante. Per la maggior parte dell’anno, lo spazio rimane asciutto ed è una vera e propria piazza pubblica. Terminata la pioggia, l’acqua dei due bacini meno profondi confluisce in un dispositivo di accumulo sotterraneo e da qui penetra lentamente nella falda freatica.

Autore

  • Pietro Mezzi

    Architetto e giornalista professionista. Per anni ha lavorato all’interno di redazioni di testate specializzate nel settore delle costruzioni. Attualmente come freelance scrive per riviste di architettura, design, edilizia e ambiente. È co-autore del libro “La città resiliente” (Altreconomia; 2016) e autore del libro "Fare Resilienza (Altreconomia, 2020)

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Last modified: 8 Giugno 2020