Visita a FICO (Fabbrica Italiana Contadina), il polo agroalimentare dell’eccellenza italiana ricavato nell’ex Mercato ortofrutticolo di Bologna: in realtà, ci è sembrato un duty-free senza aeroporto…
Una gita in bicicletta
BOLOGNA. Siamo andati a visitare FICO – Eataly World con qualche ritardo dalla sua trionfale inaugurazione, il 15 novembre scorso, con il premier Gentiloni e un terzo del Governo, i ministri Martina e Galletti (Agricoltura e Ambiente), Franceschini e Poletti (Cultura e Lavoro). Ci siamo mossi nel pomeriggio di un giorno feriale, inseguendo un autobus doppio e vuoto, verde-green economy, messo a disposizione dal Trasporto passeggeri Emilia-Romagna, per annodare la Stazione centrale al parco tematico, per 7 euro andata e ritorno.
In bicicletta si esce dal quadrilatero che fiancheggia Piazza Maggiore, sulla scia degli odori che la prossimità tra le botteghe offre come una vetrina all’olfatto del paesaggio locale. Si percorre quindi via Zamboni, con San Giacomo, Piazza Verdi, nuovi odori e la sequenza dei palazzi senatori, oggi sedi variopinte delle facoltà universitarie. All’incrocio dei viali di circonvallazione, i tratti essenziali della città ci sono già stati offerti alle spalle: Bologna la grassa e la dotta, già nelle cronache medievali al crocevia delle abbondanze (dei saperi e dei sapori), in ogni verso eccessiva, come la ricorda Dante; gioviale ed esuberante, come la personifica Augusto Majani (il Nasica) alle soglie del Novecento.
Via San Donato, oltre i viali, narra le vicende dell’inurbamento post-bellico; poi lascia intravedere, a nord, quanto si riuscì a realizzare del piano di Kenzo Tange per il quartiere fieristico, quindi offre una veduta del paesaggio agrario della Pianura Padana fino all’orizzonte, sfiorando l’ampio e prezioso cuneo di agricoltura urbana alle spalle del Pilastro, ultimo quartiere di Bologna, intreccio di edilizia popolare e aggiornamento agli anni ’60 delle speculazioni sulla città giardino. Oltre la rotonda intitolata a Luchino Visconti, si apre l’espansione degli anni 2000: la città senza contesto e senza architettura, che presuppone un popolo anonimo a cui offrire una serie di capannoni per la sfilata dei soliti brand del mercato globale, annodati da un portico sciatto, in lamiera metallica, affacciato su un orizzonte d’asfalto rigato ad ordinare le capsule di latta con le quali gli uomini si spostano. Almeno danno colore. Anche la nuova sede della Facoltà di Agraria, inaugurata nel 2000, resta un’occasione mancata per conferire carattere e identità a questo comparto che potrebbe essere dovunque, fors’anche in qualche suburbio del Nuovo mondo.
Una volta arrivati
Ed eccoci a FICO (Fabbrica Italiana Contadina) – Eataly World. Le nostre biciclette non sappiamo nemmeno dove lasciarle. Le rastrelliere non si trovano, e una via ciclabile d’accesso non pare essere stata pensata, fatto salvo fruire dei tricicli dedicati al parco tematico per navigarne l’interno.
FICO si apre oltre un portale-casello autostradale, eredità del precedente Mercato ortofrutticolo, isola di circa 100.000 mq al centro di un mare d’asfalto, un parcheggio che si presenta deserto, pianificato forse per i 6 milioni di visitatori annui che il progetto prevedeva al momento del suo lancio (2013) o per i 4 milioni a cui la quota è stata prudenzialmente ridotta nei giorni della sua inaugurazione. Proiezioni comunque oltremodo ottimistiche, se si pensa che la prima ipotesi avrebbe posto FICO al livello dei Musei Vaticani, la seconda al doppio degli Uffizi.
Ciò che lascia basiti è la discrepanza tra quanto si vede e quanto i comunicati stampa hanno annunciato in toni entusiastici e, a loro modo neo-nazionalisti, ad esaltare “il primo e più importante parco agroalimentare al mondo”, “ambasciatore dell’eccellenza italiana”, luogo in cui la filiera della qualità tipica dei prodotti del Bel Paese avrebbe dovuto trovare esibizione e, naturalmente, commercio. Di questi due propositi abbiamo trovato solo il secondo. Del paesaggio dello Stivale, FICO non reca memorie figurative, fatto salvo uno spazio per bambini, allestito su tappeto di erba sintetica tra le miniature delle bellezze italiane. Per il resto, gli spazi verdi sono arginati da staccionate a bacchette tinteggiate di bianco prossime più alle recinzioni delle serie televisive statunitensi che a quanto offra qualsiasi angolo del nostro Paese. Il portale delle mele, ad un paio di settimane dall’inaugurazione, ne vede molte di vizze, alcune di marce.
All’interno, una festa di padiglioni, banchetti e ristoranti, nello stile di Expo 2015, sotto l’elegante copertura lignea che era del Mercato ortofrutticolo, prima che questo, nel 2016, trovasse la sua definitiva sede nel NAM (Nuova Area Mercatale), alle spalle di FICO, in un’avveniristica sede eco-compatibile, energicamente autosufficiente, con una copertura a fotovoltaico (questa sì) unica in Europa: 100.000 mq di superficie per 11 milioni di Kwh prodotti. FICO si è insinuato nel vuoto della precedente struttura, con tutti i problemi conseguenti al dover rendere accattivanti spazi enormi che, comunque, in questo giorno feriale, l’assenza di avventori rende in ogni caso deserti. L’eccellenza del Bel Paese è così rappresentata da un centro commerciale affollato di molti brand, alcuni d’area bolognese che hanno accettato la sfida, altri (e sono i più visibili), delle solite catene che sotto un lettering a rincorrere una tradizione e un’appartenenza locali, smerciano un prodotto di generico fascino italiano, che gli eventuali ospiti potranno riconoscere e trovare anche nei malls dei propri Paesi d’origine.
La tipologia di FICO è dunque quella dei duty-free aeroportuali: qui però le tasse si pagano ed il conto pare salato. Non manca neppure uno spazio per la preghiera, nella memoria di Giovanni Paolo II; e, dopo le casse, prima di recarsi ai gates, un ufficio delle poste italiane, geniale intuizione per recapitarsi la spesa direttamente a casa senza incorrere nei sovrapprezzi dei bagagli in eccedenza.
Il punto che però rende questo spazio insopportabile, fino a spegnere ogni ironia, è che questo centro commerciale si propone anche come luogo per l’educazione e la didattica, aperto anche alle scolaresche nel beneplacito del Comune, della Regione, e persino dal Governo.
Ma se il prodotto alimentare italiano è un’opera d’arte, com’è possibile promuoverlo sradicandolo dai propri contesti? Invece di condurre i turisti nei distretti ove le eccellenze italiane sbocciano come sintesi e concentrazione di un paesaggio, FICO si offre come mediateca di giostre virtuali (persino a pagamento), dove i prodotti sono spiegati mediante filmati e touch-screen avanzati nelle loro filiere produttive e poi serviti sugli scaffali, nei brand che li commercializzano.
Ciò che è estremamente deludente, è il fatto che le Istituzioni che dovrebbero difenderci dalle speculazioni sul paesaggio italiano per una crescita di lungo periodo affidata allo sviluppo delle specificità dei territori locali, sono le stesse che approvano e addirittura collaborano a questo tipo di iniziative che il meglio dell’Italia banalizzano e svendono. Piuttosto che promuovere gli artigiani, le filiere corte, i centri di produzione che faticosamente conquistano prodotti di eccellenza nel percorso ad ostacoli di normative e burocrazia, piuttosto che premiare questi figli contemporanei ed eroici di quel mosaico complesso di tradizioni che costituisce il Paese, se ne prende una narrazione generalista e semplificata, e la si smercia per le vie del mercato globale.
Vi sono però delle controtendenze intrinseche al mercato che con il tempo potrebbero giocare a favore, così come già lasciano FICO con pochi avventori in queste giornate: il globale pone con insistenza l’attenzione al locale e alle logiche di una sua autonoma scoperta, della riattivazione della prospettiva ludica ed esplorativa, specie nei nostri contesti, urbani o rurali che siano. Di “cibi precotti”, anche i turisti paiono averne abbastanza, almeno quando sono in vacanza.
Se tuttavia il suo paesaggio è quanto l’Italia ha di più sacro, non v’è dubbio: FICO allora è simonia.
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«Fabbrica» è il nome dato ai laboratori a vista che si trovano dietro agli stand.
Granarolo, azienda di Bologna, in questo laboratorio produce anche mozzarelle
(©Chestnut)"
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bologna , rigenerazione urbana
Last modified: 24 Gennaio 2018
[…] agricole, ubicate in prossimità dell’appena inaugurata fiera turistico-alimentare di Bologna (il ben noto FiCo, di cui si è scritto). A dispetto delle retoriche sul consumo di suolo zero, questi due lembi superstiti di territorio […]