Mario Spada, coordinatore della Biennale dello spazio pubblico, presenta la quarta edizione al termine della call for proposal
La Biennale dello spazio pubblico è promossa dall’Istituto nazionale di urbanistica (INU) assieme alla sua sezione laziale, dal Consiglio nazionale degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori, dall’Ordine degli architetti di Roma e dal Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre, con la collaborazione di UN-Habitat e di ANCI. La manifestazione, giunta alla quarta edizione (le precedenti nel 2011, 2013 e 2015), punta ad accrescere la consapevolezza circa il ruolo giocato dagli spazi pubblici, che rappresentano valori condivisi di natura ambientale e civile, nonché la concretizzazione del patto sociale che presiede alla costruzione e al governo della città. A conclusione dell’edizione 2013 è stata approvata una
Carta dello spazio pubblico che “vuole essere il documento di tutti coloro che credono nella città e nella sua straordinaria capacità di accoglienza, solidarietà, convivialità e condivisione; nella sua inimitabile virtù nel favorire la socialità, l’incontro, la convivenza, la libertà e la democrazia; e nella sua vocazione ad esprimere e realizzare questi valori attraverso lo spazio pubblico”. La Biennale si rivolge ad amministrazioni locali, Università, associazioni culturali, esperti e professionisti di svariate discipline, cittadini e studenti, con lo scopo di favorire progetti interdisciplinari e condivisi.
Il 10 febbraio scorso si è chiusa la call in vista della prossima edizione, in programma a Roma dal 25 al 27 maggio 2017, alla Facoltà di Architettura di Roma Tre a Testaccio. Mario Spada, coordinatore della Biennale, ci spiega come era strutturata la call e quali obiettivi aveva.
La call era strutturata su due binari: eventi territoriali e laboratori tematici. Da un lato si vuole costruire un calendario di eventi significativi (convegni, seminari, performance) che diversi attori organizzano sul territorio per confluire con i loro protagonisti nelle giornate conclusive di maggio; dall’altro si vuole proporre la formazione di laboratori da svolgersi prevalentemente on line sui diversi temi che afferiscono alla progettazione e gestione di spazi pubblici in modo da giungere all’evento finale con alcune linee guida che saranno oggetto di confronto nei workshop che si svolgeranno dal 25 al 27 maggio a Roma. Il titolo Fare spazi pubblici intende sottolineare la l’urgenza di costruire percorsi di fattibilità concreta. Le attività preliminari illustrate sono all’insegna del Viaggio nei comuni, formula già adottata nelle precedenti due edizioni per sottolineare che l’evento conclusivo è l’ultima tappa di un percorso.
Quali riscontri avete avuto?
Abbiamo formulato una call for proposals; tra coloro che hanno risposto alcuni, abituati ai bandi di concorso o alle call for papers hanno avuto qualche difficoltà d’interpretazione, mentre la maggior parte ha compreso bene gli obiettivi. Abbiamo avuto oltre 150 proposte che stiamo esaminando per costruire da un lato il calendario degli eventi e dall’altro i laboratori tematici. Le risposte provengono da piccole e medie amministrazioni comunali, Università, scuole, associazioni culturali, ordini provinciali degli architetti, sezioni regionali dell’INU. La varietà degli interlocutori risponde perfettamente a uno dei principi che sono costitutivi della manifestazione: fare concretamente e bene spazio pubblico comporta una progettazione interdisciplinare, percorsi di condivisione, una visione olistica che non trascuri alcun attore e alcun aspetto della complessità urbana.
Si può già tracciare un quadro generale dei temi portanti della quarta edizione della Biennale dello spazio pubblico? Ci sono evoluzioni rispetto alle precedenti edizioni?
Il tema che affiora con una maggiore evidenza è la rigenerazione urbana, declinata secondo categorie più precise: accessibilità, mobilità dolce, rigenerazione delle periferie e sicurezza urbana, disastri ambientali e ricostruzione, gestione dei beni comuni, riuso temporaneo, integrazione e multicultura, scuola e città educanti. A ben vedere non c’è una sostanziale differenza di temi e modalità rispetto alle edizioni precedenti: già dal 2013 si giunse all’evento finale dopo un “viaggio nei comuni delle buone pratiche” che diede luogo a laboratori tematici svolti in 13 città. Stavolta abbiamo separato i seminari territoriali dai laboratori tematici che auspichiamo possano costruire diverse “comunità critiche”, formare cluster che lavorano su piattaforme digitali da ora fino a maggio.
La Biennale sembra riscuotere un interesse crescente. Come spiega tale effervescenza, non solo tra gli addetti ai lavori?
Da un lato è il tema. Spazio pubblico è materializzazione di ciò che è comune. Le tumultuose trasformazioni economiche culturali e sociali che stiamo vivendo mettono alla prova il patto sociale che presiede alla costruzione e al governo della città. Patto che è tanto più necessario riformulare oggi nel confronto tra culture diverse che convivono e rendono più difficile l’individuazione di ciò che è riconosciuto come “comune”. Non è facile rintracciare un vincolo comune dotato di senso, promuovere un immaginario positivo dello stare insieme che rispetti le differenze ma sia al contempo capace di rafforzarsi continuamente attraverso l’azione comune. Costruire i nuovi luoghi della sfera pubblica è la sfida del futuro. Per promuovere la sfera pubblica come luogo di costruzione condivisa degli interessi è necessario sviluppare forme avanzate di democrazia, costruire reti sociali, promuovere un rinnovato impegno civico, realizzare azioni convergenti della sfera pubblica e privata. Perciò credo che il tema sia molto sentito. In secondo luogo la Biennale gode di una location di prestigio: soprattutto per gli ospiti stranieri, sempre più numerosi, il fascino di Roma è forte. Una città che dalle cronache nazionali appare come un buco nero ma vista da fuori è sempre la città più ricca di storia e cultura che il mondo contempli. E non dimentichiamo che può presentare un catalogo di spazi pubblici che attraversa le diverse culture architettoniche avvicendatesi nell’arco di due millenni.
C’è tuttavia da registrare che lo spazio pubblico sembra aver perso di peso, in termini di rappresentatività e potenzialità di fruizione. Ne conviene?
Se guardiamo allo spazio pubblico in termini amministrativi, spesso è proprio lo spazio di proprietà pubblica il più degradato e poco attraente. Ma non è un buon motivo per rinunciare a ciò che è pubblico: uno degli ospiti stranieri che verrà ed era presente anche nella precedente edizione è la Municipalità di Bogotá, la quale dispone di un ufficio dal nome eloquente: Defensoria del espacio publico. La lotta contro l’illegalità passa anche dalla difesa dell’identità sociale e culturale di strade e piazze che soprattutto nei centri storici rischiano di essere offuscate dall’invadenza di attività commerciali spesso illegali o comunque che occupano più spazio pubblico di quanto gli è concesso. Ma se parliamo di città più ricche e meno afflitte dall’illegalità, scopriamo che ad esempio Amburgo sta fondando su una rete di spazi pubblici a misura d’uomo la sua identità di città sostenibile. La città di Hong Kong presenterà alla Biennale il percorso d’incontri e workshop che per sei mesi impegnerà l’amministrazione e gli stakeholder per costruire insieme la vision di Hong Kong 2030. Il programma assegna alla rigenerazione della rete di spazi pubblici un ruolo strategico. Non va confusa l’apparente perdita di peso con la reale difficoltà a realizzare spazi pubblici in contesti urbani che presentano ormai ovunque caratteri multiculturali. Le comunità native sono fondate su potenti fattori identificanti di carattere sociale, etico, religioso ma il “comunitarismo” non può rappresentare la soluzione per la società contemporanea caratterizzata da differenze e antagonismi che tuttavia debbono convivere. Le città sono sistemi complessi, flessibili, adattivi, autoregolanti, non possono costruire lo spazio pubblico in modo incontrovertibile e definitivo. Le differenti identità etniche, culturali, sociali hanno l’opportunità di nutrirsi dello scambio, dell’incontro, in mancanza del quale la propria identità è destinata a sterilizzarsi.
Dietro ciò, sta il grande problema della sicurezza, che presenta parametri inversamente proporzionali all’idea di accessibilità.
La sicurezza sociale non si garantisce costruendo muri che separano fisicamente o virtualmente in base al reddito o all’etnia, o con cancellate di ferro che recingono i parchi per proteggerli dal vandalismo. Limitare l’accessibilità può risolvere alcune situazioni particolari ma non può essere una soluzione strategica. Il tema della sicurezza dei quartieri, delle strade, delle piazze dei parchi, avrà ampio spazio nella Biennale. Sarà attivo un laboratorio tematico on line già da inizio marzo dal titolo: “Rigenerazione delle periferie e sicurezza urbana” che unisce diversi punti di vista: quello del “coordinamento periferie di Roma” che sta elaborando un programma a tappe per arrivare a maggio a un incontro con il Consiglio comunale di Roma; quello dell’Università di Napoli che affronta il tema dal punto di vista dell’inclusione sociale in collaborazione con il Dipartimento del Ministero della Giustizia responsabile di misure alternative al carcere e del reinserimento sociale; quello dell’Università di Torino che affronta il tema dell’housing sociale dal punto di vista degli spazi pubblici inclusivi. Per inciso il bando periferie indetto dal Ministero delle Infrastrutture non è stato di grande aiuto per questi problemi. La necessità di aprire in fretta i cantieri ha favorito chi aveva i progetti nel cassetto, magari vecchi e non rispondenti alle necessità attuali. E soprattutto non ha contribuito ad affermare un principio irrinunciabile: la rigenerazione tanto più nelle periferie urbane o è un articolato e profondo piano interdisciplinare e partecipato che mette in relazione l’assetto urbanistico ed edilizio con i bisogni emergenti di ordine sociale e culturale, oppure rende il pessimo servizio di creare parchi abbandonati al degrado ed edifici pubblici vandalizzati.
Immagini dell’edizione 2015 della Biennale dello spazio pubblico, all’interno delle aule dell’Università Roma Tre nell’ex Mattatoio Testaccio
Chi è Mario Spada
Laureato in Architettura nel 1971 presso il Politecnico di Torino, membro dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) ha svolto lavori in campo architettonico, in particolare nell’edilizia scolastica. E’ stato docente e coordinatore di cantieri scuola presso il CEFME (Centro Formazione Maestranze Edili di Roma). In qualità di esperto del Ministero degli Esteri ha lavorato per programmi di formazione e sviluppo in Africa. Tra il 1998 e il 2001 è stato direttore dell’USPEL (Ufficio Speciale Partecipazione e Laboratori di quartiere) del Comune di Roma, incaricato di promuovere l’urbanistica partecipata e comunicativa e l’Agenda 21 locale. Tra il 2001 e il 2007 è stato direttore della Unità Organizzativa 4 (Sviluppo locale sostenibile partecipato) del Dipartimento XIX (Sviluppo e recupero delle periferie) del Comune di Roma, incaricato di realizzare programmi innovativi nelle periferie, in particolare i contratti di quartiere. Coordina dal 2011 la Biennale dello spazio pubblico.
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rigenerazione urbana , roma , spazio pubblico
Last modified: 23 Febbraio 2017
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