Fra la disponibilità a dare aiuto e la crescita dei partiti di destra, in “Making Heimat. Germany, Arrival Country”, proposto da curatori provenienti dal Deutsche Architekturmuseum di Francoforte, si parlerà di città e fenomeni urbani in uno dei Paesi più ambiti dai migranti
Immigrazione, assistenza e accoglienza. Sono questi i temi del Padiglione tedesco alla Biennale di Architettura di Venezia. A sceglierli un gruppo di curatori proveniente dal Deutsche Architekturmuseum (DAM), il Museo tedesco di architettura di Francoforte, primo nel suo genere in Germania, fondato nel 1984 dallo storico Heinrich Klotz. La Germania oggi è, di fatto, il Paese più ambito dai migranti, oltre che investito da un boom edilizio. Qual è la situazione attuale? Come sta rispondendo la nazione a questo tema cruciale per l’Europa intera? E l’architettura che ruolo ricopre? Abbiamo parlato di “Making Heimat. Germany, Arrival Country”, letteralmente “Fare casa. Germania, paese di arrivo”, con il gruppo del DAM: il commissario generale e direttore Peter Cachola Schmal, il curatore Oliver Elser e la coordinatrice dei progetti Anna Scheuermann. Ne esce una panoramica estremamente variegata dove, spesso, non c’è spazio per l’architettura di qualità.
Qual è stata la vostra prima reazione all’annuncio che il DAM era stato scelto come curatore del Padiglione tedesco?
Grande soddisfazione per la scelta del nostro “Making Heimat. Germany, Arrival Country” e allo stesso tempo un grande senso di responsabilità. Siamo consapevoli che il modo in cui la Germania sta affrontando la situazione dei profughi è osservato con grande attenzione in tutta Europa e al di fuori. Anche nel nostro Paese il tema è controverso: da una parte la grande disponibilità a offrire aiuto e un’amministrazione per lo più efficiente; dall’altra parte, una crescita dei partiti di destra e lo svolgimento della discussione in un clima piuttosto avvelenato. Ci troviamo nel mezzo di un aspro dibattito politico e ci domandiamo: che ruolo possono assumere qui l’architettura e l’urbanistica?
Qual è il principale obiettivo del Padiglione tedesco? Come interpreterete il tema “Reporting from the Front” di Alejandro Aravena?
Abbiamo due obiettivi: un ruolo di primo piano riguarda il come si caratterizzi una buona “Arrival City” e che cosa possa essere fatto a livello urbanistico. Dunque “Reporting from the urban front”. Questo concetto deriva dal giornalista canadese Doug Saunders, il cui libro Arrival Cities è un best-seller internazionale. Saunders, che ci ha assistito come consulente, s’interroga sulle condizioni da soddisfare affinché i profughi diventino degli immigrati. Il secondo obiettivo, che verrà pubblicato anticipatamente nel nostro sito web makingheimat.de, è l’attuale assistenza ai profughi: abbiamo raccolto un grande numero di progetti su come vengono alloggiati in Germania. Qui stiamo assistendo a un boom edilizio. Per anni si era solo parlato di costruire a basso costo, ora invece stanno sorgendo in molte città nuovi edifici residenziali o addirittura piccoli agglomerati (Siedlungen). E se ne aggiungeranno molti altri nei prossimi anni.
Secondo la vostra esperienza al DAM, in che modo l’architettura e l’urbanistica possono dare un contributo all’integrazione sociale?
L’architettura intesa come progetti realizzati non rivestirà un grande ruolo nella nostra esposizione. Perché ci si occupa della città, nello specifico della “città di arrivo”. Per esempio ci si occupa di Offenbach, la città tedesca con la più alta percentuale di stranieri. Offenbach è un’ex città industriale densamente costruita, che ha vissuto nel diciottesimo secolo un primo slancio economico con gli Ugonotti, i profughi perseguitati per motivi religiosi. Da allora ogni ondata migratoria ha lasciato tracce rilevanti. Ormai Offenbach approfitta del fatto che piccole aree industriali nel centro cittadino in un primo momento inutilizzate possano poi essere impiegate per la nascita d’imprese. Così in pieno centro cittadino abbiamo un grande panificio turco, ma anche tradizionali imprese artigianali. Questa non è una questione di buona architettura ma è conseguenza di un efficace “urban design”, in questo caso di fine diciannovesimo secolo.
A novembre avete lanciato un concorso per trovare edifici che stanno subendo trasformazioni per accogliere rifugiati e migranti. Risultati?
Abbiamo documentato progetti pensati come alloggi a breve termine per i profughi e altri come spazi abitativi a lungo termine. Ad esempio abbiamo, per la prima accoglienza, il progetto di un architetto di Monaco con l’incarico di realizzare l’ammobiliamento di due capannoni leggeri. In sostanza c’è di tutto, dai provvedimenti ad hoc fino a quelli a lungo termine. Ma, al di là delle disposizioni edilizie, ci si può chiedere se non debba essere introdotta nell’attuale discussione anche la questione riguardante i locali per uffici e gli appartamenti vuoti in alcune zone della Germania, nonchè la superficie abitativa per persona cresciuta enormemente.
Chi sono gli architetti tedeschi che avete coinvolto nel Padiglione?
Come già detto, concreti esempi di architettura e i suoi architetti non giocano un così grande ruolo nella parte dell’esposizione. Qua si tratta di fenomeni urbani, come ad esempio un grande centro commerciale vietnamita o una scuola in un quartiere problematico. Quindi senz’altro di edifici, però non di un’architettura eccezionale progettata da un architetto.
Cosa si dovranno aspettare i visitatori dal Padiglione tedesco? E perché dovrebbe rimanere impresso?
Il Padiglione non sarà solo un luogo di esposizione ma anche di permanenza, con un’atmosfera nuova. Per ora non vogliamo svelare altro ma sono previste misure piuttosto importanti. Quello che possiamo raccontare già ora, è la collaborazione con i progettisti e graphic designer dello studio berlinese Something fantastic, che realizzeranno nel Padiglione un’istallazione spaziale in cui metteremo in evidenza, in modo piuttosto radicale, l’attuale situazione del Paese. La Germania si trova in una condizione straordinaria, e questo si potrà constatare nel Padiglione già a prima vista.
I curatori
Peter Cachola Schmal (Altötting, 1960). Studia architettura all’Università tecnica (TU) di Darmstadt. Nel 1989 è collaboratore presso lo studio Behnisch+Partner di Stoccarda e dal 1990 al 1993 presso Eisenbach+Partner a Zeppelinheim. Dal 1992 al 1997 è collaboratore scientifico della TU di Darmstadt. Dal 1997 al 2000 docente di progettazione alla Fachhochschule di Francoforte. Dal 2000 curatore e dal 2006 direttore del DAM. Nel 2007 è commissario generale tedesco della VII Biennale Internazionale di Architettura di San Paolo.
Oliver Elser (Rüsselsheim, 1972). Ha studiato architettura a Berlino. Dal 2003 al 2007 è giornalista e critico di architettura a Vienna. Dal 2007 è curatore presso il DAM e autore di numerosi contributi pubblicati in varie riviste, giornali e libri. Nel 2012-13 è docente di scenografia presso la Fachhochschule di Magonza. Fra le mostre da lui curate: “Das Architekturmodell – Werkzeug, Fetisch, kleine Utopie” (Il modello architettonico – strumento, feticcio, piccola utopia), 2012; “Die 387 Häuser des Peter Fritz” (Le 387 case di Peter Fritz) presso la Biennale d’Arte di Venezia; “Mission: postmodern. Heinrich Klotz und die Wunderkammer DAM” (Missione: postmoderno. Heinrich Klotz e la Wunderkammer DAM), 2014.
Anna Scheuermann (Lahn-Gießen, 1977). Studia Architettura presso la TU di Darmstadt e a Tec de Monterrey in Querétaro, Messico. Nel 2005-06 fa volontariato presso il DAM. Dal 2006 è curatrice e autrice indipendente. Nel 2007 è co-curatrice del contributo tedesco alla VII Biennale Internazionale di Architettura di San Paolo. Dal 2007 si occupa di relazioni con la stampa e con il pubblico per diversi studi di architettura e ingegneria. Fra le mostre da lei curate: “schneider+schumacher”, 2012; “Nove Novos”, 2013; “Suomi Seven”, 2014.
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biennale venezia 2016 , germania , reporting from the front
Last modified: 25 Aprile 2017
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