Visit Sponsor

Written by: Città e Territorio

Expo 2015: il meglio e il peggio

Expo 2015: il meglio e il peggio

10 al top


LEGNO.
Usato in tutti i modi, è il materiale che vince nelle scelte dei progettisti. Dalle architetture di servizio a tanti padiglioni: come elemento strutturale (Cile) o delicato ornamento di facciata (Uruguay), come partizione a ricordare antiche tecniche costruttive (Giappone) o per coperture ondulate (Cina). Il Pianeta si nutre soprattutto di legno.

AUSTRIA.
All’Expo hanno portato una vera foresta all’’interno in una struttura ricoperta di metallo. Rappresenta e mostra, in maniera quasi paradigmatica, la natura che invade l’’architettura. Il tema è l’aria, come primaria fonte di vita. Produce ossigeno e climatizza in maniera naturale. Fresco e piacevole.

PARETI VERDI. Poteva sottrarsi Expo al trend del momento e nella città del Bosco Verticale? Certo che no, e allora ce n’’è per tutti i gusti. Quasi didascalica – ma sicuramente di grande impatto – quella proposta da Israele: i “campi del domani” si arrampicano sulle facciate degli edifici. Ed è un effetto affascinante.

BRASILE. Un padiglione che ti fa anche divertire. Con una grande rete (simbolo della connessione tra le persone, tra l’’agricoltura, la conoscenza e la tecnologia) tesa sopra un giardino con corde e cavi metallici. Inatteso e dinamico.

INFRASTRUTTURE. Alzi la mano chi se l’aspettava così: stazioni efficienti, percorsi chiari, pavimentazioni uniformi, arredo urbano dignitoso. Arrivare all’’Expo è una sorpresa, in positivo. Abbiamo raccontato di ritardi, opere cancellate, caos e indecisioni. L’altra faccia della medaglia è un sistema infrastrutturale che (per ora almeno) funziona e supporta il sito espositivo.

GIAPPONE. Un percorso che affascina: scoprire le stanze in successione costituisce un’’immersione nella cultura giapponese, del cibo e dell’’alimentazione, ma non solo. L’’Expo interpretato non tanto in chiave di immagine, ma di approfondimento socio-culturale. Sensibile, affascinante, riuscitissimo.

TUTTI COL NEPAL. Expo è anche questo: un padiglione non finito per il tremendo terremoto che ha colpito Kathmandu e tutto il Nepal. Tanti lavoratori tornati a casa. Altri che, piano piano, stanno terminando il lavoro, aiutati dai colleghi degli altri paesi. I visitatori entrano portando il loro contributo e la loro vicinanza.

TORRI SVIZZERE. L’’immagine esterna è un po’ fuorviante (“Sembra una banca”, ci scherzano sopra loro stessi). Ma il programma focalizza il tema di “Nutrire il Pianeta”. Quattro torri alte 15 metri, piene di prodotti alimentari. Il tema è: “Ce n’’è per tutti?”). Il pavimento è mobile e si muoverà in base ai consumi dei visitatori.

FORME CIRCOLARI. Cupole, finte colline, spazi circolari, soffitti a volta. Anche in questa direzione si sono sbizzarriti i progettisti di Expo. A partire da Michele De Lucchi, con le curve di livello stilizzate del Padiglione Zero, uno dei simboli della Fiera. Fino ai padiglioni nazionali: Corea, Bielorussia (c’’è anche un mulino), Malesia, Argentina. A ciascuno la sua curva.

ARCHITETTURE INTERATTIVE. Quasi banale dirlo in una’Expo del terzo millennio, ma c’’è anche una dimensione informatica-interattiva che costruisce spazi e dimensioni attraverso schermi e strumentazioni informatiche. In molti padiglioni è proprio la virtualità a prevalere su spazi fisici anonimi o poco identitari. Con risultati apprezzabili.

 

 

5 flop

 

DECUMANO. L’’asse che struttura tutta la cittadella Expo è un luogo ibrido e non molto piacevole. Troppo largo per diventare una strada, troppo vuoto perché sia esso stesso un’’esperienza. I padiglioni sono lontani, le tende fanno ombra ma non danno identità, la pavimentazione – e in generale l’’arredo urbano – non aggiungono molto.

ACQUA. Come se non ci fosse. Doveva essere l’’elemento in più del masterplan, simbolo dell’’identità milanese. Invece l’acqua è relegata ai margini, poco visibile, ancora meno valorizzata. I canali sono delle vasche, o poco più.

GAZEBI.
Che gli sponsor debbano avere il loro spazio, e pure ben visibile, è certo. Ma forse si poteva fare uno sforzo per dare uniformità e coerenza a gazebi, chioschetti, edicole, vetrinette che punteggiano il Decumano e tutti i percorsi.

ITALIA. Il Palazzo ha una straordinaria spazialità interna, la facciata è più bella da lontano che da vicino. Ma è tutto l’’insieme del Padiglione Italia, con gli spazi regionali attorno e l’’Albero della vita alla fine del Cardo, a non convincere con forme e architetture poco coerenti e coese tra loro.

LAVORI IN CORSO. Diciamolo, ci si poteva aspettare di peggio. Però qualche ritardo (soprattutto nella cura degli spazi aperti) poteva essere camuffato meglio.

Autore

  • Michele Roda

    Architetto e giornalista pubblicista. Nato nel 1978, vive e lavora tra Como e Milano (dove svolge attività didattica e di ricerca al Politecnico). Dal 2025 è direttore de ilgiornaledellarchitettura.com

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 1.064 times, 1 visits today)
Share

Tag



Last modified: 23 Novembre 2021