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Michele RodaWritten by: Città e Territorio

Expo 2015: il meglio e il peggio

Expo 2015: il meglio e il peggio

10 al top


LEGNO.

Usato in tutti i modi, è il materiale che vince nelle scelte dei progettisti. Dalle architetture di servizio a tanti padiglioni: come elemento strutturale (Cile) o delicato ornamento di facciata (Uruguay), come partizione a ricordare antiche tecniche costruttive (Giappone) o per coperture ondulate (Cina). Il Pianeta si nutre soprattutto di legno.

AUSTRIA.
All’Expo hanno portato una vera foresta all’’interno in una struttura ricoperta di metallo. Rappresenta e mostra, in maniera quasi paradigmatica, la natura che invade l’’architettura. Il tema è l’aria, come primaria fonte di vita. Produce ossigeno e climatizza in maniera naturale. Fresco e piacevole.

PARETI VERDI. Poteva sottrarsi Expo al trend del momento e nella città del Bosco Verticale? Certo che no, e allora ce n’’è per tutti i gusti. Quasi didascalica – ma sicuramente di grande impatto – quella proposta da Israele: i “campi del domani” si arrampicano sulle facciate degli edifici. Ed è un effetto affascinante.

BRASILE. Un padiglione che ti fa anche divertire. Con una grande rete (simbolo della connessione tra le persone, tra l’’agricoltura, la conoscenza e la tecnologia) tesa sopra un giardino con corde e cavi metallici. Inatteso e dinamico.

INFRASTRUTTURE. Alzi la mano chi se l’aspettava così: stazioni efficienti, percorsi chiari, pavimentazioni uniformi, arredo urbano dignitoso. Arrivare all’’Expo è una sorpresa, in positivo. Abbiamo raccontato di ritardi, opere cancellate, caos e indecisioni. L’altra faccia della medaglia è un sistema infrastrutturale che (per ora almeno) funziona e supporta il sito espositivo.

GIAPPONE. Un percorso che affascina: scoprire le stanze in successione costituisce un’’immersione nella cultura giapponese, del cibo e dell’’alimentazione, ma non solo. L’’Expo interpretato non tanto in chiave di immagine, ma di approfondimento socio-culturale. Sensibile, affascinante, riuscitissimo.

TUTTI COL NEPAL. Expo è anche questo: un padiglione non finito per il tremendo terremoto che ha colpito Kathmandu e tutto il Nepal. Tanti lavoratori tornati a casa. Altri che, piano piano, stanno terminando il lavoro, aiutati dai colleghi degli altri paesi. I visitatori entrano portando il loro contributo e la loro vicinanza.

TORRI SVIZZERE. L’’immagine esterna è un po’ fuorviante (“Sembra una banca”, ci scherzano sopra loro stessi). Ma il programma focalizza il tema di “Nutrire il Pianeta”. Quattro torri alte 15 metri, piene di prodotti alimentari. Il tema è: “Ce n’’è per tutti?”). Il pavimento è mobile e si muoverà in base ai consumi dei visitatori.

FORME CIRCOLARI. Cupole, finte colline, spazi circolari, soffitti a volta. Anche in questa direzione si sono sbizzarriti i progettisti di Expo. A partire da Michele De Lucchi, con le curve di livello stilizzate del Padiglione Zero, uno dei simboli della Fiera. Fino ai padiglioni nazionali: Corea, Bielorussia (c’’è anche un mulino), Malesia, Argentina. A ciascuno la sua curva.

ARCHITETTURE INTERATTIVE. Quasi banale dirlo in una’Expo del terzo millennio, ma c’’è anche una dimensione informatica-interattiva che costruisce spazi e dimensioni attraverso schermi e strumentazioni informatiche. In molti padiglioni è proprio la virtualità a prevalere su spazi fisici anonimi o poco identitari. Con risultati apprezzabili.

 

 

5 flop

 

DECUMANO. L’’asse che struttura tutta la cittadella Expo è un luogo ibrido e non molto piacevole. Troppo largo per diventare una strada, troppo vuoto perché sia esso stesso un’’esperienza. I padiglioni sono lontani, le tende fanno ombra ma non danno identità, la pavimentazione – e in generale l’’arredo urbano – non aggiungono molto.

ACQUA. Come se non ci fosse. Doveva essere l’’elemento in più del masterplan, simbolo dell’’identità milanese. Invece l’acqua è relegata ai margini, poco visibile, ancora meno valorizzata. I canali sono delle vasche, o poco più.

GAZEBI.
Che gli sponsor debbano avere il loro spazio, e pure ben visibile, è certo. Ma forse si poteva fare uno sforzo per dare uniformità e coerenza a gazebi, chioschetti, edicole, vetrinette che punteggiano il Decumano e tutti i percorsi.

ITALIA. Il Palazzo ha una straordinaria spazialità interna, la facciata è più bella da lontano che da vicino. Ma è tutto l’’insieme del Padiglione Italia, con gli spazi regionali attorno e l’’Albero della vita alla fine del Cardo, a non convincere con forme e architetture poco coerenti e coese tra loro.

LAVORI IN CORSO. Diciamolo, ci si poteva aspettare di peggio. Però qualche ritardo (soprattutto nella cura degli spazi aperti) poteva essere camuffato meglio.

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 23 Novembre 2021