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Brasilia, una nuova savana tra i setti di Niemeyer

Brasilia, una nuova savana tra i setti di Niemeyer
Nel Minhocão un giardino diventa un’esperienza unica tra progetto, natura e società. Interpreta le forme brutaliste dell’edificio e va oltre Burle Marx

 

BRASILIA (BRASILE). A Brasilia, un’inedita forma di giardino prende vita nel cuore del Minhocão (parola che in portoghese indica un creatura leggendaria simile ad un verme), l’Istituto Centrale delle Scienze dell’Università di Brasilia, inaugurato nel 1963: uno degli edifici più iconici progettati da Oscar Niemeyer, lungo un chilometro. 

 

Dalla tabula rasa al ritorno della savana

Non si tratta di una semplice decorazione paesaggistica, ma di un vero esperimento culturale e ambientale: riportare il Cerrado – la savana con più biodiversità al mondo – al centro della scena urbana. 

All’interno dell’edificio, l’esperimento è in corso da alcuni anni e nel 2024 è stato selezionato per essere presentato alla Biennale messicana del paesaggio. In questi mesi, il progetto di Julio Pastore è anche ospite nella Biennale di Venezia, nel Padiglione brasiliano. Da poco c’è stata la scelta ufficiale di riconoscere il giardino come patrimonio culturale dell’Università di Brasília, un passaggio che rafforzerà il valore simbolico e istituzionale del progetto e aprirà la strada alla sua continuità all’interno dell’ateneo.

Pastore, professore di progettazione del paesaggio all’Università di Brasilia, guida questa iniziativa che coinvolge volontari, ricercatori, artisti e cittadini. L’obiettivo è duplice: proporre una nuova estetica del paesaggio urbano e rigenerare l’immaginario collettivo intorno al Cerrado, spesso trascurato, poco valorizzato dalla cultura paesaggistica e devastato dalle monocolture.

Brasília nacque come città moderna immersa nella natura. Eppure, il suo ecosistema originario fu cancellato e sostituito da prati e alberi esotici. Lúcio Costa, urbanista della città, considerava il Cerrado una forza selvaggia da domare, da confinare nei parchi periferici come in musei a cielo aperto. Oggi, però, il cambiamento climatico impone un ripensamento radicale. La natura non può più essere un fondale estetico: bisogna imparare da essa. Da qui nasce l’idea di costruire un paesaggio vivo, basato su specie locali, capace di adattarsi alle stagioni e risparmiare risorse idriche.

Il giardino secco: natura che cambia, sguardi che si trasformano

Nel Minhocão, l’intervento paesaggistico di Julio Pastore rompe con l’estetica del giardino ornamentale. Il Jardim de Sequeiro – difficile da tradurre in italiano, ma simile a “giardino secco” – si basa su una vegetazione che si trasforma, seguendo le stagioni. È un invito alla contemplazione del cambiamento, in una composizione dove le diverse specie si intrecciano in complesse trame di colori e masse.

Il giardino non è più un oggetto statico, ma un processo dinamico. Ispirato alla composizione aleatoria di John Cage, si semina senza sapere esattamente cosa nascerà, accettando l’incertezza come valore. Così, lo spazio diventa un evento, un paesaggio performativo dove natura e persone partecipano insieme. Ogni anno viene lanciata una call per partecipare alla costruzione del giardino: si iscrivono centinaia di persone, e circa 30 vengono selezionate. Sono prevalentemente donne, spesso senza formazione accademica ma con una forte motivazione. Dottori di ricerca lavorano fianco a fianco con artigiane e appassionati. 

Il risultato? Un paesaggio che nasce dalla cura collettiva. Non servono competenze tecniche, chiunque può contribuire con pittura, fotografia, composizione floreale, tinture naturali. Quest’anno nascerà anche un concorso letterario legato al giardino. Questo processo genera relazioni, consapevolezza critica e, soprattutto, un capitale sociale prezioso: alcuni volontari hanno persino avviato nuove imprese, generando reddito dal nuovo sguardo sul Cerrado.

 

Un nuovo paesaggismo 

Pastore si ispira a Gilles Clément e Gernot Böhme, ma anche alla sua esperienza personale. Durante il master a Firenze, con Francesca Bretzel e un tirocinio con James Hitchmough, propose papaveri rossi lungo l’Arno. “Il giardino di Sequeiro – spiega – cerca di connettersi con il periodo dell’anno: quando è secco, il giardino è secco, se piove, è primavera! Questo sensibilizza le persone sul passaggio delle stagioni e sull’importanza di riconoscere i cicli della natura. Ma, cosa ancora più importante, introduce un’estetica naturalistica, che consente una coltivazione più libera e di osservare la natura in azione. Il processo si concede così la gioia del rinnovamento, in una relazione inedita con un progetto modernista e brutalista: una natura più ricca e dinamica”. 

In questo senso, il Jardim de Sequeiro è una provocazione, ma anche una proposta concreta per affrontare la crisi climatica. Rispetto al modernismo di Burle Marx, questo paesaggio non è un quadro da contemplare, ma un feed vivente: una piattaforma in cui esseri umani e non-umani coesistono, interagiscono, danzano.

Mentre Niemeyer esasperava l’integrazione tra natura e costruito, questo progetto punta a concepire l’architettura come parte della vita ecologica. Non è una ristrutturazione del paesaggio, ma un nuovo inizio, un metodo di progettazione sensibile e condiviso. In questo contesto, il ruolo del paesaggista non è disegnare, ma accompagnare: raccogliere saperi, sperimentare tecniche, prendersi cura.

Pastore evita di parlare direttamente dell’edificio. Preferisce rispettare l’architettura, lasciando che sia la natura ad abitare e a trasformare gli spazi da dentro. E lo fa con delicatezza, invitando le persone a osservare, sentire, riconoscersi nella bellezza selvaggia del Cerrado.

In un Brasile in cui l’Amazzonia brucia e il Cerrado scompare, progetti come questo propongono un’alternativa concreta e poetica. Non si tratta solo di paesaggio, ma di un nuovo modo di stare al mondo insieme. Il Jardim de Sequeiro è un invito a vivere il cambiamento, a riconciliarsi con i ritmi naturali, a fare della bellezza un gesto collettivo e politico.

Immagine di copertina: Jardim de Sequeiro, Brasília (© Júlio Barea Pastore)

Autori

  • PhD, è ricercatore RTDa in Urbanistica presso il Politecnico di Torino e professore di progettazione e teoria dell'architettura presso l'Università Federale di Goiás, dove dirige il Laboratorio di Processi di Progettazione. Lavorando all'intersezione tra processi di progettazione, questioni ambientali, soggettività e politiche dello spazio urbano, la sua ricerca si focalizza sull’immaginazione di alternative socioambientali e su modalità collettive e collaborative per progettare futuri migliori, nonché su come i processi di progettazione possano riprodurre o trasformare le soggettività.

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  • Daniela Ciaffi

    Professoressa associata in Sociologia dello Spazio presso il Politecnico di Torino. È esperta in trasformazioni spaziali basate sulla comunità, conducendo esperienze di ricerca-azione nella pianificazione urbana partecipativa sin dalla fine degli anni Novanta e studiando casi di sostenibilità ambientale, con particolare attenzione a strumenti innovativi come i regolamenti locali per la cura dei beni comuni. È vicepresidente di Labsus – Laboratorio per la Sussidiarietà, che sostiene azioni innovative su tutto il territorio italiano.

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Last modified: 22 Giugno 2025