Visita al complesso educativo montessoriano disegnato da Hertzberger, costruito in più fasi dagli Anni Sessanta: un progetto in continua evoluzione
DELFT (PAESI BASSI). È venerdì pomeriggio, un po’ in anticipo rispetto all’orario dell’appuntamento con la dirigente, ti fermi nel cortile ad osservare i bambini che giocano, i genitori che chiacchierano. Uno spazio di transizione tra la città e la scuola che, nonostante i mutamenti subiti nel corso degli anni, mantiene la vocazione di spazio di relazione: il primo degli spazi tra le cose, su cui è strutturato il progetto.
Entri, la scuola si sta svuotando, un bambino nella piazza centrale suona il pianoforte, un altro legge concentrato, secondo una spontanea appropriazione dello spazio, indotta dall’architettura.
Il passato
È il 1960, Herman Hertzberger ha conseguito da due anni la laurea presso la Technical University di Delft ed è già impegnato nella progettazione dello studentato di Amsterdam: proprio a Delft gli viene commissionata la prima di una serie di scuole montessoriane costruite in Olanda, quella che più di tutte conosce diversi ampliamenti nel corso degli anni.
Ad un primo nucleo di quattro aule concepite nel 1960, si aggiunge nel 1966 una quinta classe, poi, nel 1970, altre due aule di dimensioni maggiori, passando per un maggiore ampliamento nel 1981 con la realizzazione di altre tre aule e una sala polivalente dalla forma irregolare. La configurazione attuale si ha solo nel 2008.
È il 1960 ed Hertzberger è da un anno segretario di redazione per Forum che, proprio a partire dal 1959, subisce un cambio di rotta: nella nuova redazione selezionata da Dick Apon, lavora insieme ai due membri olandesi del Team 10, Aldo van Eyck e Jaap Bakema. Un lavoro che segnerà il giovane architetto, tanto da definirsi, poi, un loro prodotto: “un prodotto del Team 10”. In Forum, infatti, incontrerà e farà propri temi quali il rapporto grande-piccolo, il concetto di soglia, di spazio in-between, di luogo, di incontro. Entreranno a far parte della sua poetica e del suo linguaggio.
E proprio nella scuola di Delft, più che in ogni altro progetto di Hertzberger, è evidente l’influenza di Aldo van Eyck che, nel 1956, aveva realizzato a Nagele una scuola elementare, ad Amsterdam numerosi playgrounds e nel 1960 concludeva l’orfanotrofio della capitale olandese: Hertzberger parte da quei principi compostivi per disegnare una scuola che doveva rispondere alle specifiche richieste di un sistema educativo non tradizionale, quello montessoriano.
Rifiutando, come sostiene più volte, l’idea di scuola come treno di aule lungo un corridoio anonimo, disegna uno spazio centrale denso di accadimenti episodici: individua, infatti, per le aule un modulo replicabile e le dispone, come van Eyck, in maniera disallineata a creare quella che chiamerà la piazza della scuola: gli spazi a misura umana della città storica, rimangono per Hertzberger costante riferimento nella progettazione degli edifici, specie in quelli pubblici.
Il presente
Sono le 15,30 e la preside ti accoglie in un altro degli spazi tra. Durante l’intervista racconta: “Ho diretto un’altra scuola Montessori prima di questa, in un edificio tradizionale (ci sono molte scuole Montessori nei Paesi Bassi, più che in Italia!). Quando sono arrivata qui, ero molto curiosa di capire come funzionasse l’edificio: ho notato subito la differente qualità spaziale, uno spazio dal quale e nel quale i bambini apprendono e con esso interagiscono. Lo spazio qui supporta davvero l’apprendimento dei bambini”.
E lo capisci subito dallo spazio dell’aula, la cui particolare pianta a L permette di scoprire un po’ alla volta i suoi angoli e i suoi spazi, mediante un’esplorazione visiva e corporea complessa, evitando di leggere lo spazio con un unico colpo d’occhio. Questa specifica forma permette di individuare, all’interno di ogni aula, spazi differenti per le differenti attività previste dal metodo Montessori. Lo spazio d’ingresso, illuminato dall’alto, si dispone ad una quota leggermente più bassa del resto della classe, dalla quale è separata mediante due scalini.
Pensato per le attività manuali e laboratoriali, è equipaggiato con un lavandino che, insieme ai due scalini, segna la separazione con il resto dell’aula. La restante parte della classe è pensata per attività che richiedono maggiore concentrazione: uno spazio illuminato da una lunga finestra a nastro, la cui altezza permette al bambino di guardare l’esterno.
Ogni aula è servita da un guardaroba quadrangolare, per depositare cappotti e scarpe degli alunni di ciascuna classe, ed è preceduta da una soglia, uno spazio filtro tra l’aula e lo spazio centrale. È il primo degli spazi di transizione, il cui carattere pubblico cresce all’avvicinarsi alla strada: l’aula, il guardaroba, lo spazio centrale, l’uscio, il cortile, la strada. Diverse differenziazioni territoriali, che il bambino è incoraggiato ad esperire, liberamente.
Nelle scuole montessoriane il bambino, infatti, è lasciato libero di scegliere le proprie attività in uno spazio altamente stimolante e appositamente studiato in rapporto alle diverse fasi evolutive, all’interno di classi aperte nelle quali studenti di età differenti possono interagire tra loro e supportarsi vicendevolmente nel percorso di apprendimento.
Dice ancora la dirigente: “I bambini arrivano la mattina e scelgono liberamente la loro attività. Questo è possibile perché tutti gli spazi, compresi i corridoi, possono essere utilizzati. È molto stimolante, anche se non è mai completamente silenzioso, i bambini possono parlarsi, toccare i materiali ed esplorare liberamente: l’insegnante non stabilisce cosa fare, ma agisce come un coach”.
Come sostiene lo stesso Hertzberger – che ha ricevuto un’educazione montessoriana dall’infanzia fino al liceo, marito e padre di due insegnanti montessoriane – la pedagogia del medico italiano è “una pedagogia dello spazio” che induce il bambino all’autonoma scoperta attraverso l’esplorazione: ogni bambino è incoraggiato a sviluppare consapevolezza e responsabilità nei confronti del proprio territorio, imparando a prendersi cura del proprio spazio e degli oggetti in esso contenuti.
È un venerdì pomeriggio, un flebile sole invernale illumina la scuola e quello che più ti incuriosisce è il numero di micro-luoghi, arredi fissi, espedienti che permettono a bambini e insegnanti di interpretare e fare proprio il luogo: vetrine, sedute, gradonate, tavoli, pedane, spioncini e piccole aperture. Tutti elementi pensati per stimolare la curiosità e l’appropriazione dello spazio da parte di chi abita questa architettura. Nello spazio centrale, in una cavità, sono organizzati una serie di elementi lignei cubici: uno spazio, ad una quota inferiore rispetto a quella del pavimento che, se svuotato offre al bambino una sensazione di riparo, e permette di usare gli elementi lignei cubici come sedute o elementi componibili.
Analogamente, sempre nella piazza comune dove affacciano le aule, un podio in mattoni, fisso, è un elemento rialzato per esibizioni, luogo espositivo o spazio studio, ma anche contenitore per elementi modulari in legno che permettono la costruzione di un eventuale palco.
Il principio della nicchia viene esplorato e indagato in maniera diversa, in pianta quanto in sezione: il muro è, a seconda della profondità e della dimensione, spazio per un nascondiglio, messe in scene teatrali, libreria, vetrina o luogo contenitore.
Il futuro
Quello che colpisce non è solo l’attualità dell’edificio, quanto la capacità di prestarsi ancora a futuri cambiamenti ed ampliamenti, in virtù della potenziale crescita dettata dai principi strutturalisti.
La dirigente ci dice, infatti, che lo studio Hertzberger è attualmente impegnato in un ulteriore progetto di rinnovamento. “L’architetto visita spesso la nostra scuola, come è successo anche per i precedenti lavori di ampliamento, non solo per constatare lo stato dell’edificio, ma soprattutto per valutarne il grado di usabilità. È molto coinvolto nel suo lavoro, anche ora che ha più di 90 anni. Una delle sue convinzioni più forti è che l’architettura debba essere vissuta, utilizzata. Non vuole che la scuola venga trattata come un monumento, ma come uno spazio vivente che deve adattarsi ai bisogni reali di chi lo abita”.
Il coinvolgimento di Hertzberger nella scuola di Delft non si limita solo ai progetti futuri, ma si estende anche alla valutazione dell’usabilità degli spazi e alla loro capacità di rispondere alle necessità dei bambini e degli insegnanti: ogni elemento dell’architettura scolastica, dalle aule alle aree comuni, deve essere pensato per stimolare l’apprendimento, favorire l’interazione e rispondere alle necessità evolutive dei bambini.
Gli spazi devono essere dinamici, in grado di adattarsi alle esigenze pedagogiche e ai cambiamenti sociali, evolvendo insieme ai tempi e alle necessità educative.
È venerdì pomeriggio, il sole è ormai tramontato, sei di nuovo nel cortile d’ingresso. La visita alla Scuola di Delft lascia una grande lezione: forse l’architettura dovrebbe superare qualsiasi autoreferenzialità, mettere al centro del discorso l’uomo e le sue necessità; farsi meno spettacolare ma più attenta all’esperienza corporea dell’abitante.
Immagine di copertina: vista esterna attuale della Scuola di Delft (© Alessandra Gabriele)
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Last modified: 17 Marzo 2025