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Paola BiancoWritten by: Progetti

Spazio Antonioni, il maestro (ri)trova casa nella sua Ferrara

Spazio Antonioni, il maestro (ri)trova casa nella sua Ferrara

Presso Palazzo Massari, visita al museo dedicato al regista Michelangelo Antonioni, allestito dallo studio Alvisi Kirimoto

 

FERRARA. Abbiamo trattato a più riprese l’evoluzione degli spazi museali in città, soprattutto in relazione al “gioiello” rappresentato da Palazzo dei Diamanti. A breve distanza dal capolavoro rinascimentale di Biagio Rossetti, dal 31 maggio il sistema museale ferrarese ha aggiunto un nuovo tassello, in omaggio alla carriera artistica di Michelangelo Antonioni (1912-2007), uno dei cineasti italiani più rivoluzionari, di fama internazionale.

Il museo ebbe un esordio infelice in un’altra sede, in Corso Ercole I d’Este nel 1995, poi chiuso nel 2006, pare in seguito al cattivo stato di conservazione dei luoghi e ad una non ottimale disposizione dei materiali d’archivio.

 

Un nuovo polo culturale per Ferrara

Contestualizziamo brevemente: oggi ci troviamo sul prolungamento di Corso Biagio Rossetti, attualmente uno degli assi stradali più importanti della città, in piena addizione erculea, che in questo tratto assume il toponimo di Corso Porta Mare, all’interno del quadrante che ospita Palazzo Massari e gli omonimi giardini pubblici. Il palazzo è sede delle GAMC (Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara), attualmente chiuse per restauro, e delimita verso sud-est l’isolato, mentre all’estremità opposta trovano spazio gli uffici della Questura e al centro si aprono i giardini.

Da una cancellata, proseguimento di quella dei giardini estensi, si penetra nello spazio antistante il nuovo museo, adibito a piccolo giardino di sculture, anche in questo similare ai Giardini Massari. Da subito si respira un’aria di pacatezza, che contraddistingue anche gli spazi rifunzionalizzati dallo studio romano Alvisi Kirimoto. 

Per un importo lavori totale di 1,3 milioni, lo Spazio Antonioni ha oggi sede in un padiglione storico, affiancato da un padiglione gemello, solo un po’ più lungo, di cui non è dato sapere l’età con precisione: due parallelepipedi di non grandi dimensioni (circa 300 mq ciascuno), posti uno di fianco all’altro. Il cortile viene condiviso con la Palazzina dei Cavalieri di Malta. Per tutto il complesso di Palazzo Massari si attende l’esecuzione del progetto di restauro dello studio ABDR, finanziato dal Fondo per lo Sviluppo e la coesione, approvato in fase esecutiva e con i lavori aggiudicati nel 2021. 

 

Un restauro radicale

Entrambi i padiglioni storici hanno visto le facciate restaurate: il loro candore emerge tra le fronde circostanti (nel giardino vi sono alcuni cedri del Libano di notevolissime dimensioni). Il padiglione dello Spazio Antonioni è stato restaurato in maniera più radicale del suo gemello, essendo stati inclusi tutti gli spazi interni. Il programma prevedeva la riapertura delle bucature murate: dall’esterno ciò si percepisce, mentre all’interno non se ne avverte molto la presenza; il museo si sviluppa su due piani (in totale pertanto circa 600 mq di superficie calpestabile). 

All’ingresso del piano terra si trova la biglietteria, con una parete attrezzata a bookshop, la piccola scala originaria (ripavimentata in pietra lavica) e il nuovo ascensore per disabili. Un setto di colore bianco delimita gli spazi espositivi; setti analoghi, contraddistinti da colorazioni più scure mano a mano che si procede verso il fondo del padiglione, ospitano il materiale dell’archivio, curato da Dominique Paini e dalla moglie di Antonioni, Enrica Fico. 

 

Un percorso espositivo tra luce e sceneggiatura

La luce è prevalentemente artificiale, disposta sia a soffitto che all’interno delle teche ricavate all’interno dei setti; l’atmosfera volutamente ovattata: evidenti i richiami all’estetica dei film del maestro, che amava la luce diffusa, in quanto gli permetteva di seguire meglio i personaggi delle proprie storie. 

Nelle teche, che lasciano a vista cerniere a sostegno dei vetri e piedi metallici, che ne consentono lo spostamento, trovano spazio, in ordine cronologico e tematico sceneggiature originali, fotografie di scena, corrispondenze con scrittori e registi, premi, locandine, macchine fotografiche e cineprese. Nei setti si trovano anche piccoli monitor, per mostrare soprattutto frammenti dei primi lungometraggi del maestro.

 

Tra cinema e arte

Il piano superiore si distingue invece per l’ampio spazio destinato alle mostre temporanee: in questo caso, le opere di Giorgio Morandi e di Cy Twombly, in dialogo con le opere pittoriche di Antonioni, che ha praticato la pittura, sia in veste di collezionista che di artista (in mostra sono presenti le riproduzioni di suoi acquerelli e un grande quadro). Qui i setti sono più corti, simmetrici, e li si può attraversare nel mezzo. Il tutto dà un’idea di rigore ed essenzialità e favorisce la fruizione in silenzio. A squarciare il grigio-nero dominante sono in alcuni casi le opere di Alberto Burri, in talaltri le locandine originali dei film serigrafate in vari colori o, ancora, gli sparuti arredi.   

Tra i materiali d’archivio, imperdibili sono le corrispondenze con personaggi del calibro di Italo Calvino, Federico Fellini, Julio Cortazar, Giorgio Morandi e Akira Kurosawa, oltre a quelle col suo amico e conterraneo Giorgio Bassani. Un tuffo al cuore anche quando nella stessa teca sono disposti l’Oscar alla carriera ricevuto nel 1995, la Palma d’oro del 1967 per Blow Up e il Leone d’Oro alla carriera del 1983.

A concludere i percorsi del piano terra e superiore, duecinema” per piano dove poter godere, in rigoroso silenzio su comodi pouf, di spezzoni dei capolavori del maestro.

Il restauro ha per il momento sacrificato la parte dei servizi igienici, che sono ospitati temporaneamente all’esterno, ma che verranno riposizionati all’interno di Palazzo Massari con la Palazzina dei Cavalieri di Malta, quando ne verrà terminato il restauro. Un restauro che mette nella giusta cornice e valorizza le opere di una delle figure artistiche centrali del Novecento. Basta solo prendersi il tempo di una gita da quelle parti, ne varrà la pena.

 

Immagine copertina © Marco Cappelletti

Autore

  • Paola Bianco

    Nata a Padova (1969) e laureata in Architettura a Venezia nel 1997. Nel 1998 ottiene un Master in Energy and Sustainable Development presso la De Montfort University di Leicester (UK). Nel 2000 è a Bruxelles per uno stage alla Commissione Europea (DG Transport and Energy). Successivamente si trasferisce a Bologna, dove si occupa per alcuni anni di temi ambientali presso varie pubbliche amministrazioni. Dal 2004 si iscrive all’Ordine degli Architetti della Provincia di Bologna, presso il quale si impegna in diverse Commissioni. Nel 2006 apre il suo studio, dove si occupa prevalentemente di certificazione energetica, sicurezza nei cantieri e dove ospita periodicamente mostre legate a diverse forme d’arte (fotografia, scultura, fumetto, giardinaggio). Partecipa a concorsi di architettura e a bandi di pubbliche amministrazioni. Collabora dal 2008 con "Il Giornale dell’Architettura"

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Last modified: 18 Giugno 2024