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Francesca PetrettoWritten by: Città e Territorio

Ritratti di città. Dresda, tra urbicidio e revisionismo storico

Ritratti di città. Dresda, tra urbicidio e revisionismo storico

Identità collettiva, ricostruzioni e tentativi di modernità: la città tedesca oltre gli stereotipi e il turismo di facciata

 

DRESDA (GERMANIA). Il 5 maggio le Staatliche Kustsammlungen Dresden-SKD inaugurano l’Archivio delle Avanguardie “Egidio Marzona”, una delle più importanti collezioni al mondo sui movimenti di rinnovamento artistico del XX secolo nonché ultima fatica dello studio madrileno/berlinese Nieto Sobejano Arquitectos.

Il progetto si basa su un enorme cubo di quattro piani in cemento a vista che si appende all’involucro di un edificio storico del 1732 (più volte rimaneggiato nei secoli) sventrato e arricchito da una galleria al primo piano, servito da due semplici nuclei di accesso su una pianta rettangolare e una scala a chiocciola aperta ed è l’esito di un concorso che Nieto Sobejano si è aggiudicato nel 2018. Per la ristrutturazione dell’edificio il Land della Sassonia ha investito un totale di circa 25 milioni.

Sulla sua realizzazione si è aperto un ampio dibattito di tecnici ed esperti in materia, forse figlio di un nuovo modo d’intendere il fare architettura in città, più consapevole e al passo coi tempi: è una conversione che davvero mette al centro un laboratorio di pensiero trasparente e aperto? Da qualche anno a questa parte, nonostante uno zoccolo duro di reazionari e revisionisti attivissimi in ambito architettonico-urbano, Dresda sta infatti cercando di darsi un’altra immagine più moderna, proiettata al futuro, alternativa a quella di nicchia del barocco e delle glorie passate che l’ha resa famosa in tutto il mondo.

 

Un simbolo del peggiore urbicidio: verità o finzione

La capitale dello Stato libero di Sassonia presenta molte eccellenze che la rendono unica nel panorama urbano tedesco. Alcune sono riconosciute a livello internazionale: il mito dell’Elbflorenz, ovvero di Dresda centro della cultura europea, e quello di città martire del bombardamento del febbraio 1945, e dunque luogo simbolo del sacrificio d’innocenti vittime delle guerre, sono un misto di verità e leggenda che alcuni cercano di sfatare soprattutto a vantaggio di un’altra città, progredita e all’avanguardia, ricca di architetture di epoche diverse che non sono andate distrutte se non per il volere di autoctoni governanti e delle loro mire economiche e di potere.

Per molti Dresda ha sfondato il muro della notorietà a partire da fine anni ottanta, a ridosso della caduta del Muro di Berlino, della conseguente Wende e del sedicennio di cancellierato del padre della Germania riunificata, Helmut Kohl. Il terreno era stato preparato dall’uscita anche in Italia del celeberrimo romanzo distopico Mattatoio N° 5 o La Crociata dei Bambini dello scrittore americano Kurt Vonnegut e dal suo sensazionale successo internazionale. Con non pochi maneggi storici attuati da ideologi di una politica capace di piegare persino la letteratura fantascientifica a proprio vantaggio, il racconto a metà strada tra realtà e finzione di uno stralunato prigioniero di guerra fu dichiarato incontrovertibile verità.

La Dresda bombardata dalle truppe alleate a guerra pressoché finita divenne automaticamente, con un’abile manovra di repulisti storico e falsificazione di numeri, il simbolo del martirio di un’intera, innocente comunità, e la sua distruzione un monito contro la brutalità della guerra totale: in una parola, il simbolo del peggiore urbicidio (omicidio di una città intesa antropomorficamente come un organismo umano) mai avvenuto su scala mondiale.

 

Il racconto della leggenda

Da quel momento in poi, rievocando la Fenice, Dresda mostrò al mondo la sua pervicace capacità di rinascere dalle immonde ceneri in cui i veri cattivi (che tutto il mondo al contrario credeva fossero i buoni) l’avevano ridotta, da tonnellate di macerie e corpi carbonizzati il cui numero veniva costantemente ritoccato e pompato dalla leggenda, non tenendo conto che una propaganda che riduceva il mito della città a quell’unico episodio storico andava di fatto a svantaggio della sua vera immagine e credibilità.

Con questa operazione di lavaggio del cervello collettivo, voluta da una retorica politica revisionista che voleva far uscire pulita Dresda da ben 56 anni di fila di due diverse dittature, vittima inane e mai artefice del suo destino, si fece e si fa ancora, al contrario, un grave torto ad altri secoli di storia urbana e alle molte diverse tracce costruite ancora bene in vista in città. 

 

Vittima anziché carnefice

I miti associati alla metamorfosi di Dresda da «città della cultura europea» a «città delle vittime» e dell’«olocausto dei bombardamenti» hanno a tal punto attecchito nella memoria collettiva da far dimenticare la storia vera, capaci di far diventare la «Firenze sull’Elba» il luogo del peggiore macello mai avvenuto nel XX secolo (persino peggio di Auschwitz e Hiroshima) e questo benché la capitale della Sassonia non abbia subito rispetto alle altre città tedesche né la più grave distruzione delle infrastrutture urbane né le più alte perdite umane.

Oggi più che mai, citando lo storico Stephan Truby, «le commemorazioni del fatidico bombardamento del 13 e 14 febbraio 1945 vengono fatte proprie da diversi gruppi politici per affermare la propria sovranità interpretativa all’interno della cultura tedesca del ricordo». «Dresda si è trasformata in un campo di battaglia della memoria, un campo minato carico dal punto di vista emotivo e altamente polarizzante in ambito storico, politico e culturale».

È questa la chiave di lettura delle celeberrime ricostruzioni storiche in città, la più pompata di tutte quella della Frauenkirche (meriterebbe un approfondimento specifico, per il quale forniamo qui in calce alcune indicazioni bibliografiche) al centro del Neumarkt. È importante tenerla a mente perché solo grazie ad essa si può comprendere la metamorfosi introflessa di un’organismo-città che vanta il mito identitario collettivo di una parte di Germania che vuole raccontarsi vittima anziché carnefice, mai sconfitta ma semplicemente “capitolata” nel secondo conflitto mondiale.

Naturalmente la glorificazione del “centro perduto” e la sua ricostruzione, oltre a ridurre la complessità storica di Dresda alla città barocca (per altro in parte già scomparsa prima del 1945), sono tornate utili negli anni sia alla politica locale autoincensante sia agli imprenditori del turismo culturale, fenomeno per niente nuovo a queste latitudini.

 

Prima della Seconda guerra mondiale: meraviglia e nuovo Umanesimo

Già a fine Settecento le sue bellezze sull’Elba erano meta di pellegrinaggi di appassionati d’arte e architettura da tutto il mondo. Città-Gesamktkunstwerk della filosofia, della musica colta, delle amenità barocche, principato di sovrani illuminati e poi patria adottiva di tutti i più grandi romantici nazionali, felice come solo la Firenze medicea aveva saputo essere prima di lei, Dresda fu narrata fino alla Seconda guerra mondiale quale perla unica in Europa, luogo d’incontro d’inenarrabili meraviglie e d’un nuovo Umanesimo.

Circa 330 kmq si estende l’attuale città con le sue Siedlungen novecentesche e i complessi di più recente costruzione, i quartieri e sobborghi ricchi di storia (il distretto della Neustadt è il più grande quartiere chiuso Gründerzeit della Germania), i suoi prototipi di città giardino, le persistenze costruite di due diverse megalomanie di potere non del tutto, soprattutto non dalla prima, realizzate, gli edifici di età weimariana, le zone che a differenza di quanto narrato dalla retorica urbicida rimasero numerosissime incolumi alle bombe alleate.

Va de sé che l’immagine architettonico-urbana odierna di Dresda è caratterizzata da edifici di epoche diverse; la città si è sviluppata in armonia con il paesaggio naturale ed antropizzato anche negli ultimi decenni.

Gli edifici più famosi del centro storico includono lo Zwinger, la Cattedrale St. Trinitatis, il Teatro dell’Opera di Gottfried Semper, il Residenzschloss e la Frauenkirche, ricostruita con donazioni provenienti da tutto il mondo. 

 

Il patrimonio architettonico barocco, contemporaneo, repubblicano

In un dialogo appassionante con questo imponente patrimonio, il presente ha posto i suoi accenti, ad esempio con la nuova sinagoga (Wandel Hoefer Lorch + Hirsch Architekten, 2001) e l’UFA-Kristallapast (Coop Himmel(b)lau, 1996-98). Sir Norman Foster ha fatto ricoprire la storica costruzione ad arco in ferro dell’Hauptbahnhof con una membrana traslucida in teflon (2006-08), Peter Kulka (recentemente scomparso) ha progettato il tetto trasparente per il piccolo cortile del Residenzschloss (2009), mentre Daniel Libeskind ha realizzato il progetto per l’ampliamento e il nuovo edificio del Museo di storia militare delle Forze armate tedesche (2011).

A cavallo tra l’età d’oro del barocco e quella contemporanea sono stati pensate, realizzate e talvolta demolite molte altre importanti opere riconducibili alle principali stagioni storico-architettoniche novecentesche che hanno attraversato quella nazionale tedesca.

Tra i progetti di età repubblicana (Weimar, 1918-33) vanno ricordati quelli della celeberrima Kugelhaus di Peter Birkenholz (1928, barbaramente demolita dai nazisti) e dell’imponente Deutsches Hygiene-Museum di Wilhelm Kreis (1912); tra quelli del periodo nazionalsocialista (1933-45) l’irrealizzato Gauforum (1934 e segg.), a diverse mani, simbolo di un’architettura strumento di potere; fra i tanti di età socialista (1949-89), la rimessa in essere dell’importante promenade della Prager Strasse (1963 e segg) e la notevole costruzione del Kulturpalast Dresden di Wolfgang Hänsch e Herber Löschau (1962-69).

 

Risurrezione urbanistica e facciatismo per turisti

Se la mitica Dresda delle arti è risorta nelle sue oggettive bellezze recuperate e rese accessibili a milioni di visitatori da tutto il mondo, l’indefessa opera di restaurazione di cui è oggetto (la stessa che abbiamo riscontrato, per esempio, a Potsdam) ha significato altresì gravi perdite dal punto di vista morale e storico: il trauma e l’orrore della Dresda perduta, il tentativo disperato di riconquistare il vecchio spazio urbano centrale, hanno portato a un’ondata nostalgica di ricostruzioni la cui qualità e bontà sono spesso storicamente discutibili.

Dal punto di vista urbanistico, ripristinare a vantaggio di turisti e investitori può sembrare sensato, ma impone nel dettaglio un ripensamento di quanto fatto finora prediligendo una memoria edilizia a scartamento ridotto che vede Dresda ancora oggi vittima, per l’ennesima volta, di azioni di distruzione. Data la presenza prepotente del mito della “vecchia Dresda”, l’architettura contemporanea ha incontrato e continua a incontrare non poche difficoltà, anche se negli ultimi anni sono state realizzate alcune opere straordinarie che fanno sperare in una nuova attitudine progettuale in grado di sfidare l’onnipresente architettura di facciata e d’investimento.

 

Immagine copertina: facciata dell’Hauptbahnhof di Dresda, Sul retro del gruppo scultoreo la membrana traslucida in teflon di Sir Norman Foster, 2006-08 –  © Daniela Völkel-Hundt

 

 

– Oliver G. Hamm, Architekturführer Dresden, DOM publishers, 2022.
– Uwe Tellkamp, Der Turm, Geschichte aus einem versunkenen Land, 2009 / trad. ital: La Torre, 2010.
– Anja Pannewitz, Die Symbolik der Dresdner Frauenkirche im öffentlichen Gedächtnis – Eine Analyse, 2006.
– Anja Pannewitz, Die wiederaufgebaute Dresdner Frauenkirche und die Erinnerung an NS und Zweiten Weltkrieg : eine semantische Analyse, 2008.
– Christine Künzel, Schlachthof Dresden: Literarisches Erinnern bei Kurt Vonnegut und Jonathan Safran Foer – zwischem Satire und Kitsch in Autor_innenkollektiv Dissonanz (Hg.), Gedenken abschaffen. Kritik am Diskurs zur Bombardierung Dresdens 1945, Berlin, 2013.
– Gunnar Schubert, Die kollektive Unschuld. Wie der Dresden-Schwindel zum nationalen Opfermythos wurde, Hamburg, 2006.
– Gerhard Lindemann, „Christenkreuz und Hakenkreuz“. Wie reagierte die Kirche in Sachsen auf den Beginn der nationalsozialistischen Herrschaft? In Die Eule | Magazin für Kirche, Politik und Kultur – https://eulemagazin.de/christenkreuz-und-hakenkreuz/
– Philipp Klein, Frauenkirche-Mania in ARCH+ Zeitschrift für Architektur und Urbanismus n. 235, Rechte Räume – Bericht einer Europareise, Berlin, 2019.
– Philipp Krüpe, Dresdener Architekturessentialismus… in ARCH+ online: https://archplus.net/de/dresdener-architekturessentialismus/ 

Autore

  • Francesca Petretto

    Nata ad Alghero (1974), dopo la maturità classica conseguita a Sassari si è laureata all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Ha sempre affiancato agli aspetti più tecnici della professione la passione per le humanae litterae, prediligendo la ricerca storica e delle fonti e specializzandosi in interventi di conservazione di monumenti antichi e infine storia dell'architettura. Vive a Berlino, dove esegue attività di ricerca storica in ambito artistico-architettonico e lavora in giro per la Germania come autrice, giornalista freelance e curatrice. Scrive inoltre per alcune riviste di architettura e arte italiane e straniere

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Last modified: 29 Aprile 2024