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Giampaolo EvangelistaWritten by: Città e Territorio

Smart city, alla città del futuro non basta l’immagine

Smart city, alla città del futuro non basta l’immagine

Il punto su New Murabba, Neom, Songdo, Woven City e Masdar: progettate a tavolino, senza memoria né senso di appartenenza

 

Il Novecento è stato un secolo di grandi cambiamenti a livello mondiale. Le megalopoli si sono moltiplicate, soprattutto a oriente: basti pensare che in Cina, dal 1978 ad oggi la percentuale della popolazione che vive nelle città è aumentata di circa 40 punti percentuali. Oltre alla Cina, anche gli stati della penisola araba hanno investito grandi quantità di capitali pubblici, dopo l’indipendenza dal Regno Unito, nell’ambito immobiliare e infrastrutturale. Basti pensare a una città come Dubai, che negli ultimi 50 anni ha più che decuplicato la propria popolazione diventando oltretutto una vera e propria città-copertina. Chi possiede i grandi capitali nel medio e nell’estremo oriente, soprattutto le famiglie reali che gestiscono i petrodollari, però ora vuol trovare ulteriori modi per esibire il proprio potere, puntando alla costruzione ex novo di metropoli, non prive di stravaganze.

Se facciamo un passo indietro e pensiamo alle città di nuova fondazione del secolo scorso, i grandi esempi erano mossi più che altro alla ricerca della “città ideale”, legata a utopie urbanistiche (o a esigenze abitative) come Brasilia. La capitale brasiliana infatti è una vera e propria utopia realizzata con grande forza di volontà, la cui matrice immaginata da Lucio Costa era un chiaro impianto urbanistico nato da un importante concorso internazionale. Anche la Chandigarh immaginata da Le Corbusier pochi anni prima rappresenta un esperimento urbano riuscito, forse ancora di più rispetto a Brasilia. In questo caso fu il primo ministro indiano a scegliere personalmente per edificare la capitale del Punjab l’architetto di origine svizzera, che sintetizza la sua città ideale, già intravista nel Plan Voisin, con un sistema viario innovativo e un impianto urbanistico a misura d’uomo frutto degli studi di tutta una vita.

 

La tecnologia, volano delle nuove smart city

Da allora molto è cambiato

, soprattutto dal punto di vista della tecnologia. Essa è ormai un importante volano per sperimentare un nuovo modo di costruire la città, che non dipendono più soltanto dalla realizzazione (ed esibizione) d’infrastrutture fisiche. La penisola arabica è particolarmente attiva da questo punto di vista e si sta facendo portavoce, insieme all’estremo oriente, della cosiddetta smart city. Nella “città intelligente” le infrastrutture dedicate alla comunicazione (ICT, Information and Communication Technologies) al servizio del cittadino, sono altrettanto importanti quanto quelle fisiche. Ma tutta questa teoria, alla resa dei conti, è valida anche nella pratica?

 

In medio oriente, New Murabba e Neom

Il recente annuncio da parte del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman Al Sa’ud della realizzazione, entro il 2030, dell’ambiziosa New Murabba nei pressi di Riyadh, ha riacceso i riflettori sulla questione. Un’area di 19 kmq promette di ospitare centinaia di migliaia di residenti in oltre 104.000 unità abitative, nonché folte schiere di turisti per occupare le 9.000 camere d’albergo che verranno costruite.

La parte più ambiziosa è però senza dubbio il Mukaab, un mega edificio lungo 400 metri per lato che secondo il progetto propone una torre a spirale racchiusa in una campana a sua volta circondata da un cubo. Una sorta di città nella città in grado di contenere le funzioni più disparate, nonché di offrire esperienze immersive digitali grazie a ologrammi.

Come già approfondito su questa testata, l’Arabia Saudita è al centro del dibattito architettonico, anche se molto di quanto sbandierato è al momento ancora su carta.

Un caso studio altrettanto interessante è quello rappresentato da Neom, smisurato progetto lanciato dallo stesso principe erede al trono nel 2017, che al suo interno contiene sei sotto-progetti residenziali. Nonostante gli evidenti rallentamenti causati dalla pandemia e dai metodi fortemente autoritari della monarchia saudita, il progetto non si ferma: a ottobre infatti Ot Sky, l’azienda saudita che si occupa di fotografia aerea, ha divulgato un primo video pubblicitario del cantiere vero e proprio con tanto di camion (rigorosamente a gasolio!) al lavoro.

È interessante notare come in tutto questo enorme sforzo progettuale non compaia da nessuna parte il nome di uno studio di architettura di riferimento, se non quello del “responsabile progettazione e costruzione” Roger Nickells, ingegnere civile ex amministratore delegato di Buro Happold, studio di consulenza ingegneristica internazionale.

 

In estremo oriente, Songdo e Woven City

Spostandosi ancora più a est anche Songdo, in Corea del Sud a 50 km da Seul, si pone come progetto innovativo di smart city con edifici sostenibili, tanto verde e servizi super efficienti. L’idea è datata ormai 2000 e il progetto da allora è in continuo sviluppo e punta tutto sulla prossimità, con la totale assenza di auto. Al momento è quasi disabitata a fronte di un investimento multimiliardario che non sembra appassionare, almeno per ora, i cittadini coreani che si contano in poche decine di migliaia.

In Giappone, Toyota ha lanciato nel 2020, appena prima dello scoppio della pandemia, la sfida di Woven City. Pensata ai piedi del Monte Fuji come laboratorio per la città del futuro, è stata progettata dal noto studio danese BIG partendo da presupposti più classici, con un sistema urbano a griglia che si moltiplica all’infinito e si “distorce” per fare spazio agli spazi verdi. La gerarchia stradale è suddivisa in tre categorie a seconda del tipo di viabilità. Ovviamente, non mancano tutte le tecnologie possibili al servizio del cittadino, sia a livello urbano che residenziale.

 

Masdar flop

Tornando in medio oriente, alle porte di Abu Dhabi, il distretto di Masdar rappresenta al momento uno dei fallimenti più eclatanti da questo punto di vista. Nella città progettata da Norman Foster, tanto celebrata sulla carta all’inizio del nuovo millennio e che doveva essere conclusa nel 2016 per ospitare 10.000 persone, solo il 5% degli edifici e delle infrastrutture previste è stato costruito, mentre i residenti sono appena 300.

 

Quando non basta l’immagine

In definitiva, nonostante il lodevole sforzo di guardare al futuro, sembra che queste “città ideali” del terzo millennio non appassionino così tanto, soprattutto chi dovrebbe abitarle. Al giorno d’oggi, ma forse è sempre stato così, non basta l’immagine per scrivere la narrazione di una città. La polis, fin dall’antichità, è sempre stata vista come genesi di tutto l’individuo, che viene prima dell’architettura e della progettazione urbana e al quale non basta promettere stili di vita all’avanguardia programmati a tavolino per fargli sviluppare un genuino senso di appartenenza.

Oltretutto, le infrastrutture virtuali controllano ogni sistema: dal riscaldamento, all’aria condizionata, alla luce artificiale. Senza parlare dei sensori che monitorano ossessivamente l’inquinamento e, ovviamente, i movimenti dei cittadini. In questo modo il fattore umano passa in secondo piano a favore di una “perfezione” troppo artificiale che trasforma gli abitanti in utenti di un luogo virtuale che di fatto non esiste. I luoghi non possono essere soltanto icone “intelligenti” di se stessi, hanno bisogno di memoria. Un processo lungo e complesso per il quale ci vogliono decenni, se non secoli.

Una forte criticità è rappresentata poi dai rischi collegati soprattutto alla capacità di elaborare e trasformare le grandi quantità di dati raccolti, che possono essere anche usati con finalità di controllo sociale, di orwelliana memoria. I governanti possono infatti usarli in maniera distorta per dare vita a quelle che alcuni teorici hanno definito come “nuove forme di colonialismo virtuale”. La più grande contraddizione delle città intelligenti è appunto che il cittadino, perdendo la propria autonomia, diviene oggetto delle decisioni prese dall’alto venendo escluso da ogni coinvolgimento. Si auspica quindi che chi costruisce queste nuove città sia anche in grado di costruire una governance democratica dei dati che porti all’adozione di pratiche partecipative e inclusive.

 

marcodemitri.it/smart-city-citta-intelligenti/
destra.it/corea-del-sud-songdo-la-citta-del-futuro-troppo-perfetta-per-viverci/
kpf.com/project/new-songdo-city
ingenio-web.it/articoli/songdo-la-smart-city-senza-automobili-che-aspira-a-diventare-modello-urbanistico-internazionale/
collater.al/woven-city-toyota-architecture/
big.dk/#projects
neom.com/en-us/ourbusiness/sectors/design-and-construction
wired.it/gallery/new-murabba-arabia-saudita/
freetopix.net/2021/06/29/la-vera-storia-di-songdo-la-quarta-economia-metropolitana-del-mondo/
dirittoconsenso.it/2022/03/04/smart-city-sviluppi-e-profili-critici/

Autore

  • Giampaolo Evangelista

    Nato a Roma nel 1984, vivo in provincia di Pavia. Laureato in architettura al Politecnico di Milano nel 2012, sono particolarmente sensibile ai temi dell'efficienza energetica e della rigenerazione urbana. Autore di diversi articoli e saggi, partecipo alle iniziative del Gruppo di Lavoro Urbanistica dell'OAPPC della provincia di Pavia e del Gruppo di Lavoro Rigenerazione Urbana della Consulta Regionale Lombarda degli OAPPC

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Last modified: 19 Aprile 2023