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Michele RodaWritten by: Progetti

Qatar 2022, 8 cattedrali nel deserto

Qatar 2022, 8 cattedrali nel deserto

L’edizione dei Mondiali di calcio più paradossale di sempre porta 8 stadi e grandi studi in un territorio limitato

 

I Mondiali di calcio più paradossali di sempre sono pronti ad iniziare il 20 novembre. Italia esclusa, 32 squadre si contenderanno il titolo in 64 partite di un’edizione assolutamente senza precedenti: per il periodo invernale (tradizionalmente il Mondiale è appuntamento d’inizio estate, quest’anno la finalissima si gioca la settimana prima di Natale, per sfuggire alle altissime temperature della penisola arabica) e per le modalità di assegnazione (è emersa, da varie indagini, una vasta rete di scandali e corruzione tra i delegati della Federazione chiamati a votare la sede, nel 2010) innanzitutto.

 

Cattedrali nel deserto, oltre la metafora

Ma tra gli elementi di interesse ci sono anche le infrastrutture che ospiteranno le partite, espressione del potere economico del piccolo emirato della penisola arabica: 8 stadi, mediamente molto grandi considerate le normali esigenze d’uso (ma sono previste riduzioni dell’affluenza a Mondiali conclusi), tutti nuovi tranne due ristrutturati e ampliati, immagini ostentate d’innovazione e di applicazione di tecnologie all’avanguardia (con esiti anche surreali, come la climatizzazione interna delle strutture, a dispetto delle certificazioni energetiche puntualmente ottenute).

Ci sono alcuni studi locali, ma soprattutto le grandi firme del panorama architettonico (Foster, Hadid) e progettisti internazionali specializzati (come Fenwick Iribarren Architects e BDP Pattern) ad aver lavorato per il Supreme Committee for Delivery and Legacy.

Forme globali s’ibridano con richiami alla tradizionale locale, non solo costruttiva: vele di barche, copricapi e motivi geometrici diventano fattori d’impulso per ampi progetti territoriali. Perché i nuovi stadi di Qatar 2022 non si relazionano con le (poche) città, ma sorgono in distese dove è il paesaggio – del mare, del deserto – ad offrire lo sfondo per rinnovate geografie e suggestive coreografie. L’Emirato offre così al mondo una sequenza di ambiziose e magniloquenti infrastrutture sportive (alla realizzazione di alcune hanno contribuito imprese italiane), distribuite in un territorio molto limitato, quasi esclusivamente a ridosso dell’agglomerato urbano di Doha. Una scintillante scenografia temporanea per l’evento globale per eccellenza.

 

Stadio nazionale

Caratteristiche: collocato a Lusail, città pianificata a 25 km da Doha, è il progetto più “iconico” della manifestazione, che ospiterà la finalissima. Può accogliere fino a 86.000 spettatori che avranno a disposizione anche un sistema per raffreddare il microclima interno, nonostante non ci sia copertura. Il progetto s’impone per la grande struttura dorata – realizzata con sequenze di elementi triangolari – a costruire un grande contenitore, con texture uniforme, a scala territoriale. La sezione dell’involucro accelera prospetticamente le porte di accesso, scavate al piano terra.
Intervento per Qatar 2022: costruzione ex novo, inaugurata a settembre 2022.
Progettista: Foster + Partners
Immagini: © Nigel Young / Foster + Partners

 

Stadio internazionale Khalifa

Caratteristiche: localizzato a Doha, è un impianto “storico” per il Qatar e può ospitare 45.000 spettatori. Si distingue per due archi contrapposti, che lo rendono icona e simbolo per la città, i quali sostengono l’ampia copertura, di forma sinuosa.
Intervento per Qatar 2022: costruito nel 1976, ha avuto (anche con una firma italiana, la vicentina Maffeis Engineering) numerose ristrutturazioni, tra cui una rilevante tra 2014 e 2017. Per i Mondiali ha avuto un ulteriore intervento di adeguamento e ampliamento.
Progettista: Dar Al-Handasah e Maffeis Engineering
Immagini: per concessione Ente Turismo Qatar e Supreme Committee for Delivery and Legacy

 

Stadio Al-Bayt

Caratteristiche: progettato con una forma che allude a un’enorme tenda beduina (Al Bayt significa La Casa), lo stadio di Al Kohr ha 60.000 posti a sedere. È stato costruito da un consorzio d’imprese in parate italiano, con la friulana Cimolai Spa che ha realizzato e montato le gradinate superiori, le membrane e l’intera copertura mobile in acciaio, per una superficie di 200.000 mq.
Intervento per Qatar 2022: costruzione ex novo, inaugurata nel dicembre 2021.
Progettista: Dar Al-Handasah
Immagini: per concessione Ente Turismo Qatar e Supreme Committee for Delivery and Legacy. Immagine notturna interna © Cimolai spa

 

Stadio Al-Janoub

Caratteristiche: concepita come metafora di un dau, tradizionale barca a vela araba che solca il vicino mare, la struttura ha un sinuoso, articolato e bianchissimo involucro metallico che diventa copertura, in parte mobile. Situato ad Al-Wakrah, ospita 40.000 posti durante le partite del Mondiale, che poi verranno ridotti a 20.000.
Intervento per Qatar 2022: costruzione sostanzialmente ex novo, inaugurata nel maggio 2019, la prima ad essere completata per i Mondiali.
Progettista: Zaha Hadid Architects
Immagini: © Hufton + Crow per concessione di Zaha Hadid Architects (quella esterna e il particolare della struttura), per concessione Ente Turismo Qatar e Supreme Committee for Delivery and Legacy le altre 2

 

Stadio Ras Abu Aboud / 974

Caratteristiche: è il progetto più sorprendente, e per tanti versi innovativo. Non a caso, è destinato ad essere smantellato a campionati finiti con il riutilizzo di parte dei suoi elementi. Sorge a Doha e accoglie fino a 45.000 spettatori. L’involucro è realizzato con 974 container navali (numero che corrisponde al codice telefonico qatariota e che dà il nome all’impianto), i cui moduli colorati sono pensati per essere riutilizzati nella costruzione di altre strutture sportive. Alcuni dei container sono stati impiegati nelle attività di cantiere, così come in parte di riciclo è la struttura metallica esterna.
Intervento per Qatar 2022: costruzione ex novo, inaugurata nel novembre 2021. Proprio in occasione dell’apertura, il nome previsto (Ras Abu Aboud Stadium) è stato sostituito con Stadium 974. 
Progettista: Fenwick Iribarren Architects
Immagini: © Fenwick Iribarren Architects (FIA) per l’immagine aerea e per quella complessiva; per concessione Ente Turismo Qatar e Supreme Committee for Delivery and Legacy per la foto dal mare e per quella ravvicinata

 

Stadio Education City

Caratteristiche: localizzato a Doha, nel distretto di Al Rayyan all’interno dell’ampio campus educativo di Education City, può ospitare fino a 45.000 spettatori. Collocato su una sorta di podio, allude ad un luminoso brillante, con facciata dinamica, cangiante e colorata grazie ad elementi metallici dalla forma geometrica.
Intervento per Qatar 2022: costruzione ex novo, con capienza ridotta a 20.000 posti sarà infrastruttura sportiva e per il tempo libero per il quartiere universitario.
Progettista: BDP Pattern, Fenwick Iribarren Architects
Immagini: per concessione Ente Turismo Qatar e Supreme Committee for Delivery and Legacy per le foto esterne, © Dow Photography per concessione di BDP Pattern per l’immagine interna, © Fenwick Iribarren Architects (FIA) per la foto dell’involucro colorato

 

Stadio Al-Thumama

Caratteristiche: di forma circolare, lo stadio collocato nel distretto Al Thumama di Doha gioca con la tradizione medio-orientale prendendo ispirazione (come da bando del concorso) dal tradizionale copricapo gahfiya, anche per le raffinate composizioni di facciata caratterizzate da trasparenze e motivi geometrici. Il catino interno ospita fino a 40.000 spettatori.
Intervento per Qatar 2022: costruzione ex novo, inaugurata nell’ottobre 2021.
Progettista: Ibrahim Jaidah (Arab Engineering Bureau), Fenwick Iribarren Architects
Immagini: © Fenwick Iribarren Architects (FIA) per le foto esterne e della copertura, per concessione Ente Turismo Qatar e Supreme Committee for Delivery and Legacy per il particolare dell’involucro

 

Stadio Ahmad Bin Ali

Caratteristiche: localizzato alle porte del deserto, ad Ar Rayyan, è caratterizzato dalla trama geometrica della sua facciata-involucro che allude ad una tradizionale lavorazione locale. L’obiettivo, spiegano i progettisti, è sviluppare senso di ospitalità e familiarità tra l’opera e i suoi utenti. Al paesaggio desertico sono anche ispirate le forme tonde e sinuose.
Intervento per Qatar 2022: sul sito di un “vecchio” stadio aperto nel 2003, è stato completamente ricostruito per i Mondiali ed inaugurato nel novembre 2021. La capienza verrà ridotta del 50% (da 45.000 a poco più di 20.000 posti) per l’uso post evento.
Progettista: BDP Pattern
Immagini: © Dow Photography per concessione di BDP Pattern

 

Cantieri maledetti: un libro ne parla

Dietro a questa esibizione di disponibilità economica, qualità tecnica del progetto, efficienza costruttiva e innovazione tecnologica (in un paese che non arriva a 2 milioni di abitanti) ci sono vicende sociali ed economiche drammatiche. Un recente libro le ha raccontate focalizzandosi sulle condizioni delle migliaia di lavoratori immigrati impegnati nei cantieri per stadi e infrastrutture del Mondiale. Una testimonianza che squarcia il velo su una condizione inaccettabile. In accordo con l’editore, che ringraziamo per la disponibilità, ne pubblichiamo alcuni stralci.

Valerio Moggia, La coppa del morto. Storia di un Mondiale che non dovrebbe esistere (Ultra Edizioni, 2022, 112 pagine, 13 €)

 

Capitolo «Il Paradiso in Terra»

Moltissimi degli operai edili sono immigrati in Qatar grazie al sistema della kafala, una sorta di reclutamento del lavoratore che – prima dell’ultima riforma del 2020 – addirittura vietava la possibilità di uscita dal paese senza autorizzazione da parte dello sponsor. Un sistema in parte modificato oggi ma all’interno di un quadro che costruisce una società classista.

[…] Per rispondere anche a queste critiche, ad agosto dello stesso anno il Qatar ha approvato un innalzamento del salario minimo da 750 a 1.000 riyals, ricevendo anche in questo caso il plauso internazionale per aver sostanzialmente smantellato il sistema della kafala. Finita qui? Non proprio, perché le riforme del lavoro di Doha hanno sì posto fine a una visione del lavoro primitiva, ma così hanno dato modo al Qatar di sperimentare le più moderne e sofisticate forme di sfruttamento dei lavoratori. Per intenderci, 1.000 riyals equivalgono a 275 dollari americani: in uno dei Paesi più ricchi al mondo, in cui lo stipendio medio è stimato in 11.000 riyals al netto delle tasse, queste cifre rappresentano ancora una miseria. L’affitto medio di un appartamento in periferia è circa di 3.700 riyals, la retta mensile in una scuola materna è di 2.700 riyals, il costo mensile delle bollette è di 380 riyals, l’abbonamento mensile ai mezzi pubblici di 150 riyals, un menù da McDonald’s costa 25 riyals. Semplicemente, con uno stipendio simile una persona è di fatto esclusa dalla vita sociale di un Paese: la kafala è stata smantellata nei suoi aspetti specifici, ma è rimasto ben vivo il suo spirito generale, la totale impossibilità per un lavoratore immigrato poco qualificato di integrarsi nel tessuto sociale e migliorare gradualmente la propria posizione.

Capitolo «Come giocare in un cimitero»

Valerio Moggia ricostruisce, anche attraverso fonti di stampa, le storie drammatiche di alcuni lavoratori deceduti durante la costruzione degli stadi o comunque nei servizi legati alle attività di preparazione del Mondiale. Alcune inchieste parlano addirittura di oltre 6.000 morti. Dietro ai numeri ci sono le storie personali, come quella di Ghal Singh Rai, un ragazzo ventenne nepalese assunto per pulire gli edifici in cui vivono gli operai dei cantieri del Mondiale.

[…] Ghal è finito a lavorare presso Education City, la prestigiosa cittadella universitaria nel nord-ovest di Doha. Gli Al Thani hanno iniziato a metterla in piedi nel 2003, finanziandola attraverso la Qatar Foundation, e al progetto ha collaborato anche il giapponese Arata Isozaki, uno dei più stimati architetti al mondo, vincitore del premio Pritzker nel 2019. La fama di Education City è cresciuta molto rapidamente, al punto che alcune delle più importanti università occidentali hanno deciso di aprire una propria sede in loco: l’hanno fatto, ad esempio, lo University College di Londra, l’HEC di Parigi, la Georgetown University, la Weill Cornell, la Carnegie Mellon University e così via. Nel 2016, qui sono iniziati i lavori di uno stadio da 45.000 posti, che è stato inaugurato appena quattro anni dopo e l’11 febbraio 2021 ha ospitato la finale del Mondiale per Club tra Bayern Monaco e Tigres UANL. Non si sa esattamente cosa abbia affrontato, lì, Ghal Singh Rai. Sappiamo solo che dopo pochi giorni diceva a suo padre che il lavoro era duro e che stava faticando ad adattarsi: «Ho provato più volte a convincerlo a non preoccuparsi» ha raccontato al «Guardian» Saarki Bahadur Rai. «Gli abbiamo anche detto: torna a casa, se non puoi lavorare lì». Provate a immaginare come deve sentirsi un ragazzo di vent’anni appena trasportato in un altro mondo a fare un lavoro da schiavo, consapevole del fatto che la sua famiglia ha fatto tanti sacrifici per farlo arrivare lì e che quella potrebbe anche essere la migliore occasione della sua vita per non fare la fame in Nepal. Non era arrivato a Doha da nemmeno una settimana quando si è tolto la vita. La sua, purtroppo, è solo una storia tra le tante. Il «Guardian» la riporta in uno dei box della sua inchiesta del febbraio 2021, sotto il titolo Vite oltre le statistiche, per ricordare ai lettori che 6.500 morti significano molto di più di quattro fredde cifre messe in fila. Ma la cosa che fa più rabbia, in tutta questa vicenda, è che secondo le autorità del Qatar Ghal Singh Rai non è una vittima del loro barbarico sistema schiavista e nemmeno dei lavori per il Mondiale: è un suicida, una delle tante morti non collegate a motivazioni lavorative. Come quella di Mohammad Shahid Miah, morto folgorato nel suo appartamento per aver messo un piede nudo in una pozza d’acqua, sorta probabilmente a causa di un guasto, senza accorgersi che da qualche parte c’erano dei fili elettrici scoperti. Un incidente. E così nessuna compensazione per la sua famiglia, che vive in una zona rurale del Bangladesh e a cui ora rimangono solamente i debiti contratti per pagare la tassa di assunzione. Il numero dei morti è stato messo assieme utilizzando le fonti delle autorità di India, Bangladesh, Pakistan, Nepal e Sri Lanka, ma restano numeri assolutamente parziali, visto che non è stato possibile recuperare dati certi da altri Paesi che riforniscono di lavoratori il Qatar (come ad esempio Kenya e Filippine) e mancano quelli degli ultimi mesi del 2020. […] Nel maggio del 2015 ci aveva già pensato il «Washington Post» a denunciare le morti nei cantieri qatarioti, stimando il numero in almeno 1.200 persone. Doha aveva risposto parlando di oltraggio e asserendo che questa storia delle morti nei cantieri fosse un mito senza alcun fondamento.

[…] Così, davanti allo scandalo delle morti nei cantieri del Mondiale, la FIFA si è affidata a un breve comunicato di risposta: “Grazie alle attuali stringenti misure sanitarie e di sicurezza, la frequenza degli incidenti nei siti di costruzione della Coppa del Mondo è stata più bassa rispetto a quella degli altri grandi progetti in giro per il mondo”. Nessun dato, nessuna fonte, nessuna argomentazione: la FIFA ha detto chiaro e tondo che il Mondiale in Qatar non è oggetto di discussione, che si tratti di corruzione o di omicidi.

Capitolo «Epilogo: maggio 2022»

La conclusione del libro spinge ad una riflessione geo-politica ed economica globale. Il Mondiale di Calcio è la cartina al tornasole di uno strano equilibrio in cui pochi paesi – per nulla democratici ed esageratamente ricchi – sono fortissimi player dei mercati globali, anche sportivi. Diventando inevitabilmente protagonisti principali del mondo dell’architettura e delle costruzioni.

[…] La realtà del mondo dello sport di oggi è che senza Paesi come il Qatar, l’Arabia Saudita, l’Azerbaijan, la Russia o la Cina diventa difficile organizzare un grande evento, perché queste nazioni detengono un immenso potere economico e internamente non devono rendere conto a nessuno: fanno comodo alle grandi federazioni e agli sponsor che attraverso questi eventi sportivi possono stringere rapporti economici che sopravvivranno ben oltre le cerimonie di chiusura.

(estratti tratti da La coppa del morto di Valerio Moggia, Ultra edizioni. © 2022 Lit edizioni s.a.s. Per gentile concessione)

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 19 Novembre 2022