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Francesca FavaroWritten by: Patrimonio Progetti

Gallerie d’Italia, Torino capitale della fotografia (ma con una caduta di… stile)

Gallerie d’Italia, Torino capitale della fotografia (ma con una caduta di… stile)

Visita al quarto museo di Intesa San Paolo: un intervento, non privo di nodi critici, firmato da Michele De Lucchi – AMDL Circle nel “salotto buono” della città

 

TORINO. Gallerie d’Italia – Torino ha aperto al pubblico a Palazzo Turinetti: dal 1949 sede legale dell’Istituto bancario San Paolo (oggi Banca Intesa Sanpaolo), all’angolo tra piazza San Carlo e via Santa Teresa. L’inaugurazione, il 16 maggio alla presenza dei vertici dell’istituto, del sindaco Stefano Lo Russo e del presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, ha sancito la fine di un cantiere durato poco più di 400 giorni nel cuore di una Torino reduce da grandi eventi.

 

Doppio De Lucchi, da Torino al remake di Napoli

Un percorso espositivo di 10.000 mq, snodato su cinque piani, di cui tre ipogei, è dedicato – si legge sul comunicato stampa – alla “fotografia e al Barocco” ed è parte di un più ampio progetto di restauro e rifunzionalizzazione dell’edificio, firmato da Michele De Lucchi – AMDL Circle (guarda il video della Serata di Architettura con la presentazione del progetto: https://ilgiornaledellarchitettura.com/le-serate-architettura-torino/) .

Il museo si compone di due sezioni. Presso gli ambienti del piano nobile (precedentemente destinati a uffici dirigenziali e a sale di rappresentanza) ha luogo l’esposizione permanente di una selezione di opere del Sei e Settecento, di proprietà della collezione bancaria. Gli ambienti sotterranei (in parte concepiti negli anni sessanta con funzioni collaterali alle attività bancarie), accessibili dallo scalone al centro del cortile interno, ospiteranno un programma di mostre temporanee, laboratori didattici, attività di studio e ricerca, nel campo della fotografia e della videoarte.

Dopo Vicenza, Napoli e Milano, Torino accoglie, quindi, il quarto museo di Intesa Sanpaolo (che il 21 maggio inaugura anche la nuova sede campana, sempre opera di De Lucchi, trasferita dal vicino palazzo Zevallos Stigliano al Palazzo del Banco di Napoli), con l’obiettivo di diventare un luogo di riferimento, su scala internazionale, per la “cultura dell’immagine”, ha dichiarato il presidente emerito Giovanni Bazoli. L’impresa, che s’inserisce nel quadro delle azioni di sostegno alla cultura che connotano l’operato di Intesa Sanpaolo a livello nazionale, è ambiziosa, e il luogo prescelto la rende anche più audace.

 

Il cortile interno, cerniera con falso storico

Nell’inevitabile tensione tra storia – di Torino, della banca e delle sue collezioni artistiche e documentali – e proiezione al futuro, che in qualche modo emerge come cifra distintiva del progetto, il cortile interno rivela alcuni nodi critici, nell’intento di saldare il “sopra” con il “sotto”, il “dentro” con il “fuori”, il recupero delle preesistenze con il progetto ex novo.

L’intento dichiarato di renderlo “piazza aperta alla collettività” – suggerendone, quindi, un uso “pubblico”, pur trattandosi di fatto di un luogo privato – conduce a un esito che può apparire a primo impatto artificioso e forzato. Se l’efficacia dell’espediente dei gradoni di accesso al museo ipogeo utilizzabili come sedute, teso a stimolare una socialità che è sempre più evocata di questi tempi, potrà essere misurata solo nel medio termine, in seguito anche all’apertura del bookshop e di un Digital Lab affacciati sul cortile, non possiamo fare a meno di notare come i visitatori che si accomoderanno sugli scalini non potranno che voltare le spalle a piazza San Carlo, tradendo in parte l’obiettivo di stabilire una connessione, perlomeno visiva, con l’aulico spazio urbano che si apre al di là della cortina seicentesca disegnata dall’architetto di corte Carlo di Castellamonte.

L’intervento sulla corte interna ha previsto, inoltre, su richiesta della Città in fase di approvazione del progetto, l’installazione di un colonnato in legno (inizialmente non contemplato dai progettisti) addossato alle due maniche ortogonali che la delimitano sui lati dell’edificio adiacente (a sud) e di via XX Settembre (a ovest), allo scopo di enfatizzare la simmetria architettonica del quadrilatero e di porre l’accento sull’autenticità del porticato in pietra sui lati opposti. Tuttavia, questo inserto ligneo – che connota tale spazio in modo inequivocabile, tanto da fargli attribuire la definizione di “chiostro” nel comunicato stampa – rende più difficoltosa la lettura della storia complessa del palazzo.

I portici in pietra esistenti sono stati realizzati nel corso del cantiere di restauro e ricostruzione del secondo dopoguerra diretto dagli architetti Arturo Midana e Mario Dezzutti i quali, demoliti i bassi fabbricati che occupavano alcune porzioni del cortile, avevano previsto per quest’ultimo la funzione di corte aperta al pubblico su cui si sarebbe affacciata anche una nuova e moderna sede bancaria. Progettata da Dezzutti nel 1961, la filiale, dotata delle tecnologie più aggiornate del tempo e caratterizzata da una facciata continua con intelaiature di acciaio inossidabile, confermava la volontà della committenza di riprendere, negli ambienti di rappresentanza, i caratteri formali dell’architettura sei-settecentesca, anche a costo di ricostruire in stile, e di servirsi, invece, per gli spazi destinati ai servizi bancari al cliente, delle tecnologie e dei materiali più avanzati. Così, infatti, lo storico dell’arte Marziano Bernardi intitolava un suo articolo comparso su “La Stampa” il 18 gennaio 1963: Un impianto bancario da fantascienza in un antico e rinato palazzo torinese.

Il colonnato ligneo rischia, quindi, di ridurre a “superfetazione” incidentale, da celare, quello che risulta, invece, l’esito architettonico di una fase fondamentale della storia dell’edificio, dettato da un preciso intento programmatico, rimandando a una specifica configurazione tipologica, quella della piazza circondata da un portico colonnato, del tutto estranea al passato più o meno recente del palazzo.

 

La sorpresa dell’ipogeo, per un palinsesto difficile da decifrare

Il progetto della sede torinese delle Gallerie d’Italia ha dovuto quindi fare i conti con un’eredità materiale (e immateriale) non trascurabile; il palazzo si situa, infatti, in una porzione del centro storico nel quale si sono condensati gli effetti degli eventi e dei processi più rilevanti che hanno interessato Torino nell’arco degli ultimi tre secoli e mezzo e, dietro una facciata compatta, rimasta (solo apparentemente) immutata dal XVII secolo, ha registrato su di sé una stratificazione di adeguamenti funzionali, ricostruzioni, ampliamenti, demolizioni, restauri, riaggiornamenti decorativi e distribuitivi, tale da renderlo oggi un palinsesto difficile da decifrare.

La trasformazione radicale dei suoi spazi ipogei, che oggi si aprono al pubblico, è forse la strategia progettuale che, più efficacemente, è in grado di riconnettere l’edificio alla sua lunga storia senza negarne i contrasti e moltiplicandone al contempo usi e significati.

Immagine di copertina: lo scalone di accesso agli spazi espositivi ipogei

 

 

Palazzo Turinetti: i due percorsi espositivi

L’accesso alla sede espositiva avviene dai portici di piazza San Carlo, sui quali si apre il cortile interno, “bucato” da un imponente scalone in pietra di Luserna i cui gradini, sovradimensionati in corrispondenza della fascia centrale e coperti da grandi cuscini, svolgono anche la funzione di sedute. “Platea”, “luogo di socialità” e “spazio di incontro”, nelle intenzioni dei progettisti, la scala assicura anche l’ingresso della luce nella hall d’ingresso sotterranea: un ambiente piuttosto ampio con funzione di reception e snodo distributivo che riceve ulteriore luce da un lucernario circolare.

Il percorso ipogeo prosegue, senza l’“interferenza” della luce naturale esterna, al piano -2 e attraversa la “Galleria voltata” e la cosiddetta “Sala dei 300”, deputata in origine a ospitare le assemblee dell’istituto bancario, sulla quale si affacciano, al livello superiore (piano -1), tre aule didattiche con pareti divisorie mobili; al piano -3, invece, è mostrato ai visitatori, attraverso una vetrata, l’Archivio Publifoto, acquistato dalla Banca nel 2015 e costituito da 7 milioni di fotografie analogiche, consultabili in versione digitale mediante uno schermo multimediale. Allo stesso piano sono collocate la “Sala immersiva”, un ambiente di grandi dimensioni (40×14 m) dotato di 17 proiettori, e una “Manica lunga” per ospitare mostre temporanee. Il visitatore percorre, quindi, una sequenza di ambienti a pianta rettangolare, caratterizzati da una pavimentazione in micro cemento e intonaco, collegati da scale dal disegno minimale che diventano elementi plastici protagonisti della composizione. Nella hall, invece, frange di acciaio lucidato rivestono alcune delle pareti nel tentativo, che però rimane implicito, di evocare il pixel rarefatto delle fotografie.

Usciti nuovamente in cortile, l’accesso al primo piano del palazzo avviene per mezzo dello scalone seicentesco arricchito dal fastoso trionfo in stucco del luganese Giovanni Battista Barberini (1625-1691). Il percorso al piano nobile si articola tra ambienti di forme e dimensioni differenti, in larga parte affacciati su piazza San Carlo, che accolgono circa quaranta opere tra dipinti, sculture, arazzi e arredi, e si conclude nella “sala dei capolavori” con le nove tele seicentesche dell’antico Oratorio della Compagnia di San Paolo. Lo studio De Lucchi si è occupato della pulitura delle superfici decorate, della sostituzione della tappezzeria e dei tendaggi, della lucidatura e, in alcuni casi, della posa dei pavimenti, oltreché del progetto illuminotecnico.

 

Palazzo Turinetti: le vicende storiche

Le vicende costruttive di Palazzo Turinetti di Pertengo s’intrecciano a quelle di piazza San Carlo, la place royale fulcro dell’ampliamento meridionale secentesco della città, disegnata dall’architetto Carlo di Castellamonte e inaugurata nel 1638 da Madama Cristina di Francia. Nel 1654, il banchiere Giorgio Turinetti acquisisce una porzione dell’isola San Giorgio per costruirvi un insieme di palazzi. Solo pochi anni dopo, nel 1657, una parte rilevante di questa proprietà è venduta a Madama Reale, mentre la porzione d’angolo, corrispondente all’edificio oggi sede del museo, rimane proprietà dei TurinettiDall’inizio dell’Ottocento lo stabile è interessato da un frazionamento in appartamenti separati e, dopo una serie di passaggi di proprietà, nel 1901 è acquisito nel suo complesso dal conte Emilio Renaud di Faliçon e interessato da interventi di riaggiornamento decorativo e di tinteggiatura delle facciate, dalla sopraelevazione di una porzione della manica su via Santa Teresa e dalla realizzazione degli abbaini nelle soffitte.

Il secondo conflitto mondiale segna uno spartiacque importante nella storia del palazzo: danneggiato gravemente dai bombardamenti del 1942 e del 1943, nel 1945 è acquistato dalla società G.I.R.E.S.C.A. (Gruppo Industriale Rinnovamento Edilizio San Carlo) e ceduto poco dopo, nel 1949, all’Istituto bancario San PaoloDopo un primo concorso d’idee per la sua ricostruzione – vinto ex aequo dai gruppi guidati dagli architetti Carlo Mollino e Gian Pio Zuccotti con due progetti rimasti sulla carta – i lavori vengono affidati, a partire dal 1955, all’architetto Arturo Midana, ben presto sostituito dal collega Mario Dezzutti, il quale, tra 1961 e 1963, assume la direzione di un cantiere caratterizzato da operazioni di demolizione e ricostruzione, e di recupero delle poche testimonianze storiche superstiti (tra cui il loggiato interno secentesco e l’apparato in stucco dello scalone) che, in alcuni casi vengono ricostruite e ricollocate. Con l’obiettivo di riproporre per gli ambienti di rappresentanza del piano nobile un’unità stilistica in qualche modo esemplare della stagione culturale e figurativa sei-settecentesca, gli architetti collaborano con antiquari e soprintendenti per l’acquisto di opere d’arte e di arredi fissi e mobili, in alcuni casi prelevati da altri palazzi torinesi e riadattati allo stabile di piazza San Carlo. 

In seguito all’acquisto, nel 1969, dello stabile confinante, il palazzo è oggetto di un’ulteriore fase trasformativa. Per l’allestimento dei nuovi ambienti, operazione diretta dall’architetto Ugo Cavallini, l’Istituto bancario acquista, nel 1974, gran parte degli arredi provenienti da Palazzo Mazzonis, già Solaro della Margherita e attuale sede del Museo d’arte orientale.

 

La carta d’identità del progetto

architettura: Michele De Lucchi – AMDL CIRCLE (Alberto Bianchi, Sara Casartelli, Giacomo Nava, Guido Tarantola, Simona Agabio, Federica Cevasco, Leonie Kutschale, Banafsheh Razavi)

strutture: Recchi Engineering srl, BMS Progetti srl

impianti: PRO-TEC Milano srl

direzione lavori: Recchi Engineering srl

impresa esecutrice: Ediltecno Restauri

 

Cronologia

14 gennaio 2020: conferenza stampa di presentazione del progetto Gallerie d’Italia – Torino

19 ottobre 2020: approvazione del progetto da parte del Consiglio comunale della Città di Torino

16 maggio 2022: inaugurazione

Autore

  • Francesca Favaro

    Laureata in architettura presso il Politecnico di Torino, dove consegue nel 2021 il dottorato di ricerca in “Architettura. Storia e Progetto” e ora è assegnista di ricerca. Studia l’architettura e la professione di architetto nel Settecento. È interessata ai temi connessi alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio architettonico e artistico

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Last modified: 20 Maggio 2022