Gli esiti della due giorni internazionale vaticana che, introdotta con un messaggio dal Pontefice, ha discusso delle prospettive del patrimonio ecclesiastico, materiale e culturale
ROMA. Se nel 2018 il Pontificio Consiglio della cultura aveva affrontato la questione dei migliori usi del patrimonio culturale ecclesiastico (ossia delle diocesi e degli enti soggetti all’autorità dei vescovi), fin dall’anno successivo era emersa la necessità di affrontare il più frastagliato e sfuggente tema del patrimonio culturale religioso (ossia delle comunità di vita consacrata, quali ordini monastici, congregazioni religiose ecc.).
L’emergenza sanitaria aveva tuttavia consigliato di rinviare un evento internazionale, promosso dal Pontificio Consiglio della cultura insieme alla congregazione competente in materia, ossia la Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Il simposio “Carisma & Creatività” – che visto questo Giornale come media partner – ha potuto finalmente svolgersi il 4 e 5 maggio, in collaborazione con l’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della CEI e il Dipartimento di beni culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana.
Alla radice di ogni riflessione su categorie specifiche di patrimoni culturali, va posta l’analisi dei processi formativi e dei soggetti che hanno portato alla definizione dei caratteri e delle qualità di ciascun patrimonio. Nel 2018, il nodo ermeneutico di fondo era dunque costituito dal principio di territorialità del patrimonio culturale ecclesiastico, ossia il suo radicamento in comunità costruite su sistemi di relazioni locali, su organizzazioni spaziali di prossimità, su interessi comuni fondati sulla geopolitica e sulla geostoria. Discutendo ora invece di patrimonio culturale religioso, l’attenzione si sposta su relazioni basate su specifici carismi, ossia su mandati specifici di apostolato e su regole elettive di vita comune, che costituiscono una pluralità di patrimoni spirituali, prima ancora che di patrimoni immobiliari. Tali patrimoni spirituali, ha ricordato il Papa nel suo messaggio ai congressisti, devono essere conservati, aggiornati e attualizzati da ogni Istituto, per poter garantire la fedeltà non solo alle intuizioni originarie, ma anche alle trasformazioni dei contesti sociali e culturali.
Patrimonio, non real estate
Si pone pertanto la questione di come anche i beni materiali (monasteri, conventi, case ecc.), oltre ai patrimoni carismatici, possano essere rimodellati sulla base dei contesti attuali, in una dialettica continua tra conservazione e adattamento. Peraltro, gli Istituti religiosi non devono solo rispondere alle proprie comunità, ma – nel caso di beni d’interesse culturale – devono rispondere a società e istituzioni molto più ampie, locali, nazionali e sovranazionali. Dall’America Latina all’Estremo Oriente è infatti impensabile un paesaggio culturale privo di monasteri, conventi o case di congregazioni religiose, ciascuna depositaria di valori artistici, anche se molti di quei monasteri, conventi e case nei contesti sociali più secolarizzati sono ormai vuoti. Peraltro, il fiorire di sempre nuovi carismi e spiritualità porta a fare ancora crescere tale patrimonio, in quanto ogni nuova comunità ha la necessità di modellare i propri spazi di vita sulla base delle proprie regole, consuetudini e pratiche.
I due giorni del convegno hanno avuto il compito di dare rilevanza comunicativa ed ecclesiale a tali delicate questioni, in cui processi di discernimento culturale rischiano di soccombere di fronte alle ragioni dei numeri, ossia le cifre delle vocazioni e le valutazioni dei beni immobili considerati nella loro dimensione di real estate. Tali dati sono tuttavia sfuggenti, in quanto la natura giuridica di tali patrimoni non consente l’applicazione delle medesime regole di monitoraggio cui sono sottoposti i beni ecclesiastici diocesani. Una prima ricognizione promossa dal Pontificio della cultura ha portato ad alcuni esiti, illustrati nel corso del convegno, ma le dimensioni del fenomeno sono tali da richiedere ben più impegnativi strumenti di rilevamento.
Catalogazione, dimensione carismatica, competenze giuridiche e manageriali
Non a caso la prima parola-chiave del convegno è catalogazione: il segretario della Congregazione, monsignor Carballo, ha sottolineato come alla radice di ogni processo di discernimento non possa che esserci un’attenta conoscenza della consistenza e dei valori dei patrimoni. Pietro Zander ha richiamato alcuni principi dei processi di catalogazione, che – in una dimensione internazionale e frammentata – possono essere tutt’altro che scontati e richiederebbero sistemi di armonizzazione.
Alla radice di ogni soluzione tecnica, tuttavia, Danièle Hervieu-Léger colloca un’attenta valutazione dei diversi interessi verso il patrimonio culturale religioso, soprattutto nelle società più secolarizzate: la vitalità dei carismi costituisce un patrimonio spirituale in continuo movimento, che può generare forme diverse di appropriazione comunitaria, tra la fedeltà all’ispirazione fondatrice e i diversi atteggiamenti delle comunità locali. Jesu Pudumai Doss ha offerto una lettura giuridica canonistica del concetto di carisma, inteso come dono vissuto di valore ecclesiale (per il bene di tutti) e condiviso, costituito anche da saperi, competenze e professionalità da tramandare. Certamente, la gestione richiede competenze giuridiche e manageriali specifiche: Andrea Perrone ha sottolineato la necessità di adeguati strumenti di conoscenza, di spirito di collaborazione e di utilizzo di strumenti gestionali secolari.
Il delegato del Pontificio Consiglio, monsignor Azevedo, ha sottolineato come la dimensione carismatica non possa essere separata da quella territoriale: seppur destinati a specifiche comunità di vita consacrata, molti beni religiosi fanno parte anche dei paesaggi delle comunità locali; dall’empatia con le popolazioni nasce l’interesse verso molti di questi beni, anche se sottoutilizzati. La missione evangelizzatrice e culturale resta tuttavia alla base di tutti i patrimoni di origine ecclesiale, quale ne sia la natura giuridica. Il legame con il territorio è stato al centro anche della riflessione di Thomas Coomans: i processi di abbandono e riuso fanno parte della natura stessa della storia dell’architettura religiosa, ma la vera sfida è ora quella di alimentare living heritages anche ove la comunità di vita consacrata si estingua. È il particolare “spirito del luogo” che può ispirare nuove comunità vive, che possano rianimare di spiritualità e significati le tracce memoriali dei carismi a rischio di dispersione, prendendosene cura.
In una prospettiva olistica, architettura, storia e significati comunitari possono trovare nuovi strumenti di dialogo, attivando le comunità locali in cui il patrimonio si trova e individuando nello spirito dei luoghi una possibile continuità carismatica delle comunità fondatrici.
Immagine di copertina: ex monastero di Sant’Agostino a Lucca (© Elena Franco)
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Last modified: 17 Maggio 2022