Nel centenario della nascita, un ritratto dell’architetto che fu presidente del comitato tecnico dell’Iri-Italstat e tra i fondatori della Tecnologia dell’architettura
Ricorre il centenario della nascita di Pierluigi Spadolini (Firenze, 5 aprile 1922), architetto, fratello dello statista Giovanni. Ognuno dei due nel suo campo è stato un grande e ha segnato la storia del Paese ben al di là dello specifico disciplinare.
In un ambito come quello dell’ambiente costruito, nel quale molto si progetta e poco si concretizza, Spadolini è stato un realizzatore indefesso, non solo in proprio, ma anche rendendo possibile a molti altri costruire tante opere con il suo impulso e sotto la sua supervisione. Contrassegnato da multiforme attività, all’inizio come industrial designer poi come architetto, urbanista e docente universitario ma, soprattutto, come autorevole ispiratore di realizzazioni sempre più impegnative sia edili che infrastrutturali, chiamato a Roma da Ettore Bernabei in qualità di presidente del comitato tecnico dell’Iri-Italstat (holding delle partecipazioni statali nelle attività delle concessioni, costruzioni e progettazioni, edilizie e infrastrutturali). Data chiave per l’assunzione di tali responsabilità è il 1982, dopo essere stato consigliere di amministrazione dal 1979 e consulente generale per l’industrializzazione edilizia dal 1975.
Mi sembra di poter affermare che, oltre al tradizionale potere accademico (nel 1969 aveva contribuito a istituire la disciplina della Tecnologia dell’architettura, che io stesso ho sempre insegnato), Spadolini ne ha esercitato uno ben più fattuale su tutto quello che d’importante si è realizzato nei grandi interventi urbani, senza eguali nella storia del secolo scorso con l’eccezione di Marcello Piacentini (1881-1960) architetto e urbanista, accademico d’Italia, il cui influsso sulla costruzione delle città è a tutt’oggi dibattuto tra detrattori ed estimatori.
Le realizzazioni
Ripercorrendo una cronologia delle opere, dopo un’attività professionale nell’edilizia (privata), negli interni e nel design iniziata fin dal 1949 (tre anni prima della laurea) già tra il 1955 e il 1958 affronta un’opera di grande impegno: il Centro traumatologico ortopedico per l’Inail di Firenze, per poi lanciarsi nel lungo progetto di restauro e ristrutturazione della sede storica del Monte dei Paschi a Siena (1960-83). Del 1961 è il primo progetto di uno yacht, da allora una costante della sua attività che si esprime nella fortunata “linea Akira” e corrisponde a una passione da velista.
Forte del suo citato ruolo d’indirizzo all’Iri-Italstat, dal 1973 al 1978 Spadolini inizia le sperimentazioni nell’edilizia industrializzata progettando il Padiglione espositivo Fortezza da basso a Firenze e lanciando i programmi di uffici postali (Italposte) e presidi ospedalieri (Spo) da realizzare in ogni parte d’Italia ma, soprattutto, il progetto più fortunato: il Mapi (Modulo abitativo di pronto intervento) del 1982, che ottiene il Compasso d’Oro nel 1987.
Intanto, la sempre maggiore influenza all’Iri-Italstat lo coinvolge in operazioni davvero ambiziose in tema d’infrastrutture e assetto del territorio: dal 1983 è presidente del Comitato attraversamento appenninico (gruppo Autostrade); l’anno dopo si cimenta con l’asse verde nel Centro direzionale di Napoli, mentre nel 1991 è coinvolto nella progettazione dello Sdo (Sistema direzionale orientale) a Roma. Tornando all’edilizia, del 1981-88 è il progetto per il Centro direzionale delle Assicurazioni Generali a Mogliano Veneto. Su un piano più “intimo”, dello stesso anno è la chiesa di Tor Bella Monaca a Roma, seguita nel 1988 da quella nel Centro direzionale di Napoli (tra le sue architetture più ispirate, nei limiti imposti da un ricorso rigoroso alla prefabbricazione, in collaborazione con Riccardo Morandi).
La didattica
Ma, pur avendo tanto operato nella professione (e con che piglio imprenditoriale!), il nostro non dimentica mai la sua missione: la scuola e la trasmissione dei saperi e dei valori ai giovani. Ecco un passaggio della lectio magistralis con la quale si congeda il 5 giugno 1992 dalla sua Università di Firenze: «Dalla mia esperienza ho imparato a non vedere la parola fine nelle cose perché comunque c’è sempre un altro giorno da passare, per inventare qualcosa di diverso, forse di più bello. Ogni progetto che ho fatto, con i miei collaboratori, è sempre stato come una lunga fiaba che, finché rimane sul tavolo da disegno, è un racconto innaturale, impossibile. Poi si forma, si costruisce, si definisce, diviene qualcosa di concreto, di irreversibile. Questo concetto di irreversibilità mi ha dato sempre una grande angoscia: il momento in cui l’architetto lascia il progetto è drammatico, perché da quell’istante in poi non è più possibile modificarlo né controllarlo. L’irreversibilità viaggia in parallelo con la responsabilità che l’architetto deve avere verso gli altri, poiché crea per la collettività. Ritengo che chi fa progetti per mania di protagonismo è un delinquente, perché giocando con la sua capacità di dar forma alle idee non considera che in ogni caso deve fare i conti con la realtà. Una realtà che lo giudica, lo interpreta, lo capisce: lo apprezza o lo distrugge».
Immagine di copertina: © Archivio eredi Spadolini
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anniversari , prefabbricazione , tecnologia
Last modified: 5 Aprile 2022