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Francesca PetrettoWritten by: Progetti

Il Memoriale di Babij Jar: l’Ucraina di fronte all’Olocausto

Il Memoriale di Babij Jar: l’Ucraina di fronte all’Olocausto

Il luogo del più efferato massacro nazista in Europa orientale e la “lieve” nuova Sinagoga progettata da Manuel Herz

 

KIEV (UCRAINA). L’Ucraina è vicina, come la guerra che in queste ore pare alle porte. Da sempre soffocata dalle pretese dell’ingombrante sorella Russia, è legata alla Germania da un altalenante rapporto di odio-amore che ne segna quotidianamente le relazioni diplomatiche e commerciali.

Pochi chilometri a nord di Kiev, si trova il luogo simbolo del terribile passato condiviso dalle tre nazioni: Babij Jar, la più grande fossa comune d’Europa. Qui dal 2016 un’organizzazione internazionale ha deciso di costruire un grande e assai discusso memoriale. Il suo nome in molti lo vogliono dimenticare: il 29 e 30 settembre 1941 circa 35.000 ebrei rastrellati a Kiev vi furono condotti e fucilati, i loro corpi accatastati nelle sue gole naturali; fino al 1943 furono oltre 100.000 le vittime totali, donne, bambini e vecchi ebrei e rom, disabili e prigionieri di guerra.

 

L’impunità dalla damnatio memoriae

Sepolto dai nazisti in fretta e furia nelle fosse comuni e per anni cancellato dal ricordo dai sovietici, quel nome tornò a risuonare nel 1961 grazie a Evgenij Evtušenko che gli dedicò la poesia Non c’è nessun monumento a Babij Jar, messa in musica da Dmitri Shostakovich nella Sinfonia n.13 prima che la censura lo facesse sparire di nuovo. Il breve, condensato racconto di quei fatti aiuta a capire le ragioni della sua damnatio memoriae al contrario: impedirne il ricordo permise ad assassini e loro complici l’impunità. Sappiamo che i primi si rifecero una vita più che dignitosa nelle due Germanie e che a Kiev in molti fecero carriera nella nomenclatura sovietica, mentre le strade in città venivano rattoppate con le lapidi di antichi cimiteri ebraici profanati a suggello di quella sparizione.

Quando Natan Sharansky, direttore del comitato di costruzione del Memoriale, ha dichiarato l’anno scorso che “Babij Jar è il luogo che più d’ogni altro simboleggia lo sforzo sovietico di cancellare l’identità ebraica”, la reazione in Est Europa non è stata delle migliori: ma come, non erano tutti amici degli ebrei? Quel baratro che, indecentemente solo 80 anni dopo, si va aprendo a Babij Jar c’ingoia pian piano un po’ tutti, stranieri e autoctoni: dai soldati italiani al fianco della Wehrmacht nelle esecuzioni di massa, agli amorevoli padri di famiglia cristiani pronti a segnalare ai tedeschi intere famiglie di vicini, nascoste, o a ucciderle in improvvisati, nuovi pogrom. Come dare torto a chi lecitamente non si fida della buona fede d’iniziative commemorative in terre in cui le istituzioni partecipano stizzite alle cerimonie, fanno “Leggi sull’Olocausto”, abusano della parola democrazia mentre portano avanti nuove persecuzioni forse in salsa più soft?

E da che pulpito parla l’Occidente europeo che sempre ostenta superiorità nei confronti di questi paesi, attore in pessime prove di recitazione in giornate della memoria sempre meno tollerate e fatte strumento di propaganda politica di parte? La Shoah è ovunque abusata per accusare il partito antagonista di turno o il nemico storico, come nel conflitto russo-ucraino dove persino la costruzione del nostro Memoriale diventa pretesto per attaccarlo.

 

La nuova sinagoga di Manuel Herz

Strumentalizzata da questo o quel governo nazionalista, la costruzione del Memoriale di Babij Jar sarebbe nient’altro che una bieca operazione turistica attira pubblico in un’amorale “Disneyland dell’Olocausto”, inopportuna anche nelle forme e nei linguaggi prescelti da chi, artista o progettista, vi prende parte.

Ma come si dovrebbe costruire allora un Memoriale dell’Olocausto, in Ucraina, nel 2022? Una risposta ha provato a darla Manuel Herz con la sua nuova sinagoga appena conclusa, parte del grande complesso che sta sorgendo nel parco di Babij Jar, molto criticata da alcuna stampa non solo di settore, poco propensa ad ascoltarne le intime ragioni. D’altro canto non è un’architettura di parte, non racconta di eroi o martiri di questa o quella patria, non inscena orrori in spazi contorti delimitati da freddi materiali, non violenta il suolo su cui sorge, non esclude, sempre pronta ad aprirsi a un mondo al contrario sempre più chiuso e ostile. In mezzo a tante indecenze politiche scioviniste e nazionaliste, a indecorosi battibecchi scaricabarile su ciò che è stato, l’arte del costruire trova la sua libertà espressiva in un linguaggio universale, risposte convincenti a domande divenute troppo scomode, colori e forme che sono un invito alla vita e alla pace.

Avevamo già apprezzato l’architetto tedesco, trapiantato a Basilea, in una bella prova di decostruttivismo a Magonza. Lo ritroviamo in Ucraina sempre più ispirato, pronto a svelare al mondo misteri da sempre riservati a pochi. Fortemente intrisa di mistica ebraica, la nuova sinagoga di Herz è gioiosa, semplice, delicata e piena di vita: è la trasposizione fisica del rito di lettura dei libri sacri durante il servizio religioso in un corpo mobile, un solido parallelepipedo in legno poggiato sul terreno che, come un magico “pop-up-book” – il libro a figure tridimensionali per bambini -, una volta dischiuso rivela mondi prima inimmaginabili.

Un sistema manuale di leve e pulegge permette di aprirlo in un tripudio di musica di campane che richiama l’attenzione dei visitatori al sito, invitandoli a condividere un momento di rara magia. Questa sorprendente architettura in caldo legno di quercia ucraina obbliga con la sua effimera essenza la comunità a prendersene cura; le sue fondamenta non sventrano le profondità di un suolo divenuto sacro; le pareti e il soffitto aprono nuove dimensioni spazio-temporali e sono dipinte a mano secondo l’antica tradizione delle sinagoghe ucraine in legno, distrutte da tempo. Babij Jar diventa così un luogo che simboleggia la vita, non l’orrore e la morte.

Citandone l’autore: “Per i visitatori guardare il soffitto della nuova sinagoga creerà un sottile legame con la notte in cui è iniziato il massacro. Credo che la qualità dinamica dell’edificio sia importante. Non solo perché è un nuovo rituale e un processo collettivo, ma anche perché ha una qualità sottile: non s’impone sul territorio, in un certo senso ha un approccio molto tenero con esso. (…) Se la terra delle gole di Babij Jar è letteralmente intrisa di sangue è importante che la risposta di questa architettura non inviti al silenzio bensì incarni la polifonia delle voci delle persone che un tempo hanno vissuto e che questo ci coinvolga. Ognuno degli uccisi voleva vivere, per questo ho puntato a creare una polifonia in forma architettonica. È stato l’impulso che poi mi ha portato all’idea di un oggetto in forma di libro trasformativo che apre un nuovo mondo”.

 

Immagine di copertina: Il Crystal Wall of Crying di Marina Abramovic (foto courtesy BYHMC)

 

il progetto della nuova sinagoga

Committente: Fondazione Memoriale dell’Olocausto di Babij Jar
Direttore creativo: Ilya Khrzhanovsky
Progetto: Manuel Herz Architects, Basilea. Team: Manuel Herz, Maxim Gabai, Ben Olschner, Isabella Pagliuca, Angeliki Giannisi. Supervisione cantiere: Oleksandr Laptev. Ingegneria: Dmytro Pisarevaliy, Yaroslav Novitskiy. Gestione progetto: Oleksiy Makukhin
Pittura del soffitto: C.I.Form, Kiev; pitture parietali: Galina Andruschenko
Superficie: ca. 150 mq
Chiusura cantiere: aprile 2021

 

Il concept creativo del Memoriale

Architettura. Un gruppo internazionale di architetti, storici, curatori di musei, artisti e ricercatori dell’Olocausto conosciuti in tutto il mondo sta lavorando al progetto. Tale approccio interdisciplinare ha permesso una visione a 360° delle necessità e degli obiettivi da raggiungere con la costruzione del Memoriale che comprenderà: il Museo della tragedia di Babij Jar (1941-43); il Museo dell’Olocausto in Ucraina e nell’Europa orientale; il Museo dell’oblio della tragedia di Babij Jar; il Museo della storia del luogo e della tragedia di Kurenev; un’installazione dedicata ai nomi delle vittime della tragedia di Babij Jar; uno spazio per la preghiera (sinagoga, chiesa, moschea, spazio non confessionale); un Centro educativo, scientifico e di discussione pubblica; una mediateca-biblioteca-archivio; uno spazio educativo e di gioco per i bambini; un Centro di riabilitazione del trauma psicologico.
L’Architecture Advisory Board per il sito di Babij Jar ha stabilito una serie di principi architettonici guida per lo sviluppo del Memoriale: non deve disturbare il terreno; deve utilizzare gli elementi naturali presenti nel sito come materiali da costruzione primari; le sue forme devono coinvolgere e abbracciare i visitatori in un’esperienza totale e permettere loro di esplorare i luoghi come vogliono, di crearsi una propria narrazione personale. In base a questi principi guida sono stati ingaggiati professionisti di tutto il mondo, come, tra gli altri, il duo belga Inge Vinck/Jan de Vylder, lo svizzero-parigino Philippe Rahm, l’architetto paesaggista del Lichtenstein Gunther Vogt, il tedesco trapiantato a Basilea Manuel Herz, lo studio newyorchese Watson Salembier.

Arte. Tra le installazioni già portate a termine merita un accenno il Crystal Wall of Crying di Marina Abramovic. Sua personale riflessione sulla tragedia di Babij Jar e l’Olocausto, simboleggia il terribile impatto dell’omicidio di massa sulla memoria collettiva e il potenziale di guarigione della riflessione soprattutto per le generazioni future. Il muro crea uno spazio speciale dove ognuno può pensare, ricordare, riflettere sui tragici eventi del passato. L’interazione con i cristalli di quarzo naturale cerca di guarire le ferite storiche ricollegandosi alle esperienze corporee individuali. Lungo 40 m, alto 3 m, fatto di antracite e 75 cristalli di quarzo, il Muro del Pianto di cristallo è un’estensione simbolica del Muro Orientale del Tempio di Gerusalemme.

Letture (romanzi, saggi e stampa)
Katja Petrowskaja, Forse Esther, Adelphi, Fabula 281, 2014

Anatolij Kuznecov, Babij Jar, Adelphi, Fabula 342, 2019
Deborah Feldman, Exodus: A Memoir, Penguin Putnam 2015
Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra, Feltrinelli, 2015
Vasilij Grossman e Il’ja Grigor’evič Ėrenburg, Il libro nero. Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945, Mondadori, 1999
Antonella Salomoni, Le ceneri di Babij Jar. L’eccidio degli ebrei di Kiev, Il Mulino, 2019
Report Konzentrationslager Auschwitz, Ein Ausflug ins Grauen di Emilia Smechowski, su ZEITMAGAZIN NR. 5/2019

 

 

Autore

  • Francesca Petretto

    Nata ad Alghero (1974), dopo la maturità classica conseguita a Sassari si è laureata all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Ha sempre affiancato agli aspetti più tecnici della professione la passione per le humanae litterae, prediligendo la ricerca storica e delle fonti e specializzandosi in interventi di conservazione di monumenti antichi e infine storia dell'architettura. Vive a Berlino, dove esegue attività di ricerca storica in ambito artistico-architettonico e lavora in giro per la Germania come autrice, giornalista freelance e curatrice. Scrive inoltre per alcune riviste di architettura e arte italiane e straniere

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Last modified: 22 Febbraio 2022