Dopo dieci anni di guerra, le problematiche di architetture, centri urbani e siti archeologici: tra perdita d’interesse per il recupero e pressioni speculative e turistiche
A dieci anni dall’inizio della guerra civile il patrimonio architettonico, archeologico, urbano e paesaggistico siriano è sempre più a rischio. Con alcune tra le più antiche città al mondo, e oltre 120 siti selezionati dal DGAM (Directorate-General of Antiquities and Museums) come di rilevante interesse nazionale, la Siria annovera 6 siti Unesco, inseriti nel 2013 nella List of World Heritage in Danger, e 12 siti iscritti nella Tentative List.
Nel corso dei dieci anni di un conflitto in cui 387.000 persone hanno perso la vita e 12 milioni di civili hanno dovuto abbandonare le loro case (tra cui 5,4 milioni di rifugiati in altre nazioni), abbiamo assistito alla distruzione su larga scala di questo patrimonio, che versa oggi in uno stato di quasi totale abbandono. Alla radice della perdita di interesse per il suo recupero da parte dell’intricata rete di attori governativi siriani che operano sul patrimonio, vi è una carenza di strategie politiche a livello nazionale, oltre che di quadri normativi e sistemici, dovuta anche alla fuga di massa degli esperti locali verificatasi nei primi anni della guerra.
A ciò vanno aggiunte le attuali condizioni politico-economiche che indeboliscono lo scenario strategico-istituzionale e non consentono di prospettare una pianificazione postbellica sensibile al contesto, impedendo anche ai possibili partner internazionali di progettare, finanziare o attuare strategie e protocolli d’intervento. Al momento il campo di azione di questi ultimi è solo limitato ad attività di documentazione da remoto, sensibilizzazione, e formazione in situ finalizzata a fornire servizi e capacità ai tecnici e alla manodopera specializzata, come nel caso dei Municipal Technical Offices Support Programme di UN-Habitat in diverse città siriane, delle attività dell’UNDP a Maaloula, o delle attività di training organizzate dall’Aga Khan Trust for Culture con Les Compagnons du Devoir ad Aleppo.
Sempre più incertezze per i siti più colpiti…
Anche se, quindi, la distruzione del sito archeologico di Palmira e del centro storico di Aleppo hanno focalizzato l’attenzione dei media negli anni più duri della battaglia, oggi, spenti i riflettori del dibattito internazionale, il loro destino è sempre più incerto.
Il sito di Palmira e della vicina città di Tadmur sono di fatto ancora abbandonati, mentre la Città antica di Aleppo, quasi completamente evacuata durante l’omonima battaglia, con il 60% del tessuto urbano danneggiato e il 30% completamente distrutto, è attualmente reinsediata al 20-25%. Qui, sebbene l’Aga Khan Trust for Culture abbia restaurato il Suq al-Saqatiyya e l’ingresso alla Cittadella, e il DGAM abbia avviato alcuni restauri, tra cui quello della grande moschea (finanziato dalla Repubblica Cecena), la gran parte delle aree e degli edifici di maggiore valore storico non sono ancora oggetto di programmi di restauro o ricostruzione.
Ciò è particolarmente rilevante in un contesto in cui il conflitto e la distruzione su larga scala hanno avuto e stanno continuando ad avere effetti diretti e indiretti sul patrimonio architettonico, archeologico e paesaggistico in termini di valori culturali, economici e sociali.
Non si tratta quindi solo dei danni fisici ai monumenti e ai centri storici di Aleppo, di Homs (con il 20% del patrimonio urbano danneggiato e il 4% distrutto), di Dara’a, di Deir Ezour, di Maaloula (dove il 35% degli abitanti si è reinsediato in seguito ai primi restauri) o di Bosra. Durante il conflitto hanno anche subito danni rilevanti, tra gli altri, il “castello del deserto” omayyade di Qasr al-Hayr ach-Charqi, la città di fondazione abbaside di Raqqa-Rafiqa e la fortificazione crociata di Krak des Chevaliers. Inoltre, i villaggi bizantini del costituendo parco archeologico delle Dead Cities della Siria del nord, tra cui Brad, sono stati danneggiati e saccheggiati e versano oggi in uno stato di abbandono, così come anche i siti archeologici di Apamea, Mari (Tell Hariri), Dura Europos, Ebla e Ugrarit (Tell Shamra).
… sempre più pressione speculativa per gli altri
Se l’abbandono dei centri storici a rischio durante il conflitto ha indotto fenomeni di progressivo deterioramento fisico, sia dei monumenti danneggiati che dell’edilizia residenziale tradizionale, nei siti che non sono stati epicentro di scontri, tra cui Damasco, la cittadella crociata di Tartus o la città drusa di as-Suwayda, si continua ad assistere a fenomeni di grande pressione speculativa e di trasformazione informale dei quartieri che ospitano gli sfollati interni. In particolare a Damasco, dove è in preparazione un piano di gestione del World Heritage Site in Danger, la pressione demografica di migliaia di sfollati ha indotto un vasto deterioramento del patrimonio architettonico e delle infrastrutture, specie nel quartiere di al-Joura, con la conseguente inarrestabile tendenza alla sostituzione delle tradizionali case a corte [foto di copertina].
Infine, tra gli innumerevoli effetti collaterali del conflitto sul patrimonio è necessario annoverare anche le forti e ingiustificate pressioni di sviluppo turistico in alcune aree, tra cui il sito di origine fenicia dell’isola di Arwad; i danni alle infrastrutture storiche verdi di Aleppo e Homs; il deterioramento delle norie, degli acquedotti e del sistema dei frutteti storici lungo il fiume Oronte ad Hama, causato non solo dalla mancanza di risorse per la loro manutenzione, ma anche dai problemi ambientali legati all’abbassamento del livello dell’acqua del fiume e al deflusso delle acque di scarico provenienti dai quartieri che ospitano i profughi. Non ultimo, è necessario menzionare il grave danno al patrimonio immateriale e alla cultura artigianale locale causato dalla pesante distruzione dei suq.
In questa vasta zona d’ombra, la condizione di estrema fragilità economica e sociale della popolazione che vive nei centri storici è oggi ancora più difficile a causa dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia in corso.
Giulia Annalinda Neglia, The Cultural Meaning of Aleppo: A Landscape Recovery for the Ancient City, Intellect Ltd: Bristol-Chicago, 2020.
Il libro, parte della serie Critical Studies in Architecture of the Middle East, documenta i caratteri e le trasformazioni urbane della Città antica di Aleppo, con particolare attenzione all’edilizia residenziale a corte e agli spazi aperti, e delinea prospettive per una ricostruzione del paesaggio urbano basata sui principi di continuità morfologica e spaziale e di recupero della memoria urbana.
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guerra , Medio Oriente , restauro
Last modified: 31 Marzo 2021